Italia ufficialmente smemorata: chiude l’Archivio di Stato

Creato il 20 agosto 2014 da Albertocapece

Anna Lombroso per il Simplicissimus

Ve lo ricordate il premier con che aria di sfida decretò la fine del silenzio e il trionfo della verità, grazie alla desecretazione degli atti relativi alle stragi per trasferirli all’Archivio di Stato, in modo da rendere accessibili annotazioni, verbali, informazioni, veline, quelli di fonte militare e dei servizi, da Piazza Fontana a Piazza della Loggia, dalla Stazione di Bologna alle bome di mafia?

Niente paura, chi preferisce le tenebre della rimozione, il silenzio dell’oblio può stare tranquillo:  con il taglio dei finanziamenti entro l’anno potrebbe chiudere l’Archivio Centrale dello Stato, l’organismo che conserva la storia del Paese attraverso milioni di documenti.  “Finora”,  ha dichiarato a Repubblica il sovrintendente Attanasio, “siamo sopravvissuti a questi tagli perché siamo stati pessimisti verso il futuro: abbiamo gestito all’insegna del risparmio, lasciando dei fondi a disposizione perché temevamo di andare incontro a periodi poco felici. Ma a partire dal prossimo anno, se la situazione non cambierà in modo radicale, l’Archivio Centrale dello Stato chiuderà”. Nel migliore dei casi la sede potrebbe essere trasferita a Pomezia, 30 chilometri da Roma, ma a quel punto consultare le carte diventerebbe un’impresa.

L’Archivio Centrale dello Stato, organo dotato di autonomia speciale del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo (Direzione Generale per gli Archivi), è l’Istituto depositario della memoria documentale dello Stato unitario, con compiti di  conservazione di consultazione e di didattica. Il 25 luglio di quest’anno ha accolto i Quaderni dal carcere di Gramsci e a ottobre dovrebbero arrivare gli atti relativi alle stragi, che possono riguardare corpi separati e che, se resi pubblici, possono contribuire a fare luce sui fatti. E proprio all’indomani del 25 luglio del ’43 si cominciò a sentire l’esigenza di assicurare la conservazione degli archivi fascisti. Ci vollero dieci anni per realizzarlo ed aprirlo agli storici e ai cittadini, con i suoi 120 chilometri di scaffali nei quali è raccolta l’autobiografia della nazione da Crispi a oggi.

Non stupisce che trascuratezza e indifferenza circondino questo luogo della memoria. Viviamo in società che si dedicano ossessivamente al ricordo, ma a quello di sé, del loro presente, impiegando gran parte del loro narcisistico impegno a fissare la loro immagine mentre sono ancora viventi. Mentre il passato anziché oggetto della storia, è diventato occasione di commemorazione, di celebrazione, per festeggiarlo, in modo che l’esecrazione di delitti, crimini, errori resti ai gufi, ai disfattisti a chi vuole alimentare irresponsabile conflitto, invece di nutrire benevola e appagante pacificazione. Che poi anche la storia, come tutto il patrimonio artistico e culturale, non produce quattrini a meno di venderla, a giornalisti in vena di scoop postumi, a divulgatori a dispense. E presto potremo assistere a una sua profittevole cancellazione dai programmi scolastici, sull’esempio degli Stati Uniti e delle loro scuole dove il suo insegnamento è marginale e dove genitori nostrani che hanno subito la fascinazione del pensiero neoliberista, mandano i loro figli per sviluppare competitività, ambizione e gioiosa superficialità.

E siccome l’America ci ha colonizzato anche l’immaginario, al tempo stesso la memoria diventa oggetto di esposizioni occasionali e effimere, di musei “dedicati” che celebrano brandelli di società, dagli spaghetti al vino, mentre  un repertorio di valori e di significati che erano stati largamente condivisi attraverso i secoli è   diventato, in parte, arcaico, inutile, morto.

In attesa che si faccia avanti qualche discutibile collezionista e bibliofilo privato, qualche dell’Utri appassionato dei diari del Duce, per accaparrarselo l’Archivio, come è già stato fatto con il patrimonio librario della Biblioteca dei Girolamini,  questo ceto politico futurista probabilmente si chiederà se è redditizio insegnare la storia a coloro che non l’hanno chiesto e ai quali obsolete tradizioni educative richiedono che si insegni. Mentre è talmente più  moderno e proficuo puntare sul presente, esaltarlo, testimoniarne tramite tweet, mentre il futuro, riservato a categorie privilegiate, è oggetto di annunci distratti e subito smentiti, di misure emergenziali che ne limitano i confini e dilatano i tempi, in modo che il domani rientri nella categoria dell’utopia criticabile in quanto poco realistica, poco pragmatica, poco moderna.

Ormai  solo Google è depositario di memoria quasi indelebile e le gesta dei potenti lasciano come impronta mausolei della corruzione, piramidi dell’inutilità, tunnel in fondo ai quali è sceso il buio sulla ragione e sulla civiltà.


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