Così sono d’autunno i castagneti di Bursa, le foglie dopo la pioggia e, in ogni stagione e, ad ogni ora, Istanbul. Nazim Hikmet, poeta turco
Viaggiare dovrebbe essere sempre un pre-
testo per gironzolare un po’ dentro se stessi. Quando invece il viaggio diventa tutto proiettato fuori da sé e il problema più ingente cosa andare a vedere tra le tante rutilanti offerte dei depliant, allora non vale la pena allontanarsi un metro da casa; tanto più oggi, che tali sono le tecnologie a disposizione che qualsiasi cosa l’hanno già data in televisione un’ora prima e, certo, la puoi meglio assaporare davanti al tuo pc e senza nemmeno sudare o accartocciarti contro l’obeso turista che si è fermato a leggere con troppa attenzione la didascalia di quel reperto di cui non frega un cazzo a nessuno tranne che a lui.
Se, invece, sei venuto fino qui e sudi e ti incazzi perché per vedere una schifo di pietra dimenticata da Dio (ma non da un qualsiasi Zahi Hawass, che pur deve campare), hai già fatto mezz’ora di coda sotto il sole, visto che ormai ci sei, perché non provi a cercare qualcos’altro che non sia il semplice andare avanti per poi segnare anche questa tacca sul mappamondo del “già visto” per fare invidia al prossimo tuo e sbrodolare su te stesso?
La pietra che cerchi, e per cui hai pagato ben 25 lire (12 euro circa al cambio attuale), non si trova in nessun Topkapi, non è incastonata in alcun pugnale forgiato in mille e una notte, né è protetta da bacheche in cristallo antiproiettile. Più probabile, invece, che sia lì, da qualche parte tra te e ciò che sta fuori da te, affinché ciò che è in te si faccia non più chiaro (per carità, Dio, o chi per esso, ci scampi da tutti quelli che partono per incontrare se stessi o, peggio, per schiarirsi le idee -tanto più efficace un tour in lavanderia) ma più intricato, più labirintico e, infine, più incomprensibile, affinché, se per caso hai la sfiga di trovarti, tu ti possa riperdere al più presto.
Invece...
To be continued...