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Il ministro degli esteri iraniano, Mohammad Javad Zarif, ha detto ieri che vede segnali di un accordo globale sul programma nucleare di Teheran, sostenendo che tutto è possibile a patto che si rispettino i diritti della nazione iraniana. Tradotto: ci vogliono rimettere il meno possibile, cioè preservando il programma nucleare civile e ottenendo lo sblocco delle sanzioni su gas e petrolio. C'è da fidarsi? Chissà.
Anche perché, ammesso che la Comunità internazionale si decida a mettere sanzioni di carattere più pressante sulla Russia, superando l'approccio punitivo ai singoli e orientandosi verso misure più nette, una sorta di "guerra commerciale" - non che sia facile, non che il rischio non sia di finirci dentro e bruciarsi le mani con i propri interessi -, sarebbe proprio l'Iran a guadagnarci, portandosi a casa gli ex clienti russi. Soprattutto se le azioni di distensione e apertura (vedi il rilascio di Sakineh, la donna condannata alla lapidazione e poi all'impiccagione per adulterio, che aveva fatto mobilitare il mondo per il rispetto dei diritti civili) continueranno.
D'altronde, è molto difficile che il tavolo iraniano salti - rispetto a quello siriano, per esempio -, anche perché su questo gli Stati Uniti si giocano quel che rimane della propria credibilità agli occhi di Israele. E cercare di fare squadra con la Russia, amica dell'Iran (come di tutto l'asse sciita), è l'unica via per portare a casa qualche risultato.
Il problema semmai, è che da Tel Aviv arrivano segnali chiari, proprio su quella credibilità. Israele non ci sta, vede Obama lento, accademico, indeciso, debole: inaffidabile. E allora pensa di mettersi in proprio. Altri 3 miliardi investiti sui preparativi per un eventuale fronte di guerra verso la Persia - Ya'alon non ne ha parlato esplicitamente, ma quando menzionava «una strategia unilaterale» a questo si riferiva.
E a mettersi in proprio ci sta pensando anche in Siria. Anche lì, vive la delusione del fallimento della politiche messe in atto dalla Casa Bianca e il rischio che il conflitto si avvicini troppo ai confini adesso è palpabile. L'attentato di due giorni fa, è avvenuto proprio sulla recinzione di frontiera tra i territori occupati del Golan e la Siria. Funzionari del ministero della Difesa hanno parlato di "terroristi aiutati dal governo siriano", praticamente Hezbollah. E allora, come già era successo, l'azione di bombardamento è partita. Israele non ha intenzione di entrare nel conflitto siriano, anzi cerca di fare di tutto affinché rimanga il più lontano possibile dai suoi confini. E per questo non ci sarebbe da sorprendersi sull'aiuto di intelligence fornito al sud, verso il fronte caldo intorno a Daraa, più o meno ufficiosamente, assieme a Sauditi e Giordani.
Se ne riparlerà di sicuro.
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