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Isotopie gramsciane: organicismo/meccanicismo

Da Bruno Corino @CorinoBruno

Isotopie gramsciane: organicismo/meccanicismo
Ogni forma di “aggregazione” umana si può definire, nell’ottica gramsciana, organicomeccanico, tutto dipende cioè dalle ragioni “intrinseche” o “estrinseche” che sospingono una massa a trascorrere un certo periodo di tempo nell’identico luogo. Nella terminologia gramsciana, “meccanico” equivale a “esteriore”, a “convenzionale”, a ricerca degli “effetti sensazionali”, a “superficiale”, ecc. Anzi, nel termine “meccanico”, opposto ad “organico”, possiamo individuare tutto una “famiglia di significati” (in senso wittgensteiniano) o una serie di “isotopia”[1] di notevole interesse, in grado di chiarire non solo il pensiero giovanile, ma anche quello della maturità. A livello più profondo, l'isotopia “Organico/meccanico” rimanda a quello “Vita/Morte” (“biologismo”). Mediante questa serie di isotopie possiamo rintracciare una equivalenza di contenuto attorno a un’unica radice, cioè un tratto generale della “significazione”, che a livello generale denota una serie di lessemi. Per cui partendo dalle parole del testo e osservando come esse si rapportino in campi semantici omogenei, possiamo identificare dei paradigmi a diversi livelli di profondità.
“Meccanico” vs. “Organico” hanno come radice comune il sema “biologico”. Il termine “meccanicismo” ha come lessemi affini: “natura”, “fatalità”, indifferenza[2], “inerzia”, “passività”, “quantità”, ecc.; mentre sull’altro versante, l’“organicismo” ha come lessemi “spirito”, “storia”, “volontà”, “attivismo”, “qualità”, ecc. Quindi, è possibile individuare la struttura isotopica, partendo dalla costruzione semantica del testo gramsciano, incardinata sull’opposizione Meccanico/Organico; Morte/Vita; Capitalismo/Socialismo. Come esempio significativo, nel quale possiamo trovare riassunti tutti i termini del “paradigma dicotomico”, cito questo lungo brano di un articolo del luglio 1918:
«Tra la premessa (struttura economica) e la conseguenza (costituzione politica) i rapporti sono tutt’altro che semplici e diretti: e la storia di un popolo non è documentata solo dai fatti economici [...] La storia non è un calcolo matematico: non esiste in essa un sistema metrico decimale, una numerazione progressiva di quantità uguali che permetta le quattro operazioni, le equazioni e le estrazioni di radici: la quantità (struttura economica) vi diventa qualità poiché diventa strumento di azione in mano agli uomini, agli uomini che non valgono solo per il peso, la statura, la energia meccanica che possono sviluppare dai muscoli e dai nervi, ma valgono in quanto sono spirito, in quanto soffrono, comprendono, gioiscono, vogliono e negano [...]. gli avvenmenti non dipendono dall’arbitrio di un singolo, e neppure da quello di un gruppo anche numeroso: dipendono dalle volontà di molti [...]. Perché gli individui, nella loro maggioranza, compiono solo determinati atti? Perché essi non hanno altro fine sociale che la conservazione della propria integrità fisiologica e morale: così si adattano alle circostanze, ripetono meccanicamente alcuni gesti [...]. Solo il perseguire un fine maggiore corrode questo adattamento all’ambiente: se il fine umano non è più il puro vivere, ma il vivere qualificato, si compiono degli sforzi maggiori [...]. Gli individui escono dalla loro solitudine e si associano. Ma come avviene questo processo associativo? [...]Il filisteo non vede salvezza fuori degli schemi prestabiliti, non concepisce la storia che come un organismo naturale che attraversa momenti fissi e prevedibili di sviluppo [...] [i filistei] non concepiscono la storia come sviluppo libero - di energie libere, che nascono e si integrano liberamente - diverso dall’evoluzione naturale, come l’uomo e le associazioni umane sono diverse dalle molecole e dagli aggregati di molecole [...] Dalla massa, dal numero si doveva arrivare all’uno, in modo che esistesse una unità sociale, che l’autorità fosse solo autorità spirituale [..]. Il socialismo non si instaura a data fissa, ma è un continuo divenire, uno sviluppo infinito in regime di libertà organizzata e controllata dalla maggioranza dei cittadini, o dal proletariato” (Utopia, 25 luglio 1918, NM, pp. 204-212)».
In questa strutturazione semantica, se compiamo un ulteriore scavo filologico, è facile avvertire l’influenza esercitata sul giovane Gramsci dal pensiero hegeliano e crociano e dal pensiero vitalistico dei primi decenni del secolo. Nella dicotomia meccanico/organico si può scorgere in filigrana anche l’influenza determinante della filosofia di Henri Bergson, e soprattutto la filosofia di Herbert Spencer. Anzi, secondo la mia ipotesi, più che parlare di bergsonismo in Gramsci, si dovrebbe parlare di spencerismo gramsciano, di una filosofia spenceriana corretta ed integrata da elementi crociani. Spencer, in un libro molto suggestivo, The Study of Sociology (1873), aveva esposto minutamente l’analogia che vi è fra una società e un organismo, dove i singoli individui corrispondevano alle cellule. Con ciò non voglio affatto dire che Gramsci sia stato un seguace di Spencer. A me ciò che interessa dimostrare non è tanto l’influenza che il pensiero spenceriano ha esercitato su quello gramsciano, quanto, invece, dimostrare come il “lessico biologico” del filosofo evoluzionista sia trapassato in quello gramsciano sino a costituire una sorta di paradigma di base. Dal punto di vista dei contenuti è chiaro che Gramsci è assai distante dal positivista Spencer, il quale concepiva l’evoluzione come una crescita naturale e spontanea, mentre Gramsci concepisce non l’evoluzione ma il divenire come un processo guidato dall’intelligenza e dalla volontà degli uomini. Il filosofo inglese acquista un’importanza strutturale nella sua terminologia gramsciana soltanto in riferimento all’acquisizione dei principi “evoluzionisti” tra i quali possiamo segnalare:
1) evoluzione come concentramento (l’evoluzione sociale consiste soprattutto in ciò, che gli individui o dei gruppi di individui che prima erano dispersi si stringono gli uni agli altri):
Le grandi masse degli individui socialmente solitari, accostate, addensate in un piccolo spazio geografico, hanno sviluppato sentimenti nuovi, hanno sviluppato una solidarietà umana inaudita (NM, p. 208).
La concentrazione capitalistica, determinata dal modo di produzione, produce una corrispondente concentrazione di masse umane lavoratrici (ON, p. 127).
2) evoluzione come processo di differenziazione (l’evoluzione organica procede dall’omogeneo all’eterogeneo, cioè dall’indistinto al distinto):
La democrazia è la nostra peggior nemica [...] perché intorbida il limpido distacco delle classi (CT, p. 140);
“Il tono degli scritti e della propaganda deve però essere sempre un tantino superiore a questa media, perché ci sia uno stimolo al progresso intellettuale, perché almeno un certo numero di lavoratori esca dall’indistinto generico delle rimasticature da opuscoletti, e consolidi il suo spirito in una visione critica superiore della storia e del mondo in cui vive e lotta” (NM, p. 49);
Essere vuol dire distinguersi, individuarsi. Ogni organismo sociale, storicamente e idealmente necessario, tende a una sempre maggiore chiarezza e concretezza dei suoi programmi, dei suoi metodi (Per una Nuova Internazionale, 8 dicembre 1918, CF, p. 473).
3) evoluzione come determinazione (Per distinguere l’evoluzione dalla dissoluzione si deve aggiungere che l’evoluzione rende possibile il passaggio da uno stato meno determinato e meno ordinato ad uno stato più determinato e più ordinato. L’evoluzione procede da un caos, le cui parti sono sparse ed omogenee, ad un tutto complesso le cui parti sono di specie diverse e stanno nello stesso in una data connessione reciproca):
Questo processo di distinzione porta con sé urti interni, discussioni, attriti; ma se nei componenti l’organismo il fine ultimo, da raggiungere in comune, prevale sui motivi occasionali di dissoluzione, e una disciplina viene accettata, è necessario sforzarsi di conservare la compagine sociale, è utile che la maggioranza, la quale ha fissato quella disciplina, non provochi, per impazienza e irrequietezza, una disgregazione che potrebbe essere letale per l’organismo intero e potrebbe ricondurre al caos e all’indistinto, dai quali con tanti sforzi si è usciti (Per una Nuova Internazionale, 8 dicembre 1918, CF, p. 473).
I socialisti non devono sostituire ordine ad ordine. Devono instaurare l’ordine in sé (CF, p. 11).
Perché, dunque, un organismo sociale possa essere disciplinato intransigentemente è necessario che esso abbia una volontà (un fine) e che il fine sia secondo ragione, sia un fine vero, e non un fine illusorio (Intransigenza-tollerenza, intollerenza-transigenza, 11 dicembre 1917, CF, p. 478).
La borghesia è un momento di caos non solo nella produzione, ma anche nello spirito (NM, p. 45).
Anche se a livello cosciente Gramsci è sempre stato critico nei confronti del positivismo (cfr. Misteri della cultura e della poesia, in NM, pp. 348-351) e delle teorie evoluzioniste trasportate nei fatti sociali, tuttavia appare evidente come il linguaggio biologico di impronta positivista sia stato assimilato quasi “inavvertitamente” dal suo pensiero, sino a costituire il suo bagaglio terminologico, e una componente filosofica del suo modo di pensare così capillare da non poterla neanche documentare in ogni suo passaggio. Il lessico “biologico” si avvertirà persino nella riflessione matura. Perciò capire come funzionano questi paradigmi semantici serve non solo a gettare nuovi fasci di luce sul pensiero giovanile, ma soprattutto su quello della maturità. Per rendersi effettivamente conto di quanto perduri nel tempo questa terminologia, e quindi della continuità a livello lessicale tra il Gramsci giovanile e quello carcerario sarà sufficiente leggere le Note critiche su un tentativo di “Saggio popolare di sociologia” dedicate a Nikolaj Bucharin, contenute nel Quaderno 11, oppure le parole scritte nel Quaderno 13, Noterelle sulla politica del Machiavelli:
“Il moderno principe, il mito-principe non può essere una persona reale, un individuo concreto, può essere solo un organismo; un elemento di società complesso nel quale già abbia inizio il concretarsi di una volontà collettiva riconosciuta e affermatasi parzialmente nell’azione. Questo organismo è già dato dallo sviluppo storico ed è il partito politico, la prima cellula in cui si riassumano i germi di volontà collettiva che tendono a divenire universali e totali”.
Addirittura per Gramsci il “meccanicismo vs. organicismo” diventa sia una posizione dell’essere (umano e sociale) che un modo di osservare i fatti e gli uomini. Potrei persino dire, in effetti, che per Gramsci esiste sia un “meccanicismo vs. organicismo” a livello ontologico[3] che a livello gnoseologico[4]. Si tratta di rovesciare ogni volta all’interno dei fattori umani e sociali le cause meccaniche in cause organiche, o storiche o “spirituali”. Il meccanicismo è dunque anche una visione filosofica che si caratterizza per il fatto di cercare le cause del movimento e, quindi, dell’azione, sempre all’esterno del fenomeno osservato. Finché l’essere umano o sociale dipende o crede di dipendere da una causa meccanica, esterna, egli si porrà ancora in uno stadio “istintivo” o “animalesco”, cioè in uno stadio in cui non ha ancora compiuto quella “catarsi” che lo trasformerà da essere “meccanico” in un divenire spirituale. E il discorso non vale soltanto per il singolo individuo, ma per le società nel loro complesso. Il divenire delle civiltà, a diversi gradi, è un processo storico in cui gli uomini trasformano i fini della natura (cioè le cause esterne o meccaniche) in mezzi per fini superiori. In sostanza, questi paradigmi semantici possiamo riscontrarli ad ogni livello del testo gramsciano.
Vita vs. Morte, Organico vs. Meccanico, Socialismo vs. Capitalismo: questi termini dialettici si strutturano quindi nel pensiero giovanile di Gramsci (ma non solo) a qualsiasi livello di discorso. Possiamo rintracciare questi termini tanto nei cosiddetti “organismi sociali” quanto nei suoi “prodotti culturali”: tra gli uni e gli altri si stabilisce una stretta coesione e connessione. Una volta trovata la “formula” del pensiero gramsciano, non sarà difficile tradurre il linguaggio degli uni (degli “organismi sociali”) in quello degli altri (dei suoi “prodotti culturali”), e viceversa. Quindi, dal momento che tra gli uni e gli altri sussistano delle forti analogie, ecco allora che possiamo parlare in Gramsci dell’attività teatrale (prodotto culturale) come allegoria della futura società socialista (organismo sociale), cosi come possiamo comprendere perché egli abbia privilegiato il teatro su tutte le altre varie forme artistiche.



[1] La nozione di isotopia è stata inizialmente proposta dal semiologo A. J. Greimas (1966) per definire la ricorrenza, all'interno delle unità sintagmatiche (frasi e/o testi), di più parole con tratti semantici in comune tra loro.
[2] “Indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti. L’indifferenza è il peso morto della storia [...] L’indifferenza opera potentemente nella storia, opera passivamente ma opera. È la fatalità” (Indifferenti, 11 febbraio 1917, CF, p. 13).
[3] Il principio consiste nel non lasciarsi guidare dall’istinto o dal piacere immediato, ma dalla ragione e dalla volontà. Lasciarsi guidare dall’istinto significava per Gramsci affidarsi a cause puramente meccaniche. Da ciò l’atteggiamento che Gramsci riservò ai “mondi primitivi”: sono epoche da comprendere razionalmente, ma una volta comprese non bisogna provare nei loro confronti nessuna forma di nostalgia.
[4] “Questa concezione non era scientifica, era solo meccanica, aridamente meccanica” (Margini, 17 febbraio 1817, CF, p. 25).


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