Licia Satirico per il Simplicissimus
La morte della laicità si annuncia con epifanie parallele: è il crocifisso nuovo di zecca nelle aule e agli ingressi del Pirellone in espiazione post-corruttiva, sono le associazioni integraliste che potranno infestare le strutture sanitarie della Regione Veneto, sono gli eserciti di obiettori di coscienza che vanificano lo spirito della 194, sono i matrimoni gay “incivili”, sono i commenti agitati di Bagnasco sulla fecondazione assistita, sono le dispute infinite sul testamento biologico. È il rivo strozzato che gorgoglia, l’accartocciarsi della foglia riarsa, il cavallo stramazzato. La sonnolenza del meriggio è quella di un intero Paese ormai disorientato, che rinuncia alle idee anche per l’inettitudine degli attuali schieramenti politici ad esprimerle.
La cleropositività, si sa, è un formidabile strumento di ricerca del consenso, di aggregazione sociale e di convergenza elettorale. Ancora lontana la speranza di una cura: la scienza è impotente di fronte alla catechizzazione del Pd, alla trasmissione genetica della sindrome scudocrociata destra e sinistra, alle metamorfosi curiali di candidati insospettabili. D’altronde, la confusione sul punto è alimentata persino dalla giurisprudenza: anni fa il Consiglio di Stato definì Cristo in croce come simbolo laico. Il crocifisso, anche per i non credenti, esprimerebbe in forma sintetica valori di tolleranza, di rispetto dei diritti e delle libertà della persona, di solidarietà e non discriminazione: parole imbarazzanti per chi crede che tolleranza, rispetto dei diritti, solidarietà e non discriminazione non debbano passare attraverso simboli religiosi, avendo natura universale e profondamente umana.
Claudia Mancina ha scritto che la crisi della laicità è oggi crisi della democrazia, dei suoi fondamenti etici e della sua capacità di produrre decisioni condivise. È una crisi talmente profonda da riflettersi sulla definizione stessa di laicità, che si divide in forte e debole, buona e cattiva. La laicità “buona” è quella aperta alle posizioni delle gerarchie ecclesiastiche, quella “cattiva” è di tipo anticlericale: un’insofferenza sana ma invincibile a principi confessionali di qualunque matrice, un’etica senza dio che pone l’uomo al centro di tutte le cose.
In Italia i laici laicisti sono considerati interlocutori inaffidabili e indesiderabili: sarebbero “intolleranti”, incapaci di prender parte al dibattito pubblico postsecolare per le stesse ragioni per cui i credenti, più o meno integralisti, ne fanno invece parte. Questa è la prima ferita della nostra democrazia, un tempo rappresentativa e ora condizionata da meccanismi elettorali suini dalle inusitate capacità di sopravvivenza. I partiti cercano ossessivamente un elettorato “moderato”, un grande centro che racchiuda allegramente atei devoti, cattocomunisti, clerocentristi, tecnici convertiti alla politica, postfascisti moderati, leghisti pacati e berlusconiani pentiti: uno schieramento totipotente all’insegna del pensiero unico. I laici veri, buoni o cattivi che siano, sono sempre fuori dal coro.
L’eco frastornante dei sacrifici necessari copre quella della tutela delle persone. Ma uno schieramento politico che si definisca laico dovrebbe chiarire – a se stesso e a noi – le sue idee sulla tolleranza, sul rispetto dei diritti, sulla solidarietà e sulla non discriminazione: sempre che non le identifichi in modo grottesco, come ha fatto il Consiglio di Stato, con l’effigie di Cristo. Vorremmo un partito che si battesse per la tutela dei deboli e delle minoranze, che difendesse la 194 dai tentativi perenni di boicottaggio, che tutelasse la dignità di qualunque relazione di convivenza senza trincerarsi dietro inesistenti divieti costituzionali. Vorremmo candidati che ci parlassero senza timore dell’autodeterminazione della persona in materia sanitaria, del nostro diritto negato a entrare nella morte a occhi aperti.
Occorre una nuova etica laica, nella sfera pubblica e in quella privata: una rifondazione totale della politica che nasca da una rinata consapevolezza dei diritti comuni e di quelli individuali, da un ritrovato rispetto per l’altro e per il diverso, da una piena valorizzazione della libertà di coscienza. Più che di primarie abbiamo un gran bisogno di priorità.