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Si sa che Istanbul è considerata un ponte tra l’Asia e l’Europa. Ma quello che non sapevo è che quel ponte scavalca ampiamente l’Italia e ci porta direttamente verso il nord dell’Europa, verso paesi più civili del nostro.
Al mio arrivo ad Istanbul sono rimasto colpito da come tutte le strade del centro, anche le meno battute, fossero pulite. Ovunque si trovano sacchi per raccogliere l’immondizia (sono di colori diversi ed immagino sia per la differenziata. Ma le scritte erano in turco e ovviamente non ho capito) e operatori ecologici con piccoli carretti, costantemente in movimento.
I servizi pubblici sono efficienti, anche se non molto capillari; ma la zona centrale è ottimamente servita da un tram che tocca le zone più importanti: Sultanhamed con le moschee, la zona dei Bazar, il ponte di Galata, Topkapi, etc.
Per accedervi si utilizzano dei gettoni (quindi non biglietti che poi si butterebbero) che si possono comprare ad ogni fermata a piccoli chioschi o macchinette. E ogni fermata ha il suo personale.
La gente è cordiale, ben disposta verso il turista. Visti i tanti contatti con la Germania, che possiede la più grande cominità di turchi in Europa, la lingua straniera più parlata è il tedesco. Tuttavia, conosconoo un globish adatto anche alla portata di noi italiani e ci si riesce comunque a comprendere.
I negozianti, anche quelli più smaliziati del Gran Bazar, sono divertenti e mai molesti come talvolta sono invece quelli del Bazar del Cairo o del suq di Marrakech.
Con il mio compagno abbiamo soggiornato nel quartiere di Beyoglu, la zona moderna, che circonda e si spinge ben oltre la Torre di Galata: è qui che devo dire si hanno le più grandi soprese. Se già nella città vecchia affascinante nel suo connubio fra modernità e decadenza poco si avverte dell'islam che tanto invece è invadente in altri luoghi del Medio Oriente, qui davvero si ha l'impressione di essere nel cuore di Montmartre a Parigi. Non saprei come meglio descrivere questo quartiere.
La sera alcune vie sono stracolme di ragazzi locali: si balla per strada, si gioca a Backgammon (per lo meno, mi sembrava quel gioco) e si fuma la pipa ad acqua. La sensazione è che la modernità abbia vinto, ma non abbia abbandonato molti aspetti piacevoli della tradizione. Non è un caso che, tutto sommato, benché la maggioranza dei turchi sia mussulmana, la religione pare essere discretamente tenuta nella sfera privata. E vivaddio, verrebbe da aggiungere.
Vi è poi un elemento con cui vorrei concludere questo piccolo diario di viaggio che piacerà agli amanti degli animali: Istanbul è un paradiso per i gatti randagi. La collettività si occupa di loro, donando un po' di cibo e acqua (anche se certi condomini realizzano vere e proprie strutture con tanto di sabbietta). Loro ricambiano, diventando nella maggior parte molto socievoli o adottando un condominio o un negozio. Praticamente ogni attività di Galata ha il suo gatto davanti alla porta o dentro: ho visto un gatto rimproverare il titolare di un negozio che, di sabato, apriva con qualche minuto di ritardo la sua bottega di strumenti musicali; una gatta bianca e nera dormire dentro un negozio di saponette dov'era ospitata la notte; un'altra che viveva a tutti gli effetti nella stazione della funicolare di Tunel; un maschio grigio dormire sullo scaffale di un artigiano.
Ma tutti questi gatti continuano piacevolmente ad essere liberi nel mondo, ma al sicuro.
Nella moschea detta Piccola Santa Sofia, un ragazzo - vedendo che stavamo distribuendo un po' di cibo - ci ha portato un piccolo gattino grigio tigrato. Gli abbiamo chiesto di chi fosse e lui ha risposto con naturalezza: "E' della moschea". Come a dire: non è mio, ma è un po' di tutti.
Ecco. Noi abbiamo preso l'abitudine di viaggiare con un pacco di croccantini in borsa distribuendone in giro. E in questo aspetto così tanto civile - che tanti locali praticano abitualmente, ci siamo sentiti un po' turchi anche noi.
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