Anche se il fenomeno dei foreign fighters risulta nettamente meno critico rispetto ad altri Paesi, sono quasi un centinaio le persone transitate in Italia per raggiungere le zone di guerra mediorientali.
Foreign fighters: da mesi tra i termini più utilizzati dai media italiani e tra i più temuti dalle agenzie di intelligence di mezzo mondo.
Secondo le informazioni più recenti – risalenti ormai a quest’autunno – sono poco meno di un centinaio le persone transitate negli ultimi mesi dall’Italia con lo scopo di raggiugnere le zone calde del Medioriente, Siria ed Iraq, per combttare principalmente tra le file dell’ISIS e del Fronte al-Nusra; sei con passaporto italiano, altre sei con doppia cittadinanza.
Numeri incredibilmente contenuti, paragonati a quelli riguardanti altri stati europei che emergono da un’accurata ricerca condotta da Radio Free Europe/Radio Liberty: i foreign fighters provenienti dalla Francia sono all’incirca 1600, mentre quelli provenienti dal Belgio – paese con una popolazione che supera di poco i 10 milioni di abitanti – sono più di cinquecento: una proporzione che non può lasciare indifferenti; altrettanto critica è la situazione nel Regno Unito, paese da cui sono partiti più foreign fighters diretti in Siria ed Iraq che soldati britannici, a detta di Shiraz Maher, senior research fellow presso l’ICSR.
Una mezione a parte merita la Federazione Russa, da cui sono giunti quasi tremila foreign fighters – specialmente in Iraq – di cui ben centosessanta con passaporto russo al momento della partenza; un dato da imputare alla ormai storica presenza di numerosi gruppi islamisti – più volte scontratesi con il governo centrale, tra l’altro – nelle regioni sud-occidentali della Cecenia e del Daghestan.
La situazione italiana.
Il problema principale, ovviamente, si presenta nel momento in cui uomini – e donne, all’incirca poco più di 500 secondo un report dell’Institute for Strategic Dialogue – fanno ritorno nei luoghi di partenza; ulteriormente radicalizzati ed addestrati all’utilizzo delle armi, divengono difficili da individuare e fermare, specialmente in Paesi – come l’Italia – in cui è improbabile che si formino cellule terroristiche particolarmente strutturate, ed il vero pericolo è costituito da singoli individui pronti ad agire indipendentemente, i cosiddetti lupi solitari.
Solamente la settimana scorsa il CASA – il Comitato di analisi strategica antiterrorismo, organo formato da rappresentanti delle agenzie di intelligence e della polizia giudiziaria, incaricato di valutare le informazioni relative alle minacce terroristiche – ha ribadito quanto specificato da Giampaolo Massolo, il direttore del Dipartimento di Informazioni per la Sicurezza, quest’estate: in Italia non vi è alcuna minaccia specifica.
L’attività di prevenzione fino ad ora non ha mostrato falle importanti; dall’inizio del 2015 fino a gennaio 2016 sono state firmate dal Ministro dell’Interno 67 ordinanze di espulsione, tutte quante per motivi legati alla possibile commissione di reati a matrice terroristica.
La copertura dei media.
I media italiani hanno trattato ampiamente il fenomeno foreign fighters, portando alla luce storie fino a pochi anni fa inimmaginabili.
Tre in particolare si sono distinte su tutte le altre, in quanto hanno viso come protagonisti cittadini italiani: quella di Maria Giulia Sergio, ventottenne di Torre del Greco, convertitasi all’Islam radicale assieme al marito Aldo Kobuzi, un uomo di origini albanesi; non si hanno più notizie della donna ormai dallo scorso settembre. L’unica certezza è che oggi entrambi si trovano in Siria a combattere tra le fila dell’ISIS. Nei loro piani sarebbero dovuti essere seguiti dalle famiglie, bloccate, però, a seguito di un’operazione condotta dalla DIGOS di Milano.
Tra i primi casi a essere resi noti vi fu, invece, quello del genovese Giuliano Delnevo – una volta convertitosi iniziò a farsi chiamare Ibrahim – che nel 2013 si recò in Siria per combattere tra le fila dei ribelli siriani; ferito mortalmente due anni fa, pare essere stato sepolto nei pressi di Aleppo.
Altra storia di conversione, estremismo e lotta armata è quella di Anas El Abboubi, cittadino italiano di origini marocchine. Al momento non si hanni più sue notizie da mesi; parrebbe aver militato tra le file delle milizie anti-Assad, dopo essere stato arrestato e successivamente scarcerato nel 2013 in provincia di Brescia.
Le tensioni interne all’AISE.
Se, come si è visto, la prevenzione fino ad ora ha funzionato, ciò che preoccupa maggiormente, in realtà, sono le vicende interne all’AISE – l’Agenzia Informazioni e Sicurezza Esterna, che si occupa dell’intelligence per l’estero – il cui attauale direttore è il generale Alberto Manenti.
I problemi sono iniziati a metà dell’anno scorso, con la decisione – riportata da Globalist – di smantellare tutte le strutture periferiche incaricate di tenere i contatti con gli informatori all’estero; all’epoca in seno all’Agenzia scoppiò un putiferio.
Quest’estate, invece, un’ombra fu gettata dalla vicenda Hacking Team: fin da subito apparvero poco chiari i rapporti – venuti alla luce a seguito della clamorosa fuga di dati sensibili – tra l’AISE e la società di sicurezza informatica milanese, accusata, tra l’altro, di vendere i propri prodotti a Stati non democratici, quali Sudan ed Arabia Saudita.
A gennaio di quest’anno l’AISE è stata scossa da altre due vicende: la prima legata alla possibile nomina – successivamente congelata – di Marco Carrai, imprenditore nel settore informatico e storico amico di Matteo Renzi, a capo di una nuova agenzia, preposta esclusivamente a compiti cybersecurity; le tensioni derivanti da questa ipotesi sono state numerose, ed in parecchi hanno temuto una sovrapposizione di compiti, oltre a far notare la possibile inopportunità, sia politica che strategica, di tale nomina. Il secondo scossone – riferito da Il tempo – risale a pochi giorni fa e riguarda un insolito (e non confermato) cambio di vertici all’interno dell’Agenzia, su cui, però, al momento attuale non vi sono ulteriori notizie.
Fino ad ora, comunque, le tensioni interne all’Agenzia non hanno portato a risvolti operativi preoccupanti noti all’opinione pubblica.
Considerando che il numero di foreign fighters non potrà che aumentare – e di conseguenza il rischio di possibili azioni terroristiche sul territorio italiano – si dovrà sperare che un valzer di poltrone continui a non aver eccessivo peso sull’attività di intelligence.
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