Stasera gioca l’Italia (o l’Itaglia) e anche per un blog un po’ allo sbando come questo mi sembra giunto il tempo di occuparsene.
Prima di tutto devo rendere conto di questa distinzione (che parrà arbitraria, ma completamente arbitraria non è). Definisco “Italia” la nazionale calcistica italiana quando rappresenta in modo fedele il paese, con le sue luci e le sue ombre, con una leggera prevalenza delle prime. È l’Italia che ci piace, che si guadagna il pane anche con astuzia, mai con furbizia. Un’Italia fatta di tanti portatori d’acqua e qualche campione purissimo (magari sfigato, infortunato, dato per finito, ma nuovamente in piedi quando meno te l’aspetti). Definisco “Itaglia” la nazionale calcistica italiana quando rappresenta in modo fedele il paese, col le sue luci e le sue ombre, ma con una spiacevole prevalenza delle seconde. È l’Italia che non ci piace, quella del presenzialismo cafone, che non solo rubacchia (o ruba), ma che pure se ne vanta. Un’Italia fatta di campioni presuntuosi e arroganti, forte coi deboli e debole coi forti. È ovviamente molto difficile distinguerle, queste due Italie. Ma ripercorrendo la storia delle partecipazioni degli azzurri alla fase finale dei mondiali (quelle che mi ricordo, ovviamente) propongo questo mio personale consuntivo.
1934. Itaglia. Vinciamo i mondiali in casa, col duce in tribuna, ladrando la semifinale (o erano i quarti?) con la Spagna.
1938. Italia. Il successo è bissato a Parigi. Ma qui, fuori casa, la superiorità degli azzurri di Pozzo mi pare ineccepibile.
1966. Itaglia. A casa con la Corea per un gol fatto da un dentista. Ma questo è il meno. Fabbri lasciò a casa i migliori uomini (quelli dell’Inter) per favorire i suoi bolognesi.
1970. Italia. La semifinale contro la Germania, il famoso 4-3, basterebbe. Ma era una squadra simpatica: Cera, Burnich, Domenghini, Facchetti, Boninsegna, Mazzola, Rivera, Riva…
1974. Itaglia. In Germania offrimmo un indecoroso spettacolo di disunità nazionale e arroganza (Chinaglia mandò persino a quel paese Valcareggi).
1978. Italia. Nell’anno dell’omicio di Aldo Moro, l’Italia di Bearzot fece vedere un ottimo calcio e non riuscì a raggiungere la finale solo per colpa di un paio di tiri da lontano dell’Olanda (la grande Olanda).
1982. Italia. Zoff, ancora Bearzot e Pertini. Soprattutto tanto Paolo Rossi (il resuscitato per eccellenza). Vittoria meravigliosa (sulla Germania) dopo una ancora più meravigliosa partita eliminatoria contro il Brasile. Di quella squadra mi piace ricordare Gaetano Scirea, guida impeccabile di una fortissima difesa.
1986. Itaglia. Canto stonato del cigno per Bearzot. Il vero cigno, quella volta, fu Platini.
1990. Italia. Perdemmo ai rigori con l’Argentina la semifinale di Napoli. Ma il tandem Baggio Schillaci funzionava bene. Dopo quella del 1978, forse la nazionale più forte che io ricordi.
1994. Italia. Baggio super nel campionato USA. E dolorosissima finale persa col Brasile. Ma era un’Italia che sapeva soffrire (Berlusconi aveva appena vinto le elezioni politiche).
1998. Itaglia. Non brillò l’Italia di Maldini in Francia. Ricordo solo quel tiro di Baggio, a lambire il palo. Se entrava quello, chissà.
2002. Itaglia. Infame mondiale nippo-coreano. Per giunta, solita alzata di scudi contro l’arbitro cornuto considerato responsabile di una sconfitta (coi padroni di casa coreani). La sconfitta fu meritata (quelli correvano di più). Penoso Trapattoni e la sua acqua santa.
2006. Itaglia. Del mondiale vinto in Germania salvo solo la partita coi padroni di casa (2-0 a Dortmund entrato nella storia). Per il resto m’incazzo ancora oggi quando ripenso alla faccia da imbecille di totti con la bandiera sulla testa che bacia la coppa. Festeggiamenti al Circo Massimo degni di un paese del terzo mondo.
2010. Eh. Italia o Itaglia? Vedremo.