E i Tartari.....
Il deserto è tutto tranne che è immobile.
Cambia la conformazione ad ogni alito di vento, la sabbia offusca lo sguardo e cambia quasi magicamente di posto.
Eppure nel romanzo di Buzzati come anche nella trasposizione di Zurlini il deserto è usato come metafora dell'immobilità.E' un non luogo da monitorare continuamente con i binocoli per attendere qualcosa che ha contorni talmente sfumati che sconfina agevolmente nel mito.
I Tartari, nemici invisibili sono attesi da tempo immemore da tutti gli abitanti della fortezza Bastiano, dall'ultimo della truppa al primo degli ufficiali.
Inutilmente.
E tra gli altri c'è anche Govanni Battista Drogo sottotenente di prima nomina che lascia una vita confortevole, una madre e una fidanzata pur di coltivare il proprio sogno.
In realtà una suggestione increspata dell'inquietudine di chi non sa.
Drogo vuole fuggire dalla fortezza ma rimane come avvinto in un incantesimo, una tela di ragno che lo imprigiona sempre di più. Come se la fortezza fosse un'entità pensante che ipnotizza i suoi occupanti. Un pò come l'oceano pensante di Solaris
E con lui imprigiona le giovinezze che sono leste ad andare via.
Drogo sciupa il suo tempo finche il tempo sciupa lui.
Tutto a consumarsi nell'attesa di un nemico che non compare mai.
E quando finalmente manifesta la propria presenza per il capitano Drogo, fu sottotenente di prima nomina, è troppo tardi.
I suoi occhi si chiuderanno prima di riuscire a vederli ma almeno avvertirà la loro presenza, saprà della loro esistenza.
Zurlini riesce a trasporre il romanzo di Buzzati con l'eleganza che da sempre ha contraddistinto il suo cinema.
E' costretto a rinunciare a molta dell'ambiguità del romanzo (che raccontava una storia in un tempo e in un luogo imprecisati), si avvale di un set naturale di meravigliosa bellezza (una vera fortezza nel sud dell'Iran, fatta di terra e di argilla, parzialmente distrutta come la città sottostante da un terremoto di qualche anno fa) che sembra proprio essere partorito dalla fantasia di Buzzati, riunisce un cast prestigioso in un film che racconta il nulla che avvolge la fortezza e i suoi soldati.
Il progetto era stato accarezzato anche da altri (Antonioni per esempio) ma Zurlini riesce a realizzarlo perchè il protagonista Jacques Perrin si impegna personalmente nel reperire i fondi. Ne esce un film dai tempi dilatati, che ti entra sottopelle riuscendo a trasferire al di là dello schermo la sottile e indecifrabile inquietudine che lo permea costantemente. Decisamente una gioia per gli occhi perchè dal punto di vista formale Zurlini quasi supera se stesso.
La parabola della vita dell'ufficiale Drogo che piano piano viene consumato dalla tisi è intarsiata sull'immutabilità della fortezza Bastiano, un colosso d'argilla destinato a sopravvivere ai suoi occupanti e alla furia degli elementi naturali.
In lontananza finalmente si vede un muro di polvere alzarsi, dieci, cento, mille sagome si stagliano all'orizzonte.
Sono arrivati i Tartari ma Drogo non può essere lì a combatterli.
( VOTO : 8,5 / 10 )