
“Se in questo paese sappiamo fare le automobili, dobbiamo saper fare anche la benzina”.
Enrico Mattei – imprenditore dello Stato
Nel grande deserto del passato, cammino lungo la pista della storia conosciuta. La via è ben tracciata, non c’è rischio di perdersi tra le dune di sabbia color oro e le rocce nere picchiate dal sole.
Un vento caldo mi soffia in faccia, fischia tra le gole rosse, si gira su se stesso in vortici tumultuosi, agita visioni temporali.
Appaioni luoghi, si mostrano personaggi, si muovono le scene.
Sono nel Tempo, sono nella Storia.
Scorgo un uomo in lontananza, viene verso di me. È alto, asciutto di fisico, indossa giacca e cravatta. Il suo nome è Enrico Mattei, ed è morto da cinquatatrè anni. Lo guardo camminare sulla sabbia, l’osservo mentre compie la sua vita, la sua opera, il suo potere.
Una nuvola nel cielo si divide in quattro parti che disegnano su sfondo azzurro quattro numeri. 1. 9. 4. 5.
1945, l’anno dell’inizio del nostro racconto.
Il vento soffia più forte, il deserto muta, si trasforma, la sabbia si alza, si compatta in forme e cose, prende colore; è irriconoscibile: lo spazio vuoto ora è colmo, affollato di gente, carico di oggetti, costruito in stanze, palazzi, strade, città.
Il grande deserto del passato diventa l’Italia del secondo dopoguerra, appena poche ore dopo che i cannoni han smesso di tuonare.
Il panorama di fronte a mie occhi è palcoscenico di quello che è stato. Il passato si mette a fuoco.

Guardo una riunione del 28 aprile 1945. La Commissione centrale per l’economia del CLN – Comitato Liberazione Nazionale discute riunita. Sulla poltrona più grande è seduto il presidente Cesare Merzagora.
“Signori, è deciso.
L’incarico per la liquidazione dell’Agip, su proposta del consigliere Mario Ferrari Aggradi, è assegnato al Ragionier Enrico Mattei.
In quanto imprenditore nel ramo degli oli industriali nonché capo partigiano di provata capacità e fede, lo riteniamo essere persona più adatta rispetto altri.”
Il presidente firma l’atto di nonima.
La compagnia petrolifera pubblica deve essere smantellata, e i pezzi svenduti, per disfarsene.

Excursus. Agip, acronimo di Azienda Generale Italiana Petroli, è nata nel 1926 per Regio Decreto. Suo core business sono tutte quelle attività relative all’industria del petrolio e al suo commercio.
Oltre che in Italia, opera in Iraq, Libia, Albania, Romania, Eritrea. Durante la seconda guerra mondiale il direttore della divisioni ricerche è l’ingegnere Carlo Zanmatti, divenuto poi commissario sotto l’autorità di Salò.
Nell’autunno del ’44 l’azienda scopre importanti giagimenti di gas naturale nei pressi del piccolo borgo di Caviaga, nel lodigiano. Zanmatti, manager in gamba e tecnico di razza, per evitare che i tedeschi ne approfittino, fa chiudere immediatamente il pozzo e ordina ai suoi di tenere la bocca chiusa.
Quello è un bene dell’Italia, e di nessun altro.
Con la fine della guerra si prospetta per l’Agip una fine ingloriosa: la sua soppressione. Diplomatici americani d’alto bordo auspicano la chiusura dell’attività, trovando validi appoggi a casa nostra. Abbiamo perso una guerra, gli angloamericani ci hanno battuti, quel lumicino di potere nazionale e internazionale soppravvissuto è assolutamente vincolato alle decisioni dei vincitori, i nuovi padroni.
Il progetto della politica asservita agli interessi di Washington e Londra è di smembrare l’azienda e lanciarne le ossa agli unici investitori che possono accollarsi i costi di gestione: le società petrolifere americane e britanniche, con l’acquolina alla bocca, lanciate alla conquista nel risiko globale dell’industria energetica.
Una partita tutta da giocare negli assetti geopolitici che la vittoria nella seconda guerra mondiale ha generato. In Italia si vuol impiantare una bandierina straniera al posto di quella dell’Agip.
A dare motivazioni, spiegazioni e scuse alla necessità di una privatizzazione verso l’estero di quello che è nazionale, c’è la difficile situazione dell’azienda stessa. Conti colabrodo. Impianti scassati. Attrezzature arruginite. Refugium peccatorum di vecchi funzionari della burocrazia fascista. Dirigenti metabolizzati dalle loro stesse amatissime poltrone.
Agip: Associazione Gerarchi in Pensione.
Agip: Azienda Generale Infortunati Politici.
Meglio sbarazzarsi di quella vecchia trivella italiana. Organizzano un funerale. Dentro la bara, l’Agip, e a officiare l’esequie, Enrico Mattei, nella veste di becchino designato. Ma son panni che al commissario straordinario non piacciono.
“Non mi entusiasma entrare in una bottega per tirare giù la saracinesca”.

Gli alleati non vedono l’ora che quella saracinesca sia tirata giù.
D’altronde nel Centro Sud, saldamente già sotto l’influenza USA, opera la CIP – Comitato Italiani Petroli, unica struttura autorizzata dal comando americano a distribuire prodotti petroliferi, e c’è l’intenzione del quartier generale ad allargare il ramo d’azione anche alle regioni settentrionali appena conquistate.
È la testa di ponte per una seconda invasione, questa volta a carattere energetico.
Nei due anni che seguono la fine del conflitto, la Gulf Oil e la Standard Oil, due colossi a stelle e strisce, davanti alla mappa dello stivale tracciano le rispettive zone d’interesse.
Alla Gulf la Sicilia, alla Standard il Nord.
Il ragioniere s’insospettisce quando alcune compagnie americane offrono una cifra esagerata per degli impianti obsoleti. Perché quella generosità? Prima di vendere tutto, il commissario speciale decide di vedere cosa c’è dentro l’Agip.
E scopre che non ci sono solo conti in rosso e ruggine, ma c’è un tesoro in termini umani.
L’azienda ha tra le sue fila un piccolo esercito di tecnici dalle competenze senza pari, attaccati alle sorti della società, uomini dall’indiscutibile professionalità.
Uno di questi è proprio Carlo Zanmatti, con cui Mattei in un primo momento instaura un rapporto di diffidenza se non proprio di aperta ostilità. Ma poi i due uomini si annusano, si conoscono, si rispettano: Mattei capisce la serietà e la capacità sul campo di Zanmatti.
Mattei può contare su un braccio destro di gran valore.
Ed ecco i due, dirigersi lesti verso il pozzo occultato di Caviaga, il pozzo segreto. Lo riaprono. Sotto Caviaga c’è il metano.
Lì, nel lodigiano, c’è la metamorfosi nelle intenzioni di colui il quale doveva essere solo un becchino di un vecchia carretta statale: nasce la passione, s’innamora dell’Agip. Il funerale è rimandato, il cadavere è in piedi e vive.
Gli americani s’arrabbiano. Chiudono il generoso rubinetto del Piano Marshall (European Recovery Program – ERP) per quanto riguarda lo sviluppo petrolifero dell’Italia.
Ma è ovvio, perché dovrebbero dar soldi a chi progetta di nazionalizzare l’industria energetica e di porre un ostacolo all’espansione nella Penisola delle grandi società del Nuovo Mondo? Sarebbe come finanziare la concorrenza!
Le compagnie petrolifere trovano alleati a casa nostra, nei circoli economici liberisti, e nelle grandi aziende interessate alla privatizzazione del settore.
Il cerchio dei nemici s’allarga.
Enrico Mattei impersonifica due modi di vedere le cose, è esempio per alcuni, avversario per altri. Nella vita e nell’opera dell’uomo due mondi contrapposti prendono posizione.
Esempio o avversario?
Mattei simbolo di rinascita o Mattei simbolo di ostacolo alla crescita?
Mattei è al centro di un dibattito economico, sociale e politico inesaurito: il ragioniere è nel mezzo, lui stesso è la linea del fronte nella guerra delle idee tra statalisti e liberisti.
Guardo il personaggio storico, si sdoppia. Due Mattei seduti nel deserto del passato, l’uno di fronte all’altro. Mattei buono. Mattei cattivo.


Mattei cattivo: esempio vivente di come lo Stato tenti di ostacolare la libera iniziativa privata con le sue ingerenze. Per i liberisti rappresenta uno Stato invadente, populista, di vecchia concezione, inefficiente.
Enrico Mattei come tipica figura di raccordo tra il potere economico e quello politico italiano che li unisce, Mattei maneggione e trafficone.
Quando la politica ciarliera s’invischia nei settori industriali non può che modificare gli stessi in peggio, rendendoli strumenti al servizio dei partiti. Il rapporto distorto tra industria e politica, fatto di corruzione, clientelismo, sprechi, sfociato nel terremoto di Tangentopoli del 1992, ha nell’Agip la sua origine.
Raccomandazioni, finanziamenti che puzzano, favori, clientelismo paisano (con i concittadini marchegiani): son cose che esistono in abbondanza nelle aziende dirette dal nostro.
Nella fase più euforica, di forte espansione, acquisizione dopo acquisizione, di investimenti multimiliardari a go go, i suoi tanti detrattori collezionati durante la sua strada imprenditoriale lo accusano di essere il più grande sprecone di Stato, un distruttore di ricchezza pubblica, e non un creatore, come abilmente si mostra agli italiani.
Mattei sperpera il denaro dei cittadini, lo attaccano con il dito puntato.
Portano come prova i numeri: l’indebitamento dell’ENI difatti è una voragine, un buco nero che fa paura. E diamoli anche noi i numeri. Nel 1962, prima della sua scomparsa, il debito societario è un mostro bulimico di 700 miliardi di lire (di allora).
Ma da qualsiasi parte si studi la sua epopea, si capisce che Mattei non è persona comune, lui ha una missione, che vuol realizzare con dedizione febbrile.
Appunti: A Caviagia c’è gas, non petrolio. Valorizzare al massimo il gas. Vendere il gas alle 12.000 industrie della Pianura Padana. Finanziare con il metano la ricerca del petrolio.
Questa è la strada giusta, anche se ingombra di ostacoli burocratici come pastoie normative, permessi, piani regolatori. La Repubblica delle carte bollate rischia di soffocare tutto il progetto con le sue lungaggini e i labirinti di regolamenti.
Il ragioniere agisce, la scena che vedo compiersi è emblematica per capire il suo carattere risoluto e spregiudicato.
Quasi fosse un’operazione militare di commandos, le squadre Agip lavorano di notte, un po' come ladri. Le pattuglie volanti armate di ruspe e di martelli pneumatici, quando tutti dormono iniziano a trafficare leste, a scavare senza permessi e autorizzazioni.
Il giorno dopo proprietari terrieri o sindaci, incazzatissimi, protestano viola in viso.
Sbuca il capo, il ragioniere che si scusa del tremendo errore dei suoi uomini, e con indennizzi (o con la prospettiva di lasciare tutto quel pasticcio di buchi e mucchi di terra lì com’è) ottiene sempre quello che vuole, cioè di portare a termine il lavoro iniziato di soppiatto, basta che facciano in fretta e che si levino dai piedi.
È un brutto tiro, un po' truffaldino, alla vecchia burocrazia polverosa, completamente aggirata. Gestaccio dell’ombrello alle carte bollate.
Un’altro episodio significativo avviene il 13 giugno 1949: il gioco di prestigio di Cortemaggiore. Convoca politici e giornalisti per una visita ufficiale, ci si aspetta qualcosa di importante.
Colpo di scena, signore e signori!
Dal pozzo, che fino a quel giorno buttava fuori solo metano, ora zampilla petrolio! Eccolo, il petrolio italiano! Che meraviglia! Le testate giornalistiche del Paese, gongolano, Enrico sugli scudi!
Lo sviluppo dell’Italia è in quei zampilli di oro nero. Euforia. Sbornia di petrolio. Un trucco, vuoi per l’ingenuità del tempo, vuoi per il desiderio di benessere, che funziona.
Slogan: “la potente benzina italiana”; la “Supercortemaggiore”. Enrico Mattei ha il cilindro in testa, un mago, affubalatore di folle. Il boom economico ha il suo carburante, a tutta birra allora, italiani.

La Supercortemaggiore è però taroccata. C’è sì del petrolio nella Pianura Padana, ma assolutamente non sufficiente alla domanda interna, che cresce.
La maggior parte della potente benzina italiana viene dalla Persia ed è fornita dalla Anglo-Iranian Company. È un bluff, ma con l’obiettivo strategico-politico di creare un’esigenza di un monopolio statale. L'Italia deve convincersi che ha bisogno di benzina sua propria, e ne ha bisogno per proteggere l’interesse nazionale dalle mire estere.
Da Washington arrivano minacce. È inammissibile che una nazione suddita come l’Italia osi solo pensare ad un monopolio protezionistico nel campo del petrolio.
Badate bene, italiani, sono a rischio tutti gli accordi economici di cooperazione. Fate occhio, che poi gli USA non vi aiutano più.
All’improvviso, laggiù, un bagliore attira la mia attenzione. Una gigantesca fiamma di oltre cento metri si alza verso il cielo, illuminandolo. Il pozzo numero 21 di Cortemaggiore ha preso fuoco, l’incendio si scorge da chilometri di distanza, è una torcia colossale nella pianura.
Gli uomini ingaggiano una dura lotta in quella che viene ricordata come la “Battaglia del 21”.
Quel pozzo maledetto non vuole spegnersi e sembra vincere su mezzi e tecnici; passano i giorni, passano le settimane, ma la colonna di fuoco non s’abbassa.
Si fanno arrivare dagli Stati Uniti attrezzature speciali ed esperti di pozzi in fiamme. Uno specialista di queste emergenze, Mister Miron Kinley dell’Oklahoma, getta la spugna.
Questo il suo telegramma:
“Sorry Mister Mattei. Fatto il possibile. Questa volta non si può. Pensa che lei ha nuovo Vesuvio”.
Vadano al diavolo. Anche senza l’aiuto degli americani, i tecnici Agip riescono a domare il drago. Scavano un pozzo parallelo a quello che erutta, che a mille metri di profondità collegano con un canale in diagonale in modo che il metano si scarichi nel secondo pozzo.
Funziona.
La fiamma imbizzarita, muore.
Di nuovo, compare il Mattei abilissimo mercante e politico consumato. Quello che sembrava essere un disastro, con accuse da destra e sinistra e giornali inquisitori, viene ribaltato in un successo dei suoi tecnici (che in gamba lo son davvero), e sottolinea la forza delle risorse umane dell’azienda, e inoltre la cosa più importante di tutte:
“... l’incendio del pozzo 21 ha dimostrato una volta per tutte che il sottosuolo padano è una cassaforte aperta”.

La visione successiva è di un cane nero che corre. Ha sei zampe.
“Il cane a sei zampe, fedele amico dell’uomo a quattro ruote”.
Dalle fauci sputa fuoco.
Nasce nel 1953 l’ENI – l’Ente Nazionale Idrocarburi. Tutto è riorganizzato. Sorge una nuova identità industriale che dà un’immagine di efficienza, di potenza, di grandezza, di modernità, di un nuovo corso.
Simboli, slogan, divise, marchi, colori: sono elementi che contraddistinguono, che identificano, che creano appartenenza.
È una forza proiettata verso una potenza impensabile fino a pochi anni prima. Una macchina da guerra.
Il gigante ENI richiama a sè i cervelli fuggiti all’estero, mostrando orgoglio nazionale e l’immagine di un’Italia non più agricola ma lanciata verso il progresso industriale.
Indiscutibile è la capacità di Enrico Mattei ad arruolare i giovani più brillanti. È l’ascesa.
Il cane nero a sei zampe corre più veloce, da cucciolo diventa molosso. Nascono divisioni di ricerca e uffici con incarichi particolari. Prende forma l’idea di una strategia estera aziendale che guarda al Terzo Mondo, con modus operandi di indipendenza rispetto agli equilibri disegnati da altri.
Una sorta di "servizi segreti interni" prende contatti con autorità dei paesi africani per intavolare trattative su affari futuri, liberi dai vincoli della politica estera ufficiale. Le rappresentanze dell’ENI in giro per il mondo non sono solo commerciali ma diplomatiche, quasi dell’ambasciate.
Sembrerebbe uno Stato nello Stato. Il petrolio è potere: economico, politico, diplomatico.
Nel frattempo, notizie dal mondo: USA e URSS si guardano in cagnesco, Ovest contro Est, capitalismo contro comunismo. C’è la guerra fredda che talvolta diviene calda come nel conflitto in Corea. Chi dominerà il pianeta?
Nella gara per il controllo della Terra, sono di primaria importanza gli approvigionamenti di petrolio. Il Medio Oriente, dove nel sottosuolo ci sono tesori apparentemente infiniti, diviene lo scacchiere più importante di tutti.
In Iran, a quel tempo, gravi turbolenze interne portano la CIA ad agire direttamente, rovesciando il nazionalista Mossadeq, che aveva osato statalizzare l’industria del petrolio.
Gli americani hanno paura che l’Iran si avvicini troppo a Mosca e la nazionalizzazione dei pozzi è vista con terrore, perché può essere di esempio per tutto il mondo arabo.
Mattei si sente messo in disparte dalle grandi manovre dei petrolieri che contano, l’ENI da lui rappresentata è solo formichina rispetto ai colossi voraci, che non smettono di mettergli i bastoni tra le ruote.
Nel 1953, gli emissari di alcuni potentati del settore si incontrano in un hotel romano per discutere sulle azioni volte a rendere l’iniziativa di esplorazione e sfruttamento nel territorio italiano di libero accesso al mercato privato, cioè alle big companies.
Per loro, l’ostacolo ha nome e cognome.
Il ragioniere passa al contrattacco. Il complotto USA per arraffarsi l’oro nero iraniano è il pretesto per Mattei per la sua azione anti-cartello. Le cospirazioni dei pesci grossi in combutta con l’amministrazione di Washington, che hanno in comune obbiettivi strategici e qualche volta anche economici e personali, sono l’occasione per puntare il dito e far capire all’opionione pubblica che l'ENI è un'entità diversa, l’ENI è un’industria per bene.
Le big companies mostrano i denti e rizzano il pelo, vorrebbero sbranarlo.
Mattei battezza quei mastini aziendali con l’emblematico nome di Sette Sorelle, che tentano di far cartello e costituire l’entità privata più avida e potente del mondo.

Le Sette Sorelle, negli anni ’50 –‘60 sono:
- Sorella Esso.
Nazionalità: americana.
Data di nascita: 1912.
Nome originale: Standard Oil of New Jersey.
Ha origine nell’antica Standard Oil di J.D. Rockefeller, smembrata poi nel 1911 in 33 compagnie dall’antitrust. In Italia ha interessi nel siracusano. - Sorella British Petroleum.
Nazionalità: britannica.
Data di nascita: 1908.
Nome originale: Anglo-Persian Oil Company.
Nel 1954 guida il “Consorzio per l’Iran”, per salvaguardare l’esportazione di petrolio dal paese a beneficio suo e delle sue sorelle. - Sorella Socony Mobil Oil Company.
Nazionalità: americana.
Data di nascita: 1911.
Nome originale: Standard Oil Company of New York.
Nel 1999 si fonde con la Exxon, che nel 1972 aveva acquisito la Esso. Anche la Mobil ha origine nella Standard Oil di Rockefeller. - Sorella Texaco.
Nazionalità: americana.
Data di nascita: 1901.
Nome originale: Texas Fuel Company.
Nel 2001 si è fusa con la Chevron. - Sorella Socal Standard Oil Company.
Nazionalità: americana.
Data di nascita: 1911.
Esso, Mobil e Socal hanno l’antenato comune, il padre della patria petrolifera: J.D.Rockefeller. Con il nome di Chevron Corporation acquisisce la Gulf e si fonde successivamente con la Texaco. - Sorella Gulf.
Data di nascita: 1901.
Nazionalità: americana.
La maggior parte dalla società è posseduta dal clan Mellon, famiglia ricchissima, potentissima, "issima" in generale, originaria di Pittsburgh, Pennsylvania. In Italia opera in provincia di Ragusa. - Sorella Shell.

Nazionalità: anglo-olandese.
Data di nascita: 1907.
Nome originale: Royal Dutch Shell.
Nel 2011 è stata l’azienda ad aver realizzato i più alti ricavi della storia dell’universo conosciuto: 484,5 miliardi di dollari.
Il Davide ENI s’è scelto per nemico un Golia terribile. Anzi, già che c'era di Golia se ne è scelti sette.
I successi personali incoraggiano lo sfidante. A Torino, il Politecnico gli conferisce la laurea honoris causa in ingegneria mineraria il 5 novembre 1953. Il ragioniere è ingegnere. L’onorevole Rag. Ing. Enrico Mattei, imprenditore “politico”, l’uomo più potente della Nazione. L’ENI sul mercato interno è pioniere di marketing. Le stazioni di servizio sono nuove, pulite, efficienti, moderne, con addetti preparati, rapidi, educati, vestiti con la tuta aziendale. Il consumatore on the road è fidelizzato, riconosce la qualità. L’ingegnere prende esempio dagli Stati Uniti e il loro modo di fare distribuzione al cliente finale.
Guardate com’è orientata al futuro la stazione di piazzale Francesco Accursio, a Milano, inaugurata nel ’53. Sembra la prua di una nave che solca la città. Le pompe di benzina sono solo una delle attività di questa astronave metropolitana AGIP.
Ci sono uffici, ci sono caffè e cornetti caldi al bar, c’è l’officina per le riparazioni, c’è il gommista, c’è l’autolavaggio.
Di sera, s’accendono neon e alte insegne, luci che attirano l’automobilista moderno.
È un centro polivalente per l’auto, tutto per la tua nuova fiammante FIAT 1100, un concetto rivoluzionario esteso a tutte le grandi arterie e poi alle autostrade italiane che cominciano a far muovere a tavoletta utilitarie, camion, spider.
L’Italia è al volante, è il boom in movimento con il clacson pigiato.
Gli utili dell’azienda mettono l’esponente. Il profitto però non è fine ma mezzo. I benefici di un’azienda di Stato devono essere quanto più collettivi. Il dito indice e il pollice della mano del capo s’infilano negli anelli di una forbice.
La forbice taglia un nastro.
Applausi scroscianti.
Sorrisi.
La banda suona l’Inno di Mameli.
Personalità in doppiopetto, papaveri della DC, preti di grado elevato, funzionari d’alto lignaggio, bimbette con mazzi di fiori, signore in tailleur, battaglioni di operai in tuta con l’effige del cane a sei zampe: la folla si stringe intorno all’industriale illuminato Enrico Mattei nel giorno dell’inaugurazione ufficiale di Metanopoli, la città del metano sorta nelle campagne dell’hinterland di Milano.
Metanopoli, già dal suo nome, ha in sè una visione sociale, il punto di raccordo concreto, di cemento, tra un’entità industriale e il suo popolo che sono i dipendenti.
Come Olivetti, Cinzano, Leumann, anche Mattei solidifica il senso di appartenenza.
Spazi ampi, viali, scuole tecniche di prim’ordine, una chiesa in onore di Santa Barbara arricchita di opere contemporanee, confortevoli quartieri residenziali, uffici, centri commerciali: il reale s’avvicina all’utopia, e parecchio.
Rafforza la propria posizione in patria, dotandosi di un proprio giornale. Nelle edicole compare Il Giorno, è la sua voce. Nel 1960 Roma ospita i giochi olimpici, a coronare gli anni euforici del boom con un evento mondiale e catalizzatore.
Main sponsor, manco a dirlo, ENI.
Il cane a zei zampe sputa la fiamma rossa ovunque, ci sono occasioni pubblicitarie dove la bella bestia nera, un po' arrogante, spodesta dal logo pure la lupa romana sopra gli anelli olimpici.
Mattei viaggia con il suo aereo bimotore Morane-Saulnier MS.760 Paris verso le zone calde del Nord Africa e del Medio Oriente, verso l’Egitto del rais Nasser e la Persia dello Scià Reza Pahlavi, verso il Marocco di Sua Maestà Mohammed V e la Tunisia del presidente berbero Habib Bourghiba, verso l’Algeria del padre della patria Ahmed Ben Bella e la Giordania del Re Hussein, verso la Libia del primo ministro Mustafà Ben Halim e l’Iraq del generale Abd al-Karim Qasim; stringe mani, accordi, alleanze.
Contatta direttamente le autorità del mondo arabo e africano, concludendo affari e aggirando i muri eretti dalle grandi compagnie, facendo di testa sua, con contratti rivoluzionari e molto più generosi verso i paesi produttori rispetto a quanto offerto dalle Sette Sorelle.

È la politica terzomondista che segna una concorrenza decisa e indipendente contro i tradizionali rapporti di sfruttamento del sottosuolo instaurati da Londra e Washington e imposti ai governi locali. E se la diplomazia italiana ufficiale risulta essere incapace ad affrontare problemi internazionali e a difendere e promuovere gli interessi nazionali all’estero, come fanno tutte le altre potenze cercando di spingere le proprie industrie, ecco che l’ENI ci pensa da sè.
Roma è pigra, incompetente, divisa in fazioni, parolaia, scoordinata nelle azioni estere, indifferente alle nuove dinamiche industriali e commerciali fuori dai confini?
Benissimo, allora Enrico Mattei si veste nei panni ufficiosi di un ministro degli esteri per i petroli, un ministro risoluto e capace.
E con portafogli gonfissimo, inoltre.
Ad ogni nuovo amico, spuntano nuovi nemici, ma questo fa parte della partita delicatissima che sta giocando. Non c’è solo la ragione economica, il campo è geopolitico.
L’astio reciproco tra gli Stati Uniti ed Enrico Mattei sale di livello.
L’ingegnere s’arrampica sulla Cortina di Ferro e guarda al di là, all’URSS.
E così l’Italia diventa il massimo importatore di petrolio russo di tutto l’occidente. Un tabù è rotto: fare scambi con i sovietici e paesi dell’Est Europa con l’obiettivo di reciproco beneficio si può, anche la FIAT di Valletta lancia la sua campagnia di Russia verso il Volga e Togliattigrad.
L’amministrazione USA pensa che Mattei stia commettendo peccati imperdonabili, la CIA è sempre più interessata a quel cane sciolto a sei zampe.
Ma la lotta nazionalista non viene combattuta solo sul fronte estero. In Sicilia tenta di arginare l’influenza della compagnia Gulf che nel 1955 scopre a Ragusa un vasto giacimento. Comincia un’offensiva politica nell’isola, agitando equilibri locali visibili e invisibili.
Il terreno è pericoloso, lo sappiamo, afflitto com’è da intrighi bizantini, cospirazioni di palazzo, alti prelati faccendieri, signorie della lupara, politicanti arraffoni, feudalesimi para-mafiosi.
I nemici spuntano ovunque, ci sono quelli dichiarati, ma ci son quelli anche nell’ombra che non si dichiarano, e che vorrebbero toglierlo di mezzo.
La via, sicura e storica, che sto percorrendo per capire la vita di Mattei s’interrompe qui, brusca. Il cielo si fa scuro, nubi all’orizzonte viaggiano veloci e coprono nere il sole sopra il grande deserto del passato.
Fa freddo ed è sera d’autunno. Una goccia, due, centomila.
Piove forte.
Due fari illuminano file di pioppi, campi fradici di acqua e sentieri di fango.
Un trattore procede a passo d’uomo su una stradina allagata.
Un lampo artificiale! Un tuono improvviso! Il contadino al volante del trattore alza gli occhi verso il cielo.
Sembra una cometa.
Il cielo è rosso.
Il cielo brucia.
La pioggia non è più solo di acqua, ma di fiammelle che cadono giù friggendo in aria come fuochi d’artificio.
Schianti, non uno ma diversi.
Allarme nazionale, i carabinieri partono con le jeep sotto la pioggia gelida, le autoambulanze accendono le sirene, le redazioni dei giornali impazziscono, i Ministri sono al telefono: su quell’areoplano c’era Enrico Mattei.
Ora, sono di fronte al primo bivio. La strada si divide in due, ci sono due piste che vanno in direzioni opposte e che posso esplorare in questo deserto della conoscenza storica.
Uno è il sentiero dell’incidente.
L’altro è il sentiero dell’omicidio.
Imbocco il primo.
Il jet Morane-Saulnier con a bordo il presidente dell’ENI Enrico Mattei, il pilota Irnerio Bertuzzi e il giornalista americano della rivista Time William McHale si alza in volo dall’aeroporto Fontanarossa di Catania alle ore 16.57 di sabato 27 ottobre 1962.
Verso la Pianura Padana il tempo si fa brutto, è una sera orribile per volare.
Meno di due ore dopo, il comandante Bertuzzi si mette in contatto con la torre di controllo di Linate.
Voci metalliche via radio.
“Scendo a 2.000 piedi. Sono in virata base.”
La torre:
“Quando vi presenterete? “
Il comandante:
“Fra due minuti, un minuto e mezzo circa. Alfa Papa a 2.000 e riporterà lasciando il radiofaro.”
Silenzio.
Ore 19.00, Bertuzzi tace all’improvviso, c’è solo pioggia e vento.
È successo qualcosa.
Scatta immediatamente l’emergenza e i carabinieri di Landriano nel pavese, avvisano Linate che alcuni contadini dicono di aver visto un aereo precipitare nel territorio del paese di Bascapè a 25 chilometri da Pavia.
I mezzi di soccorso si lanciano subito nelle ricerche.

Il luogo del disastro è nei campi della cascina Albaredo. I rottami del jet sono sparsi in un raggio di 500 metri. Arrivano i pompieri, i paramedici, i carabinieri, seguiti dagli ombrelli dei curiosi di zona, dalle macchine fotografiche dei reporter, dai giornalisti milanesi, dai tecnici RAI, dal magistrato.
Si lavora nel fango, tutto è sporco, fradicio, in pezzi.
L’Italia è in eccitata apprensione, le gravi notizie sulle pericolose tensioni tra USA e URSS per la questione cubana e missilistica di quei giorni passano in secondo piano, tutta la scena è per la fine di Mattei.
Cercano i resti delle vittime, e i ritrovamenti sono strazianti.
Trovano un tronco umano in camicia azzurra e giacca blu con dentro il taschino la patente di guida di Irnerio Bertuzzi. Trovano un piede sinistro con un callo, è quello del giornalista William McHale. Trovano vicino ad un pezzo d’ala una mano sinistra priva di police e con all’anulare la fede d’oro di Enrico Mattei.
Le autorità non perdono tempo. Il Ministro della Difesa Giulio Andreotti la stessa sera del 27 ottobre nomina una commissione che indaghi sull’accaduto. Ne fanno parte sia civili che militari dell’Aeronautica, ma tra loro non c’è un perito balistico.
Fanno in fretta i signori, presentano la loro relazione conclusiva in quattro mesi.
Il Morane-Saulnier procedeva troppo in alto, 6.000 piedi invece di 4.000 che è l’altitudine prevista per iniziare la manovra di discesa prima dell’atterraggio.
Un errore umano del pilota, si suppone.

Il comandante Irnerio Bertuzzi, ex pilota di guerra di grande esperienza, attraversava un momento non facile, aveva delle preoccupazioni, si era innamorato di una ragazza che non era sua moglie.
La storia sentimentale era appassionata ma tormentata, capace di distrarre e turbare anche un asso di vecchia data come Bertuzzi.
Irnerio era tra le nuvole, e non solo con il suo jet, ma con la testa.
Dunque, il pilota del presidente prima di scendere a Linate, in mezzo ad una bufera, si rende conto di volare troppo alto. Tenta di rimediare gettandosi verso la quota giusta, ma sbaglia ed è il disastro.
“L’incidente è da attribuire alla perdita di controllo in spirale destra. Non è stato possibile accertare le cause che hanno determinato tale perdita di controllo" .
FINE.
Quindi: l’aereo non è esploso in cielo, si è schiantato al suolo perché fuori controllo. Non si conoscono però le cause. Si fanno supposizioni: lo stato d’animo poco lucido del pilota, il tempo da lupi, un guasto meccanico del mezzo.
L’uomo più potente d’Italia è morto perché è precipitato nel fango di Bascapè.
FINE.
Questo straccio di verità, superficiale ed approssimativo, viene blindato con la sentenza del febbraio 1966.
Le ipotesi di attentato vengono soffocate con un’archiviazione.
“Non luogo a procedere – il fatto non sussiste”.
FINE.
No, non ci basta, non è il momento della parola fine. I ficcanaso, anche i più ritardatari, vogliono sapere di più, vogliono conoscere.
Torno sui miei passi.
Ripercorro all’indietro l’ipotesi della tragica fatalità, fino al bivio tra incidente-assassinio. Il sentiero che ho di fronte, quello dell’attentato, è sinistro, fa paura.
Il Morane-Saulnier dell’ENI è in Sicilia; anzi ce ne sono due, gemelli. Per motivi di sicurezza, non si sa mai su quale dei due il presidente prenderà posto, rotte e destinazioni sono coperte dal segreto, la tratta può cambiare all’ultimo minuto.
Misure di protezione degne di un capo di stato.
Il presidente è in trasferta siciliana per raggiungere il borgo di Gagliano Castelferrato, in provincia di Enna, dove da poco hanno trovato il metano.

Atterra sull’isola il 26 di ottobre e come tante altre volte usa la pista dell’ex aeroporto militare di Ponte Olivo di Gela, riservato all’ENI. Però il giorno dopo l’aereo si sposta a Catania, perché Ponte Olivo, non è un posto così sicuro.
Infatti nelle notti precedenti è capitato un fatto strano: sono state udite scariche di mitra nei paraggi.
La sera del 26 Mattei si ferma al Motel Agip.
Prima di sedersi a tavola, lo vediamo al telefono, lo sentiamo discutere alla cornetta.
Parla di un impegno importante la sera del 27 a Milano, di un incontro fissato lì per lì, irrinunciabile. Il giorno dopo dovrà volare verso Nord, assolutamente.
Mette giù la cornetta, non sapremo mai chi c’era dall’altro capo. Tutto il programma della visita deve essere anticipato. Impegni improvvisi, cambia la tabella di marcia.
La mattina del 27 ottobre, l’ingegnere parla alla folla da un balcone della piazza principale. Rassicura la gente, il metano è della Sicilia e dei siciliani.
Applausi, lacrime, la folla si stringe intorno all’onorevole petroliere, giubilio.
E all’aeroporto catanese, un uomo in tuta blu da tecnico della manutenzione cammina con la cassetta degli atrezzi verso il jet del presidente.
Lo vedo di spalle, non in faccia.
Le guardie non guardano.
L’uomo in tuta blu entra in cabina, si siede ai comandi, apre la cassetta degli attrezzi e inizia a lavorare.
Svita parte del cruscotto.
Infila le mani.
Traffica con i fili.
Sono mani esperte le sue: sa quel che fa.
Sistema un pacchettino dietro il cruscotto, lo fissa, lo collega ad altri strumenti dell’aereo.
Nel pacchettino un piccolo quantitativo di Composition B, Compound B o semplicemente Comp B per gli operatori del settore botti gravi.
Un etto appena di esplosivo è quanto basta per quello che è stato studiato. Non è necessario fare esplodere il Morane-Saulnier con una grossa carica, ma anzi, un attentato in volo le cui dinamiche e cause sarebbero indiscutibili - anche di fronte alla più cieca e corruttibile delle commissioni d’inchiesta - sarebbe esagerato, inadatto, controproducente.
Le mani esperte dell’uomo in tuta blu lo sanno.
Operano per provocare una piccola detonazione alla fine dell’ultimo volo dell’obiettivo, facendo in modo che il mini ordigno si azioni con l’abbassamento del carrello per l’atterraggio.
La tecnica dell’attentato è quella dell’esplosione limitata e non direttamente assassina, ma indiretta.
Non in grado di distruggere il veivolo e le vite dei passeggeri, ma sufficiente a mandare in avaria il mezzo e farlo precipitare. Così sarà più facile depistare, confondere, nascondere.
È la simulazione dell’incidente, omicidio raffinato.
Ore 19.00 il Morane-Saulnier è sopra Bascapè, prossimo ad atterrare a Linate. Il pilota Bertuzzi, asso dell’aviazione militare, abbassa il carrello.
Un lampo improvviso, come fosse un corto circuito, illumina di una luce rossa il cruscotto del bimotore, accecando per un istante i tre a bordo.
Fuoco a 4.000 piedi d’altezza.
Scintille.
L’aereo diventa una cometa.
Perde pezzi che sono tizzoni metallici.
S’avvita su se stesso, perde quota, il muso è perpendicolare alla terra.
Giù!
L’ultima cosa che vedono i condannati sono le finestre illuminate di una cascina.
Schianto.
Le sirene si avvicinano e le campagnole dei carabinieri arrancano nel fango. Compaiono sul luogo della sciagura strani sbirri senza divisa, in impermeabile, che guardano il lavoro di pompieri e poliziotti che setacciano le pozzanghere.
Il contadino Mario Ronchi che abita nella cascina Albaredo ha visto.
Racconta ai primi giornalisti accorsi sul posto di aver visto una palla di fuoco in aria.
Sono parole che ribadisce anche nell’intervista agli inviati RAI, che va in onda il 28 di ottobre. Ma, attenzione!
La voce del contadino è stata rubata.
Sì, perché tanti anni dopo gli inquirenti che riaprono il caso vanno a ripescare dagli archivi televisivi quel vecchio nastro. La testimonianza di Ronchi è chiara, poi di colpo, muto.
Il sonoro diventa silenzio tombale per alcuni secondi, proprio nel momento in cui il contadino racconta della palla di fuoco in cielo.
Hanno soffocato il contadino via cavo. L’hanno azzittito in differita, con trucchi tecnici - buon per lui.
Mario Ronchi, un umile agricoltore sarà l’unica persona ad essere processata nell’intricato caso Mattei, per falsa testimonianza.
Infatti l’uomo viene prelevato per essere interrogato dai carabinieri e cambia completamente versione.
Ora l’aereo non è più esploso in aria, ma a terra, per lo schianto.
Nel 1994 il caso viene riaperto da Vincenzo Calia, sostituto procuratore di Pavia, dopo le rivelazioni bomba di due pentiti eccellenti di mafia. Uno di essi è il famoso Tommaso Buscetta, che parla a ruota di tutto quel che sa, Mattei incluso.
Se per altre questioni sporche della storia repubblicana e dell’epopea di Cosa Nostra Buscetta può essere considerato fonte attendibile, in questo caso invece, l’attendibilità viene meno.
Esagera, confonde, immagina.
Ma se non altro le sue rivelazioni hanno il merito di trovare nuovi spunti d’indagine su quello che da tempo si sospetta, ovvero il coinvolgimento o perlomeno la conoscenza di Cosa Nostra dell’attentato al numero uno dell’ENI. E di avere inoltre il merito di aver fatto riaprire le indagini oltre trent’anni dopo, in un clima più distaccato e meno inquinato, in un’epoca in cui le perizie si sono fatte tecnologicamente avanzate e la scienza può fornire nuove risposte.
Si prova che il Morane-Saulnier patì un’esplosione in volo e non nell’impatto. Vengono rinvenute tracce di esplosivo sui pochi reperti metallici dell’aereo (che poi dopo il primo ciclo di indagini tornerà nelle mani dell’ENI per essere definitivamente rottamato).
Dai resti della salma riesumata di Enrico Mattei si cercano gli effetti di onda d’urto e di altri fenomeni provocati da un’esplosione e si trovano.
Anche sull’orologio da polso dell’ingegnere e sull’anello d’oro vengono scovati gli effetti di onda d’urto da esplosione.
C’è stata dunque un’esplosione. Ma essa può esser avvenuta per causa dell’impatto? No, dicono i periti, è avvenuta in volo, con ragionevole certezza.
Ho imboccato il sentiero giusto, Enrico Mattei è stato ucciso.
La via che porta a considerare il complotto e l’attentato mortale si dirama in altre piste dove incontro nuovi antagonisti; ciascuna delle piste è dedicata ai presunti assassini, ognuna di esse tenta di rispondere alla domanda:
Da chi è stato ucciso Enrico Mattei?

PISTA FRANCESE
Sospettata: l’OAS - Organisation de l'armée secrète - è una sigla riconducibile ad un gruppo clandestino che lotta con la violenza per impedire il corso di decolonizzazione in atto tra gli anni ’50 e ’60. Algérie française!
Movente: L’ Organisation odia con passione Mattei per la sua azione dilpomatica volta al dialogo con l’FLN il Fronte Liberazione Nazionale algerino, nazionalista ed antifrancese.
Mattei vuole fare affari con i nemici della Francia, ergo l’amico dei nemici è anch’egli un nemico. Possibilmente da eliminare.

Sentenza: l’OAS è innocente.
Vorrebbe attribuirsi il merito dell’operazione, ma in realtà non avrebbe le forze per compiere un tale attentato.
Ormai è una frangia estrema allo sbando, una gang di killer disperati. L’ultima reazione – dernière réaction.
In una lettera di minaccia inviata direttamente all’ingegnere si evince tutto il loro rabbioso declino con minacce che perdono di credibilità:
“Sono considerati come ostaggi e condannati a morte il commendatore Enrico Mattei e tutti i membri della sua famiglia (moglie, figli, ecc).”
Mattei non aveva figli. L’OAS fa minacce vuote. Quell'OAS fa ridere i polli.
PISTA SETTE SORELLE
Sospettate: le Sette Sorelle del petrolio di cui sopra. Sono avidi colossi multinazionali, multimiliardari e lobbistici che mirano al controllo planetario dell’industria petrolifera.
Movente: Mattei è odiato dalle Sette Sorelle per la sua azione di forte nazionalismo economico volto ad ostacolare i loro interessi in Italia, in Nord Africa, nei paesi arabi.
Se la fanno sotto di fronte alla prospettiva minacciata dall’ENI per aumentare la percentuale degli utili netti destinati ai paesi proprietari di ricco sottosuolo che ospitano gli impianti stranieri dal 50% ad un inaccettabile 75%.
Enrico son of the bitch.
Sentenza: le Sette Sorelle sono innocenti.
ENI e big companies hanno fatto pace nel maggio del 1962. L’occasione per una stretta di mano tra gli avversari arriva grazie agli affari libici.
ENI ed ESSO trattano e stipulano un accordo per spartirsi 10 milioni di tonnellate di greggio libico.
Tra i top manager delle Sette Sorelle c’è probabilmente la convinzione che Enrico Mattei è un osso talmente duro che la strategia migliore sia quella della trattativa e della cooperazione in certe determinate aree, al fine di guadagnarci tutti.
Viene riconosciuta la capacità e l’autorevolezza dell’ENI, interlocutore prossimo ad entrare tra i grandi.

PISTA MAFIOSA
Sospettata: Cosa Nostra, i padroni della Sicilia.
Movente: la mafia avrebbe agito facendo fuori Mattei non per interessi diretti nelle questioni politiche ed economiche, piuttosto come favore chiesto dai cugini d’America, dalle famiglie della mafia italo-americana, interpellate a loro volta dai falchi delle Sette Sorelle.
Secondo il super pentito Tommaso Buscetta la Commissione Interregionale, il vertice dell’organizzazione criminale di cui abbiamo parlato in ITALICA NOIR - Mattanza numero uno, approva il piano e organizza la cosa.
Sentenza: Cosa Nostra è favoreggiatrice, complice al massimo, ma non è stata lei a decidere l’omicidio e ad organizzarlo.
La capacità militare dei clan è cosa ancora arcaica rispetto alla forza stragista dei decenni successivi.
Per abbattere in tal modo l’aereo di Mattei occorre possedere un know-how da guastatori di formazioni d’elite e abilità di mimetizzazione sul terreno da spie molto ben addestrate.
La mafia è mostro dal milione di occhi e dal milione di orecchie. La Cupola vede, ascolta, annusa il territorio. Sa cosa sta per succedere a Catania, i boss ne sono informati, non partecipano direttamente all’operazione ma appoggiano, forniscono assistenza sul territorio, danno il permesso.
Il potere strisciante e parallelo di Sicilia s’interseca con i rami marci di quello ufficiale, è un buon inizio promettente per future e importanti collaborazioni, per grandi collusioni!
PISTA DELLE SPIE AMERICANE
Sospettata: la CIA – Central Intelligence Agency.
L’Agenzia è cosa attiva. Agisce. Tutto il mondo è il fronte.
Interviene laddove gli interessi americani e gli equilibri della guerra fredda sono messi in pericolo. Spy games.
Movente: Enrico Mattei è colpevole di stravolgere l’equilibrio.
Fa accordi con il mondo arabo nazionalista, osa stringere la mano all’URSS, guarda con interesse a possibilità cinesi. Blasfemia.
Il petrolio e il gas sono fiumi che fanno breccia tra gli assetti contrapposti, aprono falle nel muro e varchi Est-Ovest.
Una relazione energetica-commerciale Italia-URSS è vista con orrore, è neo nell’Alleanza Atlantica.
L’Italia non è un più un paese totalmente indipendente, non può fare affari con il nemico.
Sentenza: presunta colpevolezza e complicità attiva nella pianificazione e realizzazione dell’attentato.
“L’Ente Nazionale degli Idrocarburi italiano, guidato da Enrico Mattei, è diventato uno Stato nello Stato.
Le operazioni di commercio estero, ed in particolare quelle di Mattei e del suo monopolio petrolifero di proprietà statale, continueranno probabilmente a causare delle frizioni fra l’Italia e Stati Uniti.
Mattei ha condotto un’aggressiva campagna per ottenere concessioni petrolifere, in competizione con le più importanti società energetiche americane ed occidentali. È riuscito ad avere importanti successi in Iran, Libia, Ghana.
L’enorme influenza di Mattei nella politica interna, la necessità di petrolio a basso costo per l’industria italiana, ed il prestigio conseguente alla presenza del logo dell’ENI in alcune zone sottosviluppate, portano a prevedere che il governo farà ben poco per ridurre in maniera significativa le attività di Mattei.
Mattei ha inoltre promosso l’espansione dell’accordo commerciale fra l’Italia e l’Unione Sovietica, in forza del quale i sovietici forniranno circa il 17 per cento del greggio che sarà raffinato annualmente nella Penisola, in cambio di petroliere, materiale per la costruzione di oleodotti ed altri importanti beni materiali pesanti”.
Frasi estrapolate da “The Outlook for Italy”, rapporto CIA del giugno 1961 sulla situazione italiana.
I destinatari del documento approvato dal capo della CIA Allen W. Dulles, sono la Casa Bianca allora abitata da J.F.Kennedy, il Consiglio per la sicurezza nazionale, l’FBI, il Pentagono, il Dipartimento di Stato e la Commissione per l’energia atomica.

PISTA INTERNA
Sospettata: una congiura Made in Italy.
L’Italia del dopoguerra è un Paese dove abbondano i congiurati.
Il potere, anzi i poteri italiani, hanno viscidi tentacoli nascosti sotto il doppiopetto e che talvolta escono dalle maniche della giacca grigia per fare quello che la mano non può fare.
Tramano e compiono azioni decise da piani segreti.
Muovono pedine, realizzano le strategie perverse.
Movente: Mattei e il suo potere che è grande, incontrollabile, indipendente, arrogante.
Ambienti dell’alta finanza, della politica, delle istituzioni, provano fastidio nei confronti dell’operato dell’ingegnere.
Il fastidio diviene odio.
Forze filoamericane e antiarabe sono assolutamente contrarie alla rotta rivoluzionaria ed audace che la nave statale ENI sta seguendo in totale autonomia dalla diplomazia ufficiale nazionale.
ENI Stato nello Stato,
Mattei ministro degli esteri dello Stato ENI nello Stato Italia.
Enrico fa di testa sua, scavalca gli ingranaggi governativi ergendosi superiore e libero dalla macchina del potere istituzionale, e allora qualcuno pensa che quella testa vada tagliata.
La disinvoltura con cui si muove nella politica, da sinistra-centro-destra, è volta a cercare appoggi e favori, ed è un lavoro volto ad ottenere il massimo beneficio per la creatura del cane nero a sei zampe.
La politica mai come fine ma solo come un mezzo.
“Uso i partiti allo stesso modo di come uso i taxi: salgo, pago la corsa, scendo.”
Mattei è cresciuto oltremisura, sfugge ad ogni controllo, rappresenta il nemico numero uno per certi circoli perché non solo mette in discussione, ma proprio in pericolo le autorità costituite della giovane Repubblica e le loro dinamiche.
Mattei rompe le regole.
È diventato un uomo troppo, troppo, troppo potente.
Gli avversari non vivono solo nei salotti della grande industria e della politica, ma anche all’interno della sua azienda.
C’è una fazione che gli è ostile e che vorrebbe una politica industriale decisamente più filo-occidentale e meno terzomondista. Un nome rappresenta la fazione: Eugenio Cefis.
Alto dirigente ENI, ex partigiano come Mattei, lavora con lui durante quegli anni eccitanti di gloriosa espansione.
Ad un tratto, il forte solidalizio tra i due si guasta. Il primo gennaio 1962, Cefis rassegna le dimissioni dall’Ente. Le dimissioni non sono però spontanee ma indotte da Mattei.
“In base a quanto riferito da fonti confidenziali, si è appreso quanto segue: Italo Mattei, fratello di Enrico, avrebbe la prova che l’allontanamento di Cefis dall’ENI, alcuni mesi prima del disastro aereo di Bascapè, non fu un gesto spontaneo, ma fu imposto dal defunto Enrico Mattei in quanto questi avrebbe scoperto che il Cefis faceva il doppio giuoco ed era collegato coi servizi segreti americani.”
Da un rapporto del 1971 dell’Ufficio affari riservati del Ministero dell’Interno (all’epoca con la sigla SIGSI - Servizio informazioni generali e sicurezza interna).

Eugenio Cefis dopo la morte di Mattei viene immediatamente reintegrato come vicepresidente. Nel 1967 ne diviene presidente. È uomo riservatissimo ma dall’ambizione pantagruelica. È purosangue della “razza padrona”.
È l’alto ufficiale di collegamento tra il potere politico e quello economico, spesso in simbiosi tra loro, essenziali l’uno all’altro.
È uno dei gran visir della finanza del dopoguerra.
Con l’appoggio di Enrico Cuccia, alla fine degli anni settanta, punta alla chimica con la scalata alla Montedison.
Cefis è segreto. Cefis è mistero.
Pier Paolo Pasolini s’ispira anche a lui per il romanzo “Petrolio”, uscito postumo, dove racconta di trame petrolifere e stragiste italiane.
Cefis può essere uno degli uomini chiave di misteri nazionali.
“Notizie acquisite il 20 settembre 1983, da qualificato professionista molto vicino ad elementi iscritti alla Loggia P2, dei quali non condivide le idee: la Loggia P2 è stata fondata da Eugenio Cefis che l’ha gestita sino a quando è rimasto presidente della Montedison, nel luglio del 1977.”
Da una nota del SISMI - Servizio Informazioni e Sicurezza Militare, in possesso del sostituto procuratore di Pavia, Vincenzo Calia.
Sentenza: colpevoli.
Gli autori della morte di Enrico Mattei, sono da ricercare all’interno dei confini nazionali.
I mandanti della strage di Bascapè sono italiani, appoggiati da elementi CIA.
Gli esecutori materiali del triplice assassinio camuffato da incidente sono presumibilmente reclutati tra esperti sabotatori operanti per i servizi segreti italiani o stranieri, coadiuvati sul territorio siciliano dalla mafia.

Ma questa storia intricata non è ancora finita. Nel mio percorso in queste lande desertiche del passato, dove verità storica e visioni ipotetiche si mescolano in miraggi all’orizzonte, un ultimo incontro mi inquieta ancora di più.
Sono di fronte ad un fantasma.
Mi guarda.
Ha il naso schiacciato, ricucito, sembra una piccola e brutta proboscide, risultato di una caduta in motocicletta in gioventù, quando c’era la guerra.
Lui fa il cronista a Palermo, scrive per L’Ora.
Si chiama Mauro de Mauro. Lo vedo una sera del 16 settembre del 1970 rientrare verso casa con la sua macchina, in via delle Magnolie.
Tre picciotti lo raggiungono, sono sbucati dal nulla, lo aspettavano.
“Amunì”
Mauro de Mauro sparisce per sempre. Desaparecido di Sicilia. Lupara bianca.
De Mauro era un cadavere che camminava.”
Così Tommaso Buscetta, Don Masino e boss dei due Mondi, poi collaboratore di giustizia.

Il giornalista pochi mesi dalla sua scomparsa viene ingaggiato dal regista Francesco Rosi, che sta girando Il caso Mattei. De Mauro (foto) si lancia a ricostruire le ultime ore di Mattei in Sicilia.
Il cronista è bravo, indaga, annusa.
Si avvicina alla verità.
Io credo l’abbia scoperta, la verità. Ripetizione voluta: verità, e la ricerca di essa è una condanna a morte.
Bandolo della matassa: modo di dire, trovare il punto di partenza, individuare l'elemento giusto che permette di chiarire una situazione, di risolvere un problema. [da dizionario del Corriere della Sera].
Eccolo, laggiù, il miraggio del bandolo della matassa, lo scorgo con il binocolo:
“Da una ampia azione informativa e di sondaggio, sviluppata in collaborazione di alcune fonti “qualificate”, in ordine alle recenti uccisioni dell’avvocato Giorgio Ambrosoli, liquidatore della “Banca Privata Italiana” di Michele Sindona, e del vicequestore Boris Giuliano, capo della squadra mobile di Palermo, sono emerse le seguenti indicazioni:
[OMISSIS];
si vocifera che il defunto questore Boris Giuliano, si occupava, quasi a titolo personale, cercando di evitare ogni indiscrezione, della scomparsa del noto giornalista Mauro De Mauro, eliminato, si afferma, per aver trovato il bandolo della matassa sull’incidente aereo che costò la vita all’onorevole Enrico Mattei.
In proposito un magistrato della Procura di Roma, collegando l’intera vicenda, avrebbe confidato a persona amica che, secondo il suo giudizio, l’eliminazione di De Mauro, dell’onorevole Mattei, e del vicequestore Giuliano, gli richiamerebbe il nome dell’ex presidente della Montedison, Eugenio Cefis.”
Da un rapporto del SISDE - Servizio per le informazioni e la sicurezza democratica datato 1979 e consegnato al magistrato Vincenzo Calia nel 1998.

Personaggi, intrecci, omicidi. "Siamo alle solite", verrebbe da dire a chi studia la storia d’Italia del dopoguerra e le sue ombrose vicende parallele.
Una tempesta di sabbia investe brusca e improvvisa il deserto del passato.
I sentieri che ho percorso sono cancellati di colpo, sepolti. Volti e scene scompaiono. Gli oggetti immaginati si disintegrano, crollano i vecchi palazzi pensati del vecchio novecento.
L’uomo alto, asciutto di fisico, in giacca e cravatta e che porta il nome di Enrico Mattei, si gira e se na va, sparendo nello spazio metafisico e storico.
So di aver intrapreso un viaggio importante, libero da vincoli accademici ma allo stesso tempo rigoroso nell’indagine, per tentare di avvicinarmi a quanto più di importante un apprendista storico può ambire: la verità.
E la verità mi suggerisce che il caso Mattei è la madre di tutte le cospirazioni italiane. Lì, nel fango di Bascapè, in data 27 ottobre 1962, si è consumata l’ora 0 della storia occulta nazionale, l’inizio dei grandi misteri d’Italia.
Signore e Signori, questa è stata ITALICA NOIR, con il suo ultimo capitolo.
Colpo di tacchi,
inchino,
baciamano per le Signore.
Federico Mosso
@twitTagli
Per approfondire:
- Carlo Maria Lomartire, "Mattei. Storia dell'italiano che sfidò i signori del petrolio", Mondadori.
Testo a mio avviso fondamentale per capire Enrico Mattei e per avere una visione completa della sua opera. Questo articolo non sarebbe stato scritto senza la lettura di questa biografia. Qui trovate tutti i documenti ufficiali citati nel testo. - Mattei, un complotto italiano - Articolo su La Stampa sulle conclusioni delle indagini del sostituto procuratore di Pavia Vincenzo Calia. 06/03/2003.
- Mattei, un delitto italiano - Articolo su La Stampa del 20/01/2001.
- La CIA nel 1961: quel Mattei è un problema - Articolo su La Stampa del 07/11/2005.
Note musicali:
- The Baboons – Drinkin’ gasoline
- Diaframma – Blu Petrolio
- Fuel – Metallica
- Heavy Fuel – Dire Straits
- Jerry Reed - The Crude Oil Blues
- Kenny Ball and his Jazzmen - Midnight In Moscow

