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Italia: apologia dell’indifferenza

Creato il 25 agosto 2013 da Bruno Carenini @bcarenini

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Grazie ad un lavoro che permette di viaggiare, chi come me vive molto tempo a contatto con culture differenti, troverà bizzarro se non da “sit-com” la realtà politica contemporanea di questo Paese. La sensazione di frustrazione è palpabile ovunque e mentre chi può, chi deve, leva le tende e sceglie altre mete per dare una svolta o un futuro più roseo alla propria vita, c’è anche chi resta aspettando che “un nuovo miracolo italiano” sovverta una situazione al limite della tragedia. Sono stanco ma direi forse più schifato, incazzato, rabbioso di assistere ad un’incapacità collettiva di stampa, radio, tv, e classe politica in generale nel gestire una situazione degenerata a tal punto da calpestare i più elementari diritti della democrazia. Leggendo queste affermazioni, molti potrebbero stupirsi  abituati alla mia franchezza sempre in contorni civili e pacati, ma anche le riflessioni pongono un limite alla decenza. Sono mesi e settimane che il tema del giorno è la questione Berlusconi. Il nostro Paese non ha più una propria identità è nelle mani di quest’uomo, della sua corte dei miracoli, longeva come bradipi in stato vegetativo che articolano solo al richiamo del denaro. Una corte che dedica il suo tempo a tenere unite piccole folle osannanti di elettorato , tenendole lontane dal pericolo della verità. Un’Italia che la volgare brama di potere e supremazia delle mediocri correnti e classi dirigenti ex PCI ed ex DC ha gettato nelle acque putride della stagnazione anziché nel depuratore del cambiamento e della rinascita sociale e politica, ammesso ne fossero capaci. Lobbies di notai, avvocati, commercialisti, medici, e di molte altre categorie tengono da sempre ancorato il Paese a privilegi superati e logiche di puro potere e protezionismo. Partiti che han fatto la fortuna illudendo l’elettorato sull’ipotetica trasformazione del Paese in un’Italia Federale, cedendo però a ricatti di compromesso e a lusinghe di potere come tutti, una volta seduti allo scranno. Movimenti arancioni, bianchi crociati, rosso porpora, di stelle senza stelle, picconi e badili e arcobaleni vari cresciuti sull’onda del consenso e poi svuotati al momento del “fare”. Un Paese dove i giovani sono un peso, un problema non una risorsa, dove gli anziani dopo aver costruito il Paese ricevono come ringraziamento una pensione da fame costretti a mantenere figli e nipoti con risparmi di una vita… E potrei continuare di questo passo, son cose a tutti note e non sarebbe retorica o come affermano le teste illuminate dei saggi e intellettuali radical chic “populismo”. In mezzo a tutto ciò non vi è un solo scatto d’orgoglio, qualcuno che prenda coraggio e parli di una “rivoluzione civile”. Un giornale, una radio una televisione che si opponga a trattare la questione “B” come una questione di Stato, a contrapporre il silenzio all’abuso e all’asservimento della società civile. A rimettere in ordine la democrazia di un Paese sull’orlo di una ribellione sociale. Nessuno. La storia non ha insegnato nulla, ha inculcato aria fresca a noi contemporanei , eppure “gli altri italiani” zitti e fermi non stettero al giogo delle invasioni e dell’obbedienza. Le immagini che in questi anni abbiamo visto provenire da molte parti del mondo ci hanno lasciato indifferenti, senza comprendere che sono le mobilitazioni di massa a creare l’inizio di cambiamenti radicali nella società civile. Non siamo un popolo di integralisti e la religione seppur tendente a sconfinare dal potere spirituale, in questo Paese non fa temere incitamenti e fanatismi tali da indurre a violenze contrapposte. Parlo di “mobilitazione” quella vera, dove milioni di persone esercitano il reale potere della democrazia, quello di farsi sentire, vedere, per esprimere collettivamente oltre al diritto di voto,  il proprio dissenso a prescindere dall’ideologia politica, dalla fede religiosa o dalla provenienza geografica. Perché tutti, passatemi il termine, ne abbiamo “le palle piene di questa gente”, tutti, se neutralizzassimo l’appartenenza politica saremmo concordi nel dire che hanno stra fallito, che stanno tirando a campare, studiando come non mollare per altri venti anni quel potere autogestito e sordo alla democrazia popolare. Rivediamo le immagini di Atene, Madrid, Washington, Budapest, Sofia, Lisbona, Cipro, senza tralasciare il coraggio dei giovani turchi o delle primavere arabe, degli Occupy mondiali o degli indignados  e chiediamoci perché da noi questo scatto di orgoglio non nasce. Me lo son chiesto molte volte, rientrando in Italia in questi mesi e credo che la risposta sia molto chiara : ognuno ha paura di perdere i privilegi di cui gode, ma così facendo mette a repentaglio il futuro dei propri figli e quello del proprio Paese, tradendo quello spirito patriottico nel DNA dei nostri nonni e padri  disposti anche a  perdere la vita. Loro ebbero il dono e la saggezza di guardare lontano, senza accecarsi da super “io” poiché in possesso del primario valore della collettività. Terminando questo sfogo da cittadino italiano, giungo a questa triste conclusione, ogni volta che assisto ad un telegiornale sale sempre più forte la voglia di “abbracciare una rivoluzione”.


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