[Warning: articolo troppo lungo per essere letto in una volta... ma il tema scelto necessita il giusto spazio]
Il mondo reale, si sa, non è come quello proposto nei cinema, dove troviamo i buoni contro i cattivi ed è facile sapere da che parte schierarsi. Nel mondo reale le situazioni sono estremamente complesse e con mille sfaccettature, ridurre tutto a bianco e nero sarebbe semplicistico e sbagliato. Il conflitto israelo-palestinese è un esempio lampante di questa regola: entrambe le parti hanno fatto enormi errori ed entrambe le parti hanno le loro ragioni, proviamo a capirne di più.
Dopo i fatti avvenuti recentemente in Medio Oriente è davvero troppo facile schierarsi apertamente e acriticamente a favore dei palestinesi e dei passeggeri sulla nave “Mavi Marmara”, lasciandosi trasportare dalle emozioni e dagli evidenti eccessi del governo e dei militari israeliani.
Ma per capire cosa sia successo e perchè, bisogna andare in profondità, analizzare tutti i fatti cercando di essere il più obiettivi possibili, qualità necessaria in ogni occasione ma ancor di più quando si parla di un conflitto lungo oltre 60 anni e che sembra non avere fine.
Maggio 2010: il raid sulla “Mavi Marmara”
Cerchiamo di guardare i fatti nel modo più obiettivo possibile:
1) Sulla nave “Mavi Marmara” c’erano oltre 650 persone di 37 nazionalità, alcuni erano veri pacifisti, altri facevano parte di associazioni integraliste islamiche ed erano pronti al martirio (per loro stessa ammissione). Dopo aver visto il modo in cui hanno reagito all’arrivo dei militari di Israele sulla propria nave (vedi video sotto), non mi sembra corretto parlare di pacifismo, diciamo che si trattava di attivisti pro-Palestina pronti a sfidare l’embrago su Gaza con una forte azione dimostrativa, anche a costo di dover sfidare il potente e organizzatissimo esercito Isrealiano. Fino a prova contraria questo non merita la pena di morte preventiva.
2) Israele decide di dirottare la nave (fino a quel momento assolutamente inerme) verso un porto Israeliano, per verificarne il contenuto ed eventualmente far proseguire il carico via terra. Altre 5 navi hanno subito il dirottamento e poi consegneranno il carico, la “Mavi Marmara” invece si rifiuta e prosegue verso Gaza, sfidando l’embargo.
Un'immagine della "Mavi Marmara"
3) Gli israeliani, pur avendo uno dei più potenti servizi segreti al mondo e dei militari preparati a tutto, decidono di intervenire con forza nonostante la nave si trovi ancora molto distante da Gaza e in acque internazionali. Il metodo scelto è quello, rischiosissimo, di calare i militari uno ad uno sulla nave tramite elicottero.
Questa decisione suscita una fortissima reazione da parte di un’esiguo ma molto attivo gruppo di attivisti sulla nave, che raccolgono spranghe di metallo, coltelli e (a quanto pare) alcune granate stordenti, iniziando a “difendersi”. In difficoltà, i militari aprono il fuoco uccidendo 9 persone e ferendone molte altre. A quanto pare gran parte degli attivisti è stata uccisa con colpi alla testa e una raffica di pallottole.
4) Obiettivo dichiarato di alcuni attivisti sulla nave (quelli facenti parte di associazioni integraliste islamiche, come l’IHH) era preciso: arrivare a Gaza e violare l’embargo o costringere Israele a fermarli con la forza. Probabilmente non si aspettavano una reazione così forte, ma erano pronti a sfidare il divieto dell’esercito con una forte azione dimostrativa.
5) Gran parte della stessa stampa Israeliana critica aspramente le modalità di approccio alla nave e la scelta di tempi e modi (è illegale bloccare navi straniere in acque internazionali con un uso della forza sproporzionato), senza contare che dalla nave non stava arrivando nessuna minaccia se non quella di violare un inutile embargo disapprovato a livello internazionale.
La risposta poco “pacifista” all’arrivo dei militari israeliani sulla nave
Verità e conseguenze
Gli attivisti pro-Palestina hanno avuto un’ottima idea dal punto di vista tattico: effettuare un’azione dimostrativa di protesta in modo da mettere in difficoltà il governo di Israele che avrebbe preso una decisione sbagliata in ogni caso: lasciar violare l’embargo (e quindi virtualmente perdere il controllo di Gaza) o intervenire con la forza e riportare all’ordine i dimostranti (sollevando una reazione internazionale di protesta)?
Netanyau ha reagito nel modo peggiore, con un blitz catastrofico contro un’operazione che da oltre un anno stava preparandosi alla luce del sole e i cui obiettivi erano molto probabilmente conosciuti dai servizi segreti israeliani.
Comunque la si pensi, da questa brutale reazione israeliana ci sono state e ci saranno varie conseguenze, nessuna delle quali promette bene per il futuro dell’area:
-) la Turchia (nazione d’origine della nave e paese di 8 dei 9 attivisti uccisi), per decenni una delle poche nazioni a maggioranza araba non schierata contro Israele, ora si pone apertamente contro Israele a livello internazionale. Si parla addirittura di messa al bando dei voli tra i due paesi.
-) Israele difende a spada tratta il suo esercito e sfida la comunità internazionale riufiutando inchieste internazionali (c’è stata una rapida inchiesta interna che ha ammesso qualche errore pur sostenendo la correttezza nell’uso della forza) e continuando nella politica aggressiva contro la striscia di Gaza (le poche aperture promesse per ora sono solo delle flebili speranze). Questa supponenza con cui si continua a sostenere la correttezza dell’intervento militare piuttosto che mantenere una posizione più onesta e realista sugli errori del blitz agita le acque e rende impossibile far ripartire il dialogo. Non sono certo io a dirlo, ma gran parte della stampa internazionale e pure quella USA, ad esempio in questo articolo del Boston Globe. Per curiosità date un’occhiata al sondaggio del Wall Street Journal sull’embargo a Gaza, oltre il 70% è contrario all’embargo (negli USA e su un giornale di destra!).
-) le fazioni più radicali dell’Islam stanno aumentando la propria forza e il numero di adepti usando questo episodio come leva per suscitare ulteriore odio verso il “nemico” da distruggere. L’embargo e il blitz sono i migliori amici di Hamas, che da mesi riesce a far passare verso Gaza tutto ciò che vuole tramite tunnel sotterranei e nello stesso tempo ha gioco facile nell’incolpare Israele della povertà del popolo e della continua necessità di armarsi, di sacrificarsi e di difendersi con tutta la propria forza. Se sparisse l’incubo dell’embargo sparirebbero anche queste falsificazioni della realtà, che ora danno forza all’atteggiamento terroristico di Hamas.
-) Gli israeliani si sentono traditi dalla comunità internazionale, che attacca loro piuttosto che gli integralisti di Hamas.
Proteste palestinesi a Gerusalemme
Ma Israele è uno stato democratico, colto, ricco e preparatissimo militarmente. I palestinesi sono poveri, disperati e in mano a bande di integralisti pronte ad interrompere in ogni momento il processo di pace, non solo ora con Hamas al potere, anche prima con Fatah.
E’ quindi normale che la comunità internazionale si aspetti dei passi concilianti e un’azione concreta verso la pace da parte di Israele piuttosto che dai palestinesi. Vedere invece che con la propria irruenza da qualche anno Israele non fa altro che peggiorare la già difficilissima situazione mediorientale non può che suscitare sdegno. Qualche esempio?
- Il muro attorno alla Cisgiordania, costruito vari km all’interno dei reali confini stabiliti dall’ONU;
- le campagne militari repressive come la tristemente famosa operazione “piombo fuso“, nate per fermare il lancio di missili Qassam verso Israele ma finite con il solito elevatissimo numero di vittime civili, fabbriche e moschee distrutte (fonte) e violazioni di diritti umani (fonte);
- il continuo rifiuto di tornare ai confini precedenti alla guerra del 1967 (vedi nelle successive immagini i reali confini stabiliti dall’ONU), permettendo la realizzazione di numerosissime colonie ebraiche all’interno dei confini palestinesi, presidiandole militarmente (vedi la seconda immagine qui sotto sulle colonie all’interno della Cisgiordania). Non c’è pace senza giustizia.
- L‘embargo su Gaza, che ha un effetto devastante sulle condizioni di salute della popolazione, soprattutto tra i bambini: uno su quattro soffre di malnutrizione. Ma non si vive di solo cibo, un recentissimo rapporto della rivista medica “The Lancet” parla di gravissimi problemi psicologici di un’intera popolazione che vive nel terrore 24 ore al giorno.
Israele-Cisgiordania: un paese tagliato fuori dal mondo
I confini di Israele secondo la risoluzione ONU del 1947 e quelli attuali
Le colonie di Israele (in blu) all'interno del territorio palestinese in Cisgiordania
Fonte: Applied Research Institute – Jerusalem
2006-2010: gli estremi si attraggono
Purtroppo la situazione politica in Israele e in Palestina è nelle mani degli estremisti.
- Netanyahu in Israele è riuscito a diventare primo ministro solo grazie ai voti dell’estrema destra (Lieberman), lasciando il centro e la sinistra all’opposizione. Gli elettori di questo governo non vogliono fare alcuna cessione agli arabi e sono convinti che la propria sicurezza passi per l’attacco e la rimozione degli avversari, a costo di usare le maniere forti. Per questo hanno approvato l’intervento “piombo fuso”, l’embargo contro Gaza e il raid sulla “Mavi Marmara”.
Come se non bastasse un questo anno e mezzo di governo Netanyahu si è dimostrato assolutamente contrario ad effettuare ogni passo conciliante per il raggiungimento della pace, “litigando” con Obama (fonte Times). Dopo il raid sulla “Mavi Marmara” il rapporto con Lieberman si è ulteriormente complicato, dato che quest’ultimo continua nella sua linea intransigente anche contro la Turchia, mentre Netanyahu vorrebbe perlomeno evitare di peggiorare la crisi diplomatica (fonte CNN). Pare che negli ultimi giorni gli incontri con Obama siano più concilianti dei precedenti, ma la situazione rimane ad un vicolo cieco: Netanyahu rifiuta commissioni internazionali e difende il raid, gli insediamenti e l’embargo.
Serve una rete per bloccare i rifiuti lanciati dalla minoranza di coloni israeliani a Hebron, in Cisgiordania, controllata illegittimamente da Israele dopo le guerre del 1967.
- Sul lato palestinese la situazione è ancora peggiore. Nel 2006 il gruppo integralista Hamas ha vinto (democraticamente) le elezioni. Hamas da sempre nega il diritto di Israele ad esistere, non ha mai rinunciato all’uso della violenza e disconosce qualsiasi accordo stipulato dagli esponenti palestinesi dei governi precedenti. Dal momento del suo insediamento Hamas permette e appoggia il lancio di missili Qassam verso Israele, aiutato sottobanco da molti stati arabi che inoltrano armi e aiuti economici per sovvenzionare la guerra. Un dato in più: in questi anni e nei precedenti il numero di vittime israeliane causate dal lancio degli oltre 8000 missili arabi ammonta a 15. Una vita persa sarebbe già troppo, ma questi numeri servano a capire quanto irrisoria sia la forza di questi attacchi.
I missili Qassam che di giorno in giorno sono lanciati da Gaza verso Israele: 10-15 morti in 10 anni di lanci
In questa particolare situazione le violenze di Hamas non fanno altro che rafforzare la posizione integralista di Netanyahu e allo stesso modo l’embargo e il pesante uso dei militari messo in campo dalla destra Israeliana rafforza le componenti estremiste arabe. Tutto questo ha l’unico effetto di peggiorare la già drammatica situazione, radicalizzando le posizioni dei due schieramenti ritorsione dopo ritorsione. Possiamo purtroppo dire che Hamas rinforza Netanyahu e viceversa, in un’escalation di violenza continua e (al momento) inarrestabile.
Il controllo della crisi mediorientale sta sempre più sfuggendo di mano e anche USA e Europa non fanno nulla per evitarlo, limitandosi a votare risoluzioni ONU ridicole senza vincolare le parti in alcun modo.
Perchè le forze internazionali non si muovono? Come al solito, basta guardare al Dio denaro: gli arabi hanno in mano il petrolio e bisogna tenerseli buoni, ma allo stesso tempo la forza della lobby israeliana negli USA è tale da far sì che il governo americano non possa schierarsi contro Israele, oltre naturalmente all’importanza tattico-militare di avere una base “occidentale” in mezzo alla marea islamica, una base assolutamente indispensabile per il controllo dell’area dal punto di vista geopolitico.
Come di consueto, in mezzo alle ragioni macro-economiche e religiose, chi soffre veramente è il popolo, sia palestinese o israeliano, che se ne frega del petrolio e delle conquiste territoriali e vorrebbe solamente una pace duratura per potersi costruire una vita normale.
La radice di tutti i mali
Se sono oltre 60 anni che il popolo arabo-palestinese vive ai limiti della sopravvivenza, anche gli Israeliani da decenni non riescono a trovare una situazione di pace, di sicurezza, di normalità, necessarie a vivere una vita degna di questo nome.
Affermare che ci sia un popolo più “cattivo” di un altro che vive e prospera alle spalle dell’avversario è sbagliato, la situazione è dura e insopportabile per entrambi i popoli, che continuano a trovare dei motivi per odiarsi senza riuscire a raggiungere un compromesso accettabile che permetterebbe loro di ricostruirsi un’esistenza pacifica.
La radice che da 63 anni è alla base di questo conflitto è, purtroppo, una diversa visione dei fatti tanto semplice quanto a prima vista inconciliabile:
- L’arrivo degli ebrei in massa in Palestina si configura tecnicamente come un’invasione immotivata: non si può pretendere di occupare una terra perchè in quella vi abitavano quasi duemila anni prima i propri antenati. Molti Arabi, tra cui Hamas, si basano quindi su questo fatto per negare lo stato di Israele, punto e basta: non accettano altre opzioni. Per fortuna non tutti la pensano così, ma al momento chi fa il bello e cattivo tempo in Palestina ha quest’opinione.
- Esattamente l’opposto è il ragionamento israeliano: lo stato di Israele esiste ed è riconosciuto dalla comunità internazionale che gli ha concesso quelle terre dopo la terribile persecuzione della seconda guerra mondiale. Il loro scopo era ed è riunire il proprio popolo in un’area di terra limitata e vivere in pace. Non era una richiesta molto onerosa, visto l’orrendo affronto subito nella guerra mondiale: avere una terra in cui vivere onestamente con i propri simili.
Questa differenza di visione è alla base di tutti i successivi mali della regione mediorientale.
Potremmo ora parlare delle numerose guerre iniziate o da Israele o dagli stati arabi nei successivi 50 anni, ma il punto cardine di tutta la questione è e rimane la suddivisione dei territori tra israeliani e palestinesi e la creazione di due stati separati e indipendenti. Senza un accordo su questo punto non si va da nessuna parte.
Purtroppo, come abbiamo detto, proprio su questo fondamentale diritto all’autoderminazione e sulla totale mancanza di riconoscimento degli avversari in questi ultimi anni la situazione si è aggravata come mai era avvenuto negli ultimi decenni.
A questa contrapposizione di base si sommano mille diverse posizioni e atteggiamenti che non fanno altro che peggiorare ulteriormente lo stato delle cose, dal muro eretto dagli israeliani ben all’interno del territorio palestinese (difesa, furto di territorio o apartheid?) ai continui missili inviati da Gaza verso le case israeliane (disperazione o terrorismo?).
La via di uscita al momento non si vede, le uniche speranze sono aggrappate ad Obama ma soprattutto alla democrazia, cioè alla speranza che le attuali due parti al potere vengano pesantemente sconfitte al voto, sperando che i successori siano più avveduti e disposti a rinunciare a gran parte delle proprie richieste pur di ottenere una pace duratura e, speriamo, definitiva.
Per ora è solo un sogno.
Samuele su B-log(0) - Non c'è limite al possibile, 2010. |
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