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"Italiano per l’anagrafe, romeno nel cuore". Intervista a Luca Bistolfi

Creato il 26 agosto 2011 da Sulromanzo

Luca BistolfiGiornalista e romenista, due delle definizioni che ti potrebbero caratterizzare. Dichiaratamente innamorato dalla Romania, o per meglio dire, un romeno nel cuore, italiano per l’anagrafe. Come e quando nasce questo sentimento per la Romania?

Innanzitutto mi permetto di correggere le tue definizioni. A giornalista aggiungerei scrittore, tanto per chiarire che non mi sento di appartenere esclusivamente alla prima categoria, vista la situazione penosa in cui versa. Per quanto riguarda invece il termine romenista, bisogna distinguere. Purtroppo col tempo le parole tendono a perdere il loro significato originale o, quanto meno, qualche sfumatura davvero importante. Oggi per romenista si intende l’accademico che si occupa della Romania e della lingua romena; e anche qui, considerando che genere di studiosi sono i romenisti italiani – e mi riferisco a quelli usciti dall’inferno del ’68 e i loro attuali allievi – allora mi tocca respingere questa definizione in maniera ancor più categorica di prima. Se però per romenista intendi una persona che studia e rivendica la romenità come totalità storico-culturale, politica e metastorica, allora sono un romenista al cento per cento.

La passione per la Romania è inspiegabile. Era un giorno di fine 2009 e aprii un testo in romeno per la prima volta nella mia vita, come gioco. Un’amica di Piatra Neamt che era accanto a me, mi disse stupita: “Tu hai studiato romeno ma te lo sei dimenticato”. Nient’affatto, però era come se fosse realmente così. Poi già negli anni dell’adolescenza mi ero innamorato di alcune figure romene, tra cui quella splendida di Corneliu Zelea Codreanu, il fondatore e Capitano della Legione Arcangelo Michele, su cui – lo dico per inciso – in Italia si sa pochissimo e questo pochissimo è solo un cumulo di sconcezze e menzogne. Potrei riassumere questo amore per la Romania con un’espressione che adopero sovente: è la mia terra. Quando ho messo piede sul suolo romeno è stato come se fossi tornato a casa dopo una lunghissima e inconsapevole assenza, durata svariati secoli. Vi sono andato per la prima volta nel 2010, è pertanto un anno che sono rientrato in Italia, ma solo con il corpo: mente e cuore sono ancora laggiù. Tu pensa che, pur occupandomi pressoché quotidianamente di Romania, non riesco a guardare né fotografie, né filmati perché scoppio a piangere come un bambino abbandonato da sua madre. E mi capita la stessa cosa se ci penso o ne parlo in una certa maniera oppure se ascolto una doina. Non sto esagerando, debbo compiere un grande sforzo per tenere a bada questo richiamo primigenio. Sono un “vecchio” piemontese, e da otto generazioni, quindi non certo il tipo che si lascia andare a confidenze pubbliche sui propri stati d’animo. Ma questo te l’ho voluto dire perché è un’esperienza così potente e unica, almeno per me, che può inquadrare bene il mio rapporto con quella terra e rispondere nella maniera più adeguata alla tua domanda.

 

La Romania è un paese poco noto per la maggior parte degli italiani, perché, secondo te? Perché, legato a questo nome, emergono solo informazioni superficiali e una gran confusione riguardo a temi come Ceausescu, Vald Tepes, quindi Dracula, o altre icone tradizionali che rappresentano i romeni oltre i confini?

Potrei essere feroce su quest’argomento. La Romania è poco nota ovunque e lo è anche per le nuove generazioni di romeni, quelli nati dopo il 1989, un anno che non si maledirà mai abbastanza. Che in Italia la Romania sia poco e male conosciuta questo non deve stupire: non si pensi che gli italiani abbiano più conoscenza dell’Ungheria o della Cina o di qualsiasi altro Paese. Ciò che invece dovrebbe far riflettere è che ad essere superficiale è la romenistica italiana. Io sono un collezionista di materiale romeno cartaceo, insomma di libri, usciti in Italia. Se ad esempio debbo fare un raffronto sulla base delle traduzioni tra gli anni avanti la seconda guerra mondiale e i successivi, soprattutto quelli post-sessantottini, allora c’è da piangere. Oggi non si traduce più niente, quel poco è a mio avviso di enorme trascurabilità. Quel Norman Manea (l’autore del Ritorno dell’uligano), che tanto piace a certi intellettuali di casa nostra: oltre ad essere un pessimo scrittore, non era neppure romeno! Anzi, odia la Romania. Poi traducono Paul Goma, un oppositore del governo nazionalcomunista di Ceausescu: provate a leggerlo, e poi mi direte… se questo è uno scrittore. Invece, tanto per dire, da anni non si traducono più i classici come Eminescu, Ion Creanga, Vasile Alecsandri, Caragiale. L’attuale letteratura romena è penosa a confronto coi grandi classici di quella terra. Certo, è così in tutti i Paesi, gusto e intelligenza sono stati gettati alle ortiche, però che i romenisti italiani non importino certe schifezze per cortesia! E poi c’è la questione storica che giustamente tu ricordi. Tanto per dirne una: sai quante biografie di Nicolae Ceausescu esistono in italiano? Ze-ro. Ripeto, nessuna. Però son tutti lì pronti a solfeggiare la morale contro il Conducator e a tradurre i libri dei dissidenti. E nota che questi stessi traduttori sono tutti uomini di sinistra o comunisti, che quando Ceausescu era in auge e applaudito dai governi di tutto il mondo (da Nixon a De Gaulle, passando per la regina Elisabetta d’Inghilterra), loro ne erano i più strenui difensori, come d’altra parte tutti i partiti d’ispirazione comunista occidentali. Dopo il Natale 1989 si sono scoperti tutti democratici e naturalmente anti-ceausisti. In Italia oggi non esiste alcun lavoro serio dal punto di vista storiografico, né traduzione di certi libri che di recente sono usciti in Romania, sulla storia anche recente di questa terra e del suo popolo. Qualche anno fa, ad esempio, sono usciti due catastrofi saggistiche su Cioran, Eliade, e i due Ionescu, Nae e Eugen e i loro rapporti con la Guardia di Ferro. Non voglio neppure citarli per non far loro pubblicità, anche se invero scrissi un lungo e impietoso articolo su di essi. Sono saggi da cui affiorano errori e menzogne; il tutto per disinformare nella maniera più scientifica possibile Codreanu, la Guardia di Ferro e il meglio della cultura e della politica romene del Novecento. Posso dire che i lavori davvero utili sulla Romania sono stati prodotti dal professor Claudio Mutti e da pochissimi altri studiosi, e non certo legati al mondo accademico o giornalistico.

Su Dracula, visto che lo hai citato, potresti leggere il mio articolo uscito sul numero di luglio della rivista Studi cattolici: c’è buona parte di ciò che si deve sapere, ossia che ciò che in Occidente si (mis)conosce è un contraffazione vera e propria.

 

Da acuto osservatore della realtà contemporanea romena, in che direzione secondo te sta andando la Romania?

È evidente che dopo il colpo di Stato del 1989 contro il governo ceausista, tutti avessero delle speranze di miglioramento e di crescita. In effetti la crescita c’è stata: della fame, della miseria, della disoccupazione, dello smarrimento e dei conti in banca di alcuni boiardi di Stato, nonché del potere dei noti club dell’usurocrazia mondialista. Per capire che cosa sia oggi la Romania, è necessario conoscerne ed esporne la storia in una certa maniera, non come si trova nei manuali scolastici oggi in circolazione. Per come la vedo io, l’unica speranza che abbia avuto la Romania, dalla metà Ottocento in avanti (prima c’erano i Turchi ed era altra musica per fortuna), era la Legione Arcangelo Michele. Oggi siamo alla massima desolazione. Caduto Ceausescu, la mentalità occidentale sta devastando quel popolo. Adesso poi che, pare nel 2014, entrerà l’euro sarà la catastrofe. Ormai la Romania è una terra desolata: prima il comunismo (sul quale però c’è molto ancora da discutere), poi la democrazia e l’Occidente. I secondi hanno compiuto molti più danni del primo. Tuttavia mi auguro che ciò che ho visto laggiù in alcune zone e ciò che posso intuire, sia reale: esistono sacche di resistenza spirituale connaturate allo spirito del popolo romeno. C’è qualcosa di particolare in esso e sarà difficile fare completamente tabula rasa, anche se la radioattività della mentalità moderna è davvero perniciosa. Per quanto mi riguarda, cercherò di fare il mio dovere, sapendo però che siamo alla fine di un ciclo e che la Romania non è esclusa dalla “resa dei conti” finale. Però ha un vantaggio su molti altri Paesi: la sua storia sacra. Per me la Romania resta la terra del larice, questa sontuosa e intelligentissima pianta di cui quella terra è piena: a ogni inverno sembra morire definitivamente, ma poi in primavera esplode in tutto il suo vitale rigoglio. La Romania adesso vive il suo inverno, molto rigido: la primavera però non mancherà di arrivare anche questa volta, nonostante quest’inverno sia il più rigido che si sia abbattuto sulla Romania da molti secoli.

 

Sono numerose le pubblicazioni che portano la tua firma, specie in ambito giornalistico, c’è qualche tuo progetto futuro più articolato che tratti la Romania? Puoi anticiparci qualcosa?

Numerose non direi, diciamo che scrivo quando gli impegni lavorativi me lo consentono (pensavi che vivessi di giornalismo? Illusa!). Adesso sto lavorando a un saggio sulla storia sacra della Romania, dai primordi a oggi. Si tratta d’un lavoro unico e molto faticoso. La Romania possiede un tesoro spirituale enorme e in questo libro tento di evidenziarlo. Ma il mio è un approccio un po’ particolare, non si tratta infatti d’un lavoro di erudizione, che mi ripugna, quanto piuttosto una messa a punto di frammenti sparsi qua e là, a cui io provo a fornire coerenza e armonia, ampliandoli. Ad esempio all’inizio del lavoro spiego il vero significato del nome Romania: prova a chiedere ai nostri eruditi o ai tuoi conterranei se lo sanno. Naturalmente la mia non è una prospettiva storiografica classica, anzi. Il solco entro cui mi colloco è prettamente tradizionale, nel senso rigoroso che dà a questo termine René Guénon. Sto poi attendendo alla traduzione e alla curatela di un libro di un giornalista romeno sulla fine dei Ceausescu. Un’inchiesta da lasciare di sasso chiunque e che naturalmente, a quanto mi consta, nessun esperto di Romania, dico di quelli pagati migliaia di euro al mese, ha preso in considerazione. Ma su questi progetti non posso dire di più, solo suggerisco di tenere d’occhio le novità librarie dei prossimi mesi. Detto questo mi taccio. Avrei ancora mille e mille cose da dire sulla Romania, ma… debbo andare a scriverne!

 

Grazie, Luca, e buon lavoro!

Grazie a voi.

 

Luca Bistolfi, nato a Torino nel 1978, è giornalista pubblicista e scrittore. Si occupa della Romania, e in particolare della sua storia sacra, di storia della musica e di storia delle religioni. Scrive su il nostro tempo, Studi cattolici, Coordinamento Politico Eurasia, EaST Journal e di tanto in tanto su testate in lingua romena. Nel 2010 ha composto una postfazione al romanzo “Per chi crescono le rose” della scrittrice romena Ingrid Beatrice Coman. Al momento sta lavorando a un saggio sulla Romania tradizionale e alla traduzione di “Sfarsitul Ceausestilor. Sa mori impuscat ca un animal salbatic di Grigore Cartianu” (Editura Adevarul), la prima e unica inchiesta sulla morte di Nicolae Ceausescu e sul colpo di Stato del dicembre 1989. Nel 2011 ha pubblicato per l'editore Effepi di Genova “La morte di Wagner. Menzogne, reticenze e un possibile omicidio”, in cui ricostruisce la scomparsa del musicista di Lipsia scoprendo scenari insospettabili e sino a questo momento mai sondati dagli addetti ai lavori. Il suo indirizzo di posta elettronica è [email protected].


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