In una calda e assolata mattina di agosto della scorsa estate ho deciso di visitare una città siciliana dove non ero ancora mai stata, meta da qualche anno di "pellegrinaggi" da parte degli appassionati del commissario Montalbano e del mio concittadino Andrea Camilleri.
Ragusa Ibla, come altre città di quella parte sud occidentale della Sicilia (la Val di Noto), ha delle caratteristiche particolari che la rendono unica: distrutta dal terremoto del 1693, venne ricostruita seguendo le regole architettoniche e il gusto artistico tardo barocco dell'epoca. Strade, palazzi e chiese, ogni angolo è una scena teatrale, un gusto per la prospettiva tipico, ogni ornamento volto a stupire e meravigliare il visitatore. Cammini per queste vie e vicoli, e lo sguardo è catturato dalla vertigine delle volute che ornano le facciate delle cinquanta chiese, oppure si perde verso il punto di fuga di una prospettiva creata ad arte, oppure si ferma catturato dalle figure inquietanti e affascinanti dei mascheroni che ornano i balconi.
Io ci cammino dentro accecata dal sole che riverbera sul bianco della pietra, e fotografo ogni particolare che mi colpisce come faccio sempre, per portarmi a casa qualcosa che poi mi faccia pensare, e ricordare ed emozionare ancora. Ed è così che mi accorgo che forse qualcosa della mia terra, di quelle atmosfere e di quella storia, ce l'ho nelle vene nonostante mi sia sconosciuta, mi scorre dentro inconsapevolmente.
La seconda facciata di Palazzo Battaglia, patrimonio Unesco, che si affaccia su via Chiaramonte, Ragusa Ibla
In un vicolo di Ragusa Ibla, sovrapposizioni
Perché, nel mio perenne alzare gli occhi sgranati e assetati di bellezza, vedo sotto alle finestre e alle balconate di Ragusa delle forme che mi sono familiari.
Forme che, senza saperlo, anche diversi anni prima di vederle, ho usato nelle mie collane. Cercando linee e disegni armoniosi e diversi, ho immaginato le linee delle modanature che decorano tante facciate dei palazzi barocchi.