11 ottobre 2013: si registrano centinaia e centinaia di sfollati sulle coste di Lampedusa, 600 morti, tutti clandestini in fuga dalla propria patria per cercare speranza e futuro altrove. E altrove significa nel nostro paese. Donne, bambini, uomini: qualcuno o qualcosa ha voluto che nessuno venisse risparmiato. Una vera e propria strage, come si è detto allora. Ci sono isolani che da quel giorno sono finiti in terapia, incapaci di superare lo shock, di cancellare dalla loro mente le immagini di uomini morti – alcuni, come racconta un pescatore del luogo, tra le proprie braccia -, le grida di terrore e le preghiere di soccorso. Un caso umanitario di enorme rilevanza, che ha dato nuovo vigore al dibattito sugli immigrati; dibattito che crea crepe e spaccature anche all’interno dei singoli partiti, perché delicato, perché importante, ma soprattutto perché in questo paese è ancora presente tanto di quel razzismo da far venire i brividi.
Ma, forse, quando in quei giorni ministri e capi di stato hanno visitato il centro di accoglienza dell’isola non si sono accorti di quanto succedeva e sono stati capaci solamente di esprimere il loro cordoglio ad emittenti televisive. Il ruolo che ricoprono, in fondo, lo richiede.
Ma l’arroganza, il disprezzo, la discriminazione ci vengono oggi raccontati da un ragazzo che si trova nel centro da quell’11 ottobre, con un video che pochi giorni fa è stato mandando in onda dal Tg2 ed ha scatenato la polemica. “Lo scandalo del centro di accoglienza”: questa sequenza di parole sembra essere sulla bocca di ogni politico o giornalista, soprattutto perché anche la commissione europea si è espressa in merito, definendolo un abominio.
Beh, in effetti.. se è l’ “Europa” a dirlo sarà pur vero. E tutti, come pappagalli, lo stiamo a ripetere.
La mia domanda è: perché fino ad oggi tutti hanno fatto finta di avere gli occhi bendati di fronte a questa realtà? Perché lo Stato, dopo una prima vicinanza (forse solo apparente) ai drammi che esistono, sembra scomparire come se non fosse affar suo occuparsene, come se “il non occuparsene” non ledesse la dignità e l’orgoglio di ogni cittadino?
Ebbene sì, lo dichiaro: io non sono fiera di essa italiana e da coloro che affermano il contrario vorrei capire in base a cosa lo sono.
Non fare niente per cambiare qualcosa di sbagliato equivale a contribuire a quel qualcosa. L’italiano medio è furbo, ma incivile (e vigliacco). A partire dalle cartacce che butta regolarmente per terra, all’evasione fiscale; dall’utilizzare i mezzi pubblici senza biglietto fino al chiudere gli occhi di fronte a realtà “scomode”. Ma scomoda è la mafia, scomoda è la corruzione della politica, scomodo è anche il barista sotto casa che rilascia uno scontrino su cinque ma che “facciamo finta di niente”; scomoda è la TAV, scomodi sono i pro-TAV, i no-TAV, scomodo è denunciare quello che succede dentro i centri Caritas (non è solo a Lampedusa gli immigrati vengono trattati come esseri inferiori che dovrebbero ringraziare dio solo per il fatto di essere in Italia, anche se poi c’è chi li fa stare in fila nudi e al freddo sotto un getto di diserbante). Scomodo è timbrare il proprio cartellino e non uscire dall’ufficio per passeggiare nella piazza di paese, scomodo è accettare a livello sociale i gay (più facile considerarli “froci”, “finocchi”, “checche”, “malati”, “dissociati”, “anormali”, “culattoni”, “ricchioni”, ecc), scomodo esporsi troppo, sempre.
Io dico che se ogni italiano sottraesse un’ora della sua giornata a facebook e la dedicasse all’informazione, alla solidarietà, alla causa sociale, all’attività politica o anche solo a leggere un libro potrebbe essere una persona migliore,
e a quel punto sì che si indignerebbe a vedere questo video:
Elena Corradi