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Italian Horror Fest Città di Nettuno: “Il tunnel sotto il mondo” di Luigi Cozzi

Creato il 02 settembre 2014 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

I film di Luigi Cozzi, con l’amato regista presente in sala e pronto a sciorinare aneddoti su aneddoti, hanno rappresentato una delle attrattive di questa edizione 2014 dell’Italian Horror Fest Città di Nettuno, svoltasi dal 4 al 9 agosto e rivelatasi quanto mai scoppiettante. Parlando del buon Cozzi, abbiamo usato l’espressione “presente in sala”. Ma sarebbe stato forse più giusto dire “presente in spiaggia”. Già, perché nella cittadina laziale le proiezioni hanno luogo all’Arena Pro Loco, ovvero sul grande schermo bianco posto a poche decine di metri dal mare, con davanti un palco che ogni sera vede alternarsi i diversi ospiti del festival, felici di raccontarsi e di raccontare la genesi dei propri lavori. Una scelta indubbiamente suggestiva. E così, in una giornata inaugurale caratterizzata anche da pazzi urlanti armati di motosega, spaventose figure femminili e altre creature da incubo impersonate dai teatranti di turno, chiamati pure quest’anno a vivacizzare la serata, il maxi-schermo all’aperto ci ha invitato alla riscoperta di un gioiellino datato 1969: Il tunnel sotto il mondo.

Viaggio lisergico in un immaginario e in un modo di fare cinema che appaiono estremamente remoti nel tempo, il lungometraggio d’esordio di Luigi Cozzi può risultare oltremodo spiazzante per chi ha familiarità con i vari L’assassino è costretto ad uccidere ancora, Starcrash, Contamination, Hercules, che pur nella loro diversità rappresentano altrettante declinazioni di un cinema dalle forti ambizioni popolari. Ispirato all’omonimo racconto di fantascienza scritto da Frederik Pohl nel 1955, Il tunnel sotto il mondo è invece la summa delle libertà narrative e di montaggio, del taglio para-godardiano, dell’approccio critico/satirico alla società dei consumi e di una parafrasi decisamente sfrontata, per non dire straniante, del cinema di genere, così in voga nelle produzioni cinematografiche di quegli anni. Per farsene un’idea basterebbe dare un’occhiata ai primi film di Tinto Brass, in particolare L’urlo (1968) e Nerosubianco (1969), oppure a Escalation (1968), lo strepitoso debutto cinematografico di Roberto Faenza, cineasta trasgressivo agli inizi le cui regie sarebbero andate “normalizzandosi” sempre di più, purtroppo, nei decenni a venire.

Il tunnel sotto il modo di Luigi Cozzi

Ecco, fatte queste premesse, riassumere la trama del film di Cozzi è impresa che “scoraggerebbe un Ercole macellaio”, volendo riadattare per l’occasione un aforisma di Emil Cioran. Scene drammatiche che si ripetono più volte da angolazioni differenti. Curiosi detour metafisici. Personaggi che sembrano comparire dal nulla e altrettanto misteriosamente si defilano. Monologhi di computer saccenti che filosofeggiano su Dio e sul mondo. Sulla falsariga del romanzo il plot allude, almeno inizialmente, a una società tenuta sotto rigido controllo dalle manovre di scaltri ricercatori pubblicitari; ma come si sarà facilmente intuito la narrazione diventa, strada facendo, sempre più sconnessa nonché incline a integrare derive visionarie d’ogni tipo. E il fatto che tale loop spazio-temporale si verifichi in un ipotetico 32 luglio, la dice lunga sui toni paradossali dell’opera.

Quasi a contrastare con le scelte alquanto cerebrali e lambiccate operate nel film, i divertenti racconti dello stesso Cozzi hanno saputo contestualizzare il tutto, smitizzandone l’intellettualismo di fondo e mettendolo in relazione con l’esigenza di imbrogliare un po’ le carte, da parte di un giovane cineasta desideroso allora di farsi notare. Nacque così, praticamente a tavolino, il progetto di un’opera cinematografica concepita anche con l’idea di essere selezionata al festival di fantascienza triestino, manifestazione culturale piccola ma in rapida ascesa. Tra autoironia e gusto dell’aneddotica, il regista si è poi soffermato sulle sequenze allungate ad arte, col rischio di indurre un po’ di noia nello spettatore, per conferire lo status di lungometraggio a un lavoro dal minutaggio ancora incerto. Eppure, sempre pescando tra le piccole anticipazioni fornite dall’autore prima della proiezione, ce n’è una il cui riscontro pratico ci ha strappato sorrisi a non finire: l’assenza improvvisa dell’attore convocato per un piccolo ruolo, situazione che ispirò al giovanissimo Cozzi un irresistibile cameo, dal look stile cantante “beat” e con voce di donna inserita in doppiaggio! Un’aurorale dimostrazione, questa, dello spirito autarchico e artigianale che saprà confermarsi nelle pellicole più commerciali, dichiaratamente di genere, sfornate successivamente dallo sfrontato e poliedrico cineasta.

Stefano Coccia      


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