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Italia plurinazionale: ne acquisterebbe in salute

Creato il 21 marzo 2011 da Zfrantziscu
di Diego Corraine Attorno alle celebrazioni dei 150 anni dell’Unità d’Italia, in corso in questi giorni, per troppa retorica si rischia di trascurare la sostanza dei fatti storici. Lo Stato nato un secolo e mezzo fa non corrisponde esclusivamente alla nazione italiana, ma è costituito da un territorio ben più vasto, in cui la nazione maggioritaria ha inglobato altre nazioni come la sarda o la friulana, costringendole ad uniformarsi e assimilarsi linguisticamente e culturalmente a quella italiana. L’Italia è un esempio classico di stato-nazione, in cui “prima” viene determinato, dinasticamente, politicamente e militarmente, il territorio-contenitore, e “poi” viene imposto ad ogni costo un processo di assimilazione alla nazione maggioritaria delle componenti nazionali diverse. Fino, almeno, a tutto il periodo fascista e alla sua forsennata politica di ulteriore italianizzazione. Solo nel 1948 avviene un cambiamento, con l’articolo 6 della Costituzione, e la successiva Legge di attuazione numero 482 del 1999, che riconosce e ufficializza dodici comunità linguistiche diverse dall’italiana. È chiaro, in questo quadro, che la cosiddetta Padania è solamente una escogitazione politica e che i suoi territori, comunità e culture sono tutte interne alla nazione italiana. Chiaro anche che il federalismo che oggi è proposto a sinistra e a destra è puramente economicista e non deriva dalla ammissione della plurinazionalità dello Stato italiano, come invece è avvenuto nella Spagna postfranchista o anche nella Federazione Russa. Anche se nessuno oggi pare ammetterlo, il territorio dello Stato è dunque abitato dalla nazione italiana numericamente “maggioritaria”, da altre quattro nazioni (Sardi, Friulani, Ladini, Franco-provenzali) e dalle minoranze di altrettante nazioni che hanno il loro nucleo storico fuori dai confini statali (catalani, greci, albanesi, sloveni, tedeschi, croati, occitani). Ad accettare e sancire la plurinazionalità dello Stato italiano non ci sarebbe nulla di male, visto che gli stati mononazionali sono una rarissima eccezione nel mondo. Ecco perché, almeno finché una modifica della Costituzione non indicherà tutte le singole comunità nazionali che fanno parte dello Stato, non potremo celebrare ricorrenze come quella appena trascorsa del 17 di marzo con pari entusiasmo di chi fa parte della nazione italiana, verso il cui processo di affermazione e liberazione, pienamente compiuto, va tutta la nostra simpatia. Ma noi, come Sardi che c’entriamo? Siamo stati noi, la nazione sarda, il nucleo fondante dell’attuale stato italiano o è stato il Regno di Sardegna, come entità sovrana, che ha fatto da battistrada e da rullo compressore per la liberazione della nazione italiana? Questo Regno, nato in epoca medievale per ostacolare il processo di liberazione dei Sardi avanzato dagli Arborea, si è rivelato per secoli un utile strumento dinastico, per altri e non per noi, fino a passare in mano dei duchi di Savoia che se ne sono serviti per i loro interessi. Sarebbe potuto essere, come è accaduto altrove, che una dinastia esterna incarnasse un regno nazionale sardo, così come un Regno della sola Sardegna e dei Sardi entrasse, nel 1861, a far parte di uno stato confederale italiano, ma non è stato così. Allora, se vogliamo che lo Stato attuale sia anche nostro e delle altre nazionalità, in modo esplicito e consensuale, creiamo un vasto movimento trasversale per modificare la Costituzione in senso plurinazionale. Ne deriverà, eventualmente, un’altra visione di federalismo, più corretta, coerente, moderna e in armonia con la storia e la giusta parità delle nazioni.

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