Nell’ampia sala da ballo Mediterrean Dance Hall una grande orchestra jazz accorda gli strumenti e i cantanti provano i microfoni.
Suonerà la The Italian Turbolence Big Band che si esibirà nel pezzo Sigonella Swing.
Luci sul palco. Applausi. Lungo rullo di batteria.
Presentazione della band alla folla danzante in pista.
Duetto di voci maschili: Bettino Craxi e Ronald Reagan che in smoking s’inchinano al pubblico e poi sorridendo si lanciano un’occhiata di sfida.
Sulla sinistra, i musicisti della sezione fiati: alla tromba l’Ammiraglio Fulvio Martini, al trombone il Ministro della Difesa Giovanni Spadolini, al clarinetto il Ministro degli Esteri Giulio Andreotti, al sax il Presidente della Repubblica Francesco Cossiga.
Sulla destra, i musicisti della sezione ritmica: alla batteria il generale delle forze speciali americane Carl Wide Steiner, al pianoforte l’ambasciatore Maxwell Rabb, al contrabbasso Mister Michael Arthur Ledeen.
Al centro, l’ensemble con gli strumenti a corda: le chitarre egiziane, l’ukulele di Yasser Arafat e i pestiferi banjo palestinesi del Fronte Liberazione della Palestina.
Che band!
Musica! Ritmo veloce e indiavolato, i ballerini ancheggiano, muovono i piedi, non riescono a stare fermi, bellezza questo è Sigonella Swing!
Lunedì, 7 ottobre 1985. Al largo delle coste egiziane.
L’Achille Lauro porta il nome dell’armatore napoletano, “il comandante”. È una nave da crociera che dopo la bancarotta dei Lauro è stata rimodernizzata dal nuovo proprietario, un greco.
A bordo ci sono 189 membri d’equipaggio e 884 passeggeri di varie nazionalità, imbarcati a Genova. La mattina, dopo una breve sosta ad Alessandria d’Egitto, molti croceristi approfittano di un tour a terra, vogliono visitare le Piramidi e risalire alla sera.
L’Achille Lauro ora sta navigando nel Mediterraneo del Sud, con rotta verso Porto Said, all’imbocco del Canale di Suez, dove reimbarcherà le centinaia di turisti scesi in gita.
Oltre a marinai e camerieri sono rimasti sulla nave 201 passeggeri. Sfortunati, avrebbero fatto meglio a vedersi la necropoli di Giza, e starsene all’ombra della tomba di Cheope.
Anche Antonio Alonco, Franco Jaquos, Wan Stele, Walter Zarlenga, non sono interessati agli antichi egizi. Hanno altri piani. I veri nomi dei quattro ventenni sono Bassam al Askar, Ahmad Ma ruf al-Asadi, Yusuf Majid al-Mulqi e Abd al-Latif Ibrahim Fatair, e non sono in vacanza.
Vogliono assaltare il porto israeliano di Ashdod, ammazzare più soldati e poliziotti possibile, prendere ostaggi, chiedere la liberazioni di 52 detenuti palestinesi dal carcere di Gerusalemme.
Sono un gruppo di fuoco del FLP – Fronte di liberazione della Palestina, formazione filosiriana, piuttosto attiva nella baronda libanese degli anni ‘80 e provata nel decennio precedente da guerre intestine, scissioni, faide interne.
Succede l’imprevisto. Un cameriere apre la cabina dei quattro guerriglieri senza bussare; è una leggerezza di un attimo che provoca il finimondo.
"Ooops, scusate”.
I palestinesi sono intenti a pulire la armi, rimangono un attimo come baccalà. Beccati con le mani nella marmellata, si guardano tra loro.
Decidono all’istante.
Improvvisano.
I quattro escono dalle loro cabine e sparano a raffica, impugnano minacciosi le bombe a mano. Un marinaio addetto alla piscina si becca un proiettile nella gamba.
Rastrellamento in alto mare: vengono radunati tutti quanti nella sala da pranzo. Un passeggero austriaco annota su un tovagliolo di carta: “Lunedì 7 ottobre, ore 13, nella sala da pranzo: tutto ad un tratto colpi d’arma da fuoco, grida. Alcuni uomini entrano correndo nel ristorante, con le mani in alto”.
Intorno alle 13.15, l’Achille Lauro è in mano al commando. Giù la maschera da turisti, su la bandiera con teschio e tibie incrociate dei pirati.
“MAYDAY MAYDAY MAYDAY. Qui Achille Lauro. Siamo stati dirottati da un numero imprecisato di Palestinesi. Chiedono la liberazione di 50 loro compagni in prigione in Israele”.
I terroristi sono armati pesantemente, sono in grado di ingaggiare battaglia, possono uccidere tutti gli ostaggi. Hanno mitragliette, AK-47, bombe a mano, esplosivo.
Separano gli inglesi, gli americani e due austriaci ebrei dal resto dei prigionieri, loro se la vedranno più brutta degli altri. Un fedayyn prende alcune granate a cui toglie la sicura, le mette in mano a tre donne terrorizzate. “Se le lasciate cadere saltate tutti per aria. State attente a non addormentarvi e a non svenire”.
L’allarme fa un giro curioso, rimbalza. Il MAYDAY viene captato molto più a nord, dalla guardia costiera di Göteborg, Svezia. Squilla il telefono sulla scrivania del ministro degli esteri svedese che riceve la brutta notizia. Telefona immediatamente all’ambasciatore italiano a Stoccolma.
L’ambasciatore Antonio Ciarrapico passa la palla alla Farnesina. La Farnesina compone i numeri della presidenza del Consiglio, del Ministro della Difesa, della Marina.
Il Direttore Generale dell’Emigrazione, Giulio di Lorenzo, chiama l’ambasciata al Cairo.
Il neoambasciatore Giovanni Migliuolo cade dalle nuvole, non ne sapeva ancora nulla. La Farnesina prova a mettersi in contatto con la nave via telex e via radio.
Nessuno risponde.
Il Ministero della Difesa richiama il suo ministro. Giovanni Spadolini viene issato su un aereo militare che decolla veloce da Milano verso Roma. Squillano incandescenti i telefoni sulle scrivanie del potere.
Il Ministro degli Esteri Giulio Andreotti, nel suo ufficio privato in piazza Montecitorio, sta ricevendo l’ambasciatore di Spagna per il deposito solenne della ratifica del Trattato di adesione CEE.
Il capo del gabinetto, Luigi Cavalchini, gli si affianca durante le formalità comunitarie e gli sussurra la cattiva nuova: è arrivato un dispaccio del malaugurio dall’ambasciata di Stoccolma, una nave italiana è sotto sequestro.
Il ministro Spadolini cerca il Presidente della Repubblica Francesco Cossiga, che si trova nella residenza presidenziale di Castelporziano.
Il consigliere del ministro Spadolini, Andrea Manzella, telefona al sottosegretario Giuliano Amato il quale avverte il Presidente del Consiglio, Bettino Craxi.
L’ambasciata al Cairo richiama la Farnesina e conferma il guaio:“Ci spiace informare che la motonave italiana Achille Lauro è sotto controllo palestinese”.
Le auto blu, cariche di alti papaveri, rapide e sgommanti in concerto di sirene tra i viali di Roma, corrono leste verso le stanze dei bottoni. Nello studio di Spadolini a palazzo Baracchini alti ufficiali circondano un tavolino su cui è appoggiato un atlante con le carte dell’Egitto e della sua costa.
Sono presenti i capi delle Armi. Il generale di divisione aerea Lamberto Bartolucci, capo di Stato Maggiore della Difesa. Il generale degli alpini Luigi Poli, capo dell’Esercito. Il generale di Squadra Area Basilio Cottone, capo dell’Areonautica. L’ammiraglio Vittorio Marulli, capo della Marina. L’ammiraglio Fulvio Martini (foto), direttore del SISMI, i servizi segreti militari.
A Porto Said ascoltano via radio la voce del comandante dell’Achille Lauro, Gerardo De Rosa: “Tutti i passeggeri e i marinai a bordo si trovano nelle loro cabine e sono tutti in buona salute. I terroristi minacciano di ucciderci e di far saltare la nave se qualcuno si avvicinerà.”
Martedì, 8 ottobre 1985.
Yasser Arafat, massima autorità dell’OLP, fa sapere che lui non c’entra nulla con l’azione pirata, il gruppo è riconducibile ai filosiriani dell’FLP.
Offre l’invio di due emissari. Uno è Hani El Hassan, un suo luogotenente, l’altro è il doppiogiochista Abu Abbas (foto).
Quest’ultimo non è di certo arbito super partes, è un capo dell’FLP, i banditi a bordo della nave da crociera, sono suoi uomini. Il nemico striscia dall’altra parta della barricata (la nostra) nelle vesti farlocche di negoziatore.
Craxi convoca un vertice a Palazzo Chigi. Gli orologi d’oro ai polsi dei potenti dicono che è l’una e trenta di notte. Sul divano sono seduti anche Andreotti e Spadolini. Il Presidente ordina ai militari di studiare un piano d’attacco – nome in codice “Operazione Margherita”.
In una caserma a La Spezia:
“Sveglia ragazzi!”
Gli uomini del COMSUBIM - raggruppamento subacquei e incursori “Teseo Tesei” saltano giù dalle brande (motto: E fluctibus irruit in hostem – Dal mare irrompiamo sul nemico).
Salgono dentro le pance di cinque elicotteri spinti a tavoletta lungo la costa occidentale dello Stivale, per raggiungere l’ammiraglia Vittorio Veneto al largo della Sicilia.
La flotta della marina militare, in quei giorni in addestramento nello Ionio, vira verso l’Egitto.
“Tutti in piedi!”
Sessanta parà del 9° battaglione d’assalto Col. Moschin (motto: Della Folgore l’impeto) s’allacciano gli anfibi e afferrano i fucili d’assalto dalle rastrelliere.
Quattro elicotteri pesanti HH-3F “Pelican” li trasportano nella base cipriota della RAF, l’aviazione britannica. Londra dà il permesso e il supporto per qualsiasi iniziativa militare da Akrotiri.
Si alzano in volo dalla base NATO di Sigonella, in provincia di Siracusa, gli aerei antisommergibili Breguet Atlantic del 41° stormo. Partono in ricognizione, alla caccia dell’Achille Lauro, per individuarne l’esatta posizione.
Se l’azione sarà inevitabile, la nave verrà abbordata dalle nostre forze speciali. Si caleranno sui terroristi dagli elicotteri in cielo e li attaccheranno dai gommoni in mare, e sarà battaglia.
È l’estrema ratio in caso di fallimento diplomatico.
Dall’incontro delle 11 della mattina a palazzo Chigi con l’ambasciatore americano Maxwell Rabb, il governo comprende quale sia la posizione del presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan. La posizione USA è ferrea, nessun dialogo con i terroristi, anzi Rabb chiede senza mezzi termini all’Italia di non negoziare con il commando.
“No a qualsiasi negoziato”. Canta Ronald Reagan al microfono della The Italian Turbolence Big Band.
Nel frattempo sulla nave, al capitano Gerardo De Rosa viene ordinato di procedere senza indugi per il porto siriano di Tartus. La Lauro entra in acque siriane, il commando chiede alle autorità di Damasco di attraccare, ma Damasco rifiuta secca, l’Italia ha chiesto di non collaborare.
S’imbestialiscono.
Sono le tre pomeridiane e scelgono un ostaggio: Leon Klinghoffer, ebreo americano in pensione, costretto alla sedia a rotelle in seguito ad un ictus, in crociera nel Mediterraneo con la moglie Marilyn per festeggiare trentasei anni di nozze.
Spingono la carrozzina sul ponte, lo freddano con un colpo al petto e uno alla nuca e obbligano il barbiere di bordo e un marinaio a gettare ai pesci il cadavere.
I due becchini involontari si abbracciano sul ponte, scossi. Un prigioniero osserva gli stivali di un terrorista: sono sporchi di sangue. Oltre ad essere un omicidio barbaro è pure un atto isterico e stupido, controproducente per tutta l’immagine della lotta per la Palestina.
Passeranno momenti confusi prima che governi e opinione pubblica vengano a sapere con certezza dell’esecuzione dell’anziano Klinghoffer.
Mercoledì, 9 ottobre 1985.
Notta tarda nel salotto di Bettino Craxi, in riunione con Arnaldo Forlani, Andreotti e Spadolini.
L’ambasciatore americano chiede di conferire con urgenza con il Presidente del Consiglio. Anche gli Stati Uniti hanno un piano d’attacco, ma Craxi lo frena, quella è una nave italiana, la competenza in merito è solo nostra.
L’Achille Lauro ritorna in acque egiziane, c’è la possibilità di aprire un collegamento radio con i terroristi.
Inizia una trattativa in cui i principali interlocutori sono l’OLP, il governo italiano e l’intelligence del Cairo. Gli egiziani rasserenano gli animi, sono sicuri che nessun ostaggio a bordo è stato giustiziato.
Si offrono dei salvacondotti ai fedayyn, l’unica condizione è che non siano stati compiuti atti di violenza sui passeggeri. Tranquilli, assicurano i militari nordafricani, a nessuno è stato torto un capello.
Bugia.
L’Achille Lauro, a quindici miglia nautiche da Porto Said, è liberata dalla minaccia, i quattro guerriglieri del mare salgono su un rimorchiatore. Craxi vuole parlare direttamente con il comandante De Rosa:
“Lei mi assicura che non vi è stata violenza a bordo?”
“Nossignore, nessuna violenza, ma è scomparso un passeggero, un americano paraplegico.”
Il cadavere di Leon Klinghoffer galleggia da qualche parte nel Mediterraneo e ora la faccenda si complica.
Giovedì, 10 ottobre 1985.
A Washington sale la rabbia. Esigono giustizia, l’estradizione chiesta all’Egitto dall’Italia per i quattro dirottatori non è sufficiente. È necessario far vedere al mondo che un atto di tal pirateria non può rimanere impunito e che gli USA sono in grado di dimostrare la propria forza sempre e ovunque a chi osa colpire i propri cittadini.
Sui radar della base NATO di Sigonella, appaiono alcuni veivoli non identificati.
Alla sera, mezz’ora prima dello scadere della mezzanotte, si scatena una rapida successione di eventi; è un veloce acquazzone storico, improvviso, che scuote di nuovo i protagonisti della vicenda, che non è finita, anzi.
L’Egitto informa Andreotti che un aereo del Egypt Air è in volo con i quattro terroristi, i due, negoziatori nominati da Arafat, un funzionario del corpo diplomatico del Cairo, uomini dell’intelligence militare del presidente Mubarak. Avrebbero voluto dirigersi a Tunisi, sede dell’OLP, ma la Tunisia ha rifiutato di accoglierli.
Sono ospiti davvero ingombranti, i paesi arabi non li desiderano tra i piedi e l’ambasciatore egiziano Jahia Rifaat chiede ufficialmente all’Italia di poter atterrare in un nostro areoporto.
Andreotti dà l’ok per Ciampino. Intanto alla base NATO di Sigonella, gli ufficiali del comando americano informano i colleghi italiani che stanno per arrivare un veivolo delle linee aeree egiziane e due jet da guerra.
Il volo con i fedayyn e gli agenti segreti è stato difatti intercettato sopra Malta da quattro F-14 Tomcat decollati dalla portaerei Saratoga.
Occhio! Veloce giravolta dei ballerini swing! I dirottatori diventano dirottati. I palestinesi abbandonano i banjo della The Italian Turbolence Big Band e si mischiano alla folla danzante.
Non più musicisti ma uomini che si muovono a passi di Sigonella Swing, in balia ritmica di note non più loro.
Il ritmo della danza ora si fa più sostenuto, sale d’intensità e i clarinettisti, i sassofonisti e i trombettisti gonfiano i petti e le guance per sfiatare note veloci.
Craxi è adirato, gli alleati americani gli hanno messo davanti il fatto compiuto. Lo hanno informato del dirottamento aereo solo quando questo era già avvenuto.
Va bene, che atterrino pure, si acconsente perciò all’uso della Naval Air Station ma la situazione sarà gestita dall’Italia, mentre Reagan e i muscisti della sezione ritmica della The Italian Turbolence Big Band, possono essere solo spettatori, un accompagnamento musicale tutt’al più.
Tre minuti allo scoccare della mezzanotte. Parte una nuova catena telefonica. Il capo dei servizi segreti militari SISMI, Ammiraglio Fulvio Martini, afferra la cornetta del telefono, si mette sull’attenti: dall’altra parte del filo c’è il Presidente del Consiglio che gli ordina di recarsi immediatamente in Sicilia.
Martini chiama il capo di stato maggiore della Difesa, generale Bertolucci, che chiama il generale Cottone dell’Areonautica, che chiama il colonnello Ercolano Annicchiarico, comandante italiano della base, che chiama la procura di Siracusa, che chiama il comandante dei carabinieri di Catania, che chiama il comandante dei carabinieri di Siracusa.
Allarme rosso, allerta massima.
Inizia una notte di tensione.
Venerdì, 11 ottobre 1985.
L’aereo egiziano con i nuovi ballerini swing sta per atterrare, è in emergenza carburante. Il responsabile della torre di controllo e il suo assistente si scambiano sguardi.
Decidono di testa loro e fanno atterrare la pericolosa comitiva nell’area est, ovvero nella parte italiana della base di Sigonella: l’iniziativa dei due tecnici militari che avvertono senza indugi le nostre forze di terra lì di stanza è da ricordare come decisiva per l’esito di tutta la vicenda.
L’undici ottobre è iniziato da 15 minuti e sulla pista si ferma il Boeing dell’Egypt Air. Venti carabinieri (motto: Nei secoli fedele) e trenta avieri della VAM – Vigilanza Areonautica Militare (motto: Cave Adsum – Attento, sono presente; foto a sinistra) intervengono pronti e circondano l’aereo.
I loro passi di corsa danno inizio alla danza, ad un tip-tap di anfibi cadenzati dallo swing di Sigonella.
I ragazzi attendono istruzioni, ma ecco che si distraggono, si girano verso la pista.
Due grossi C-141 da trasporto dell’US Air Force, scuri e minacciosi, atterrano prepotenti senza autorizzazione, a fari spenti. I portelloni si aprono, appaiono sulla scena nuove sagome scure; altro rumore di passi di corsa, gli ordini sono gridati in inglese.
Cinquanta uomini delle forze armate USA prendono posizione, sono comandati da un alto ufficiale. Il generale Carl Wade Steiner, agli ordini diretti della Casa Bianca, è arrivato a Sigonella con il suo gruppo ultra-speciale, un mix invincibile di soldati della Delta Force (motto: Surprise, Speed and Aggression – Sorpresa, Velocità e Aggressione) e di marinai dei Navy Seals (motto: The only easy day was yesterday – L’unico giorno facile era ieri).
Armi in pugno, indice sui grilletti, accerchiano i militari italiani. Il loro piano è quello di prendere in consegna i quattro dirottatori più Abu Abbas, ritenuto, e non a torto, come l’istigatore dell’operazione terroristica.
I ragazzi della VAM, quasi tutti di leva, sono diciottenni sbarbati che però non si fanno intimorire dai Rambo venuti da lontano, rimangono fermi, disciplinati, sicuri del loro ruolo di giovanissimi difensori della sovranità.
Anche i venti carabinieri, con i mitra yankee puntati addosso, mantengono il sangue freddo. La situazione si fa tesa. Gli americani vorrebbero prelevare - o meglio, rapire - i fedayyn dell’Achille Lauro e trascinarli dall’altra parte dell’Atlantico.
Ma no, non c’è niente da fare, la posizione italiana non arretra di un millimetro.
Click! Le luci sulla pista si spengono, la danza prosegue al buio, basterebbe un nonnulla, un movimento brusco che... meglio nemmeno pensarci, in teoria siamo alleati.
Qualcuno vede degli strani movimenti dei cespugli, la vegetazione di Sigonella si muove!
Gli arbusti stregati del siracusano!
Ma dopo essersi stropicciati gli occhi si capisce che mascherati da macchia mediterranea ci sono i Delta americani, mimetizzati come da manuale del perfetto assaltatore.
Ma fate attenzione supermen a stelle e strisce perché è in arrivo la cavalleria. Accorrono i carabinieri dalle caserme di Siracusa e di Catania e s’appostano coi mitra alle spalle dei militari americani.
Ricapitoliamo. Gli avieri della VAM e i carabinieri circondano il Boeing egiziano, dai cui finestrini palestinesi ed egiziani guardano sbigottiti la scena.
I Seals e i Delta circondano avieri e carabinieri.
I rinforzi dell’Arma circondano le truppe speciali del Pentagono.
Tre cerchi concentrici di uomini armati che si contengono l’osso, mitra puntati su schiene e mitra puntati su altri mitra. Impasse: situazione complicata da cui non si sa come uscire, dice il dizionario.
È lo Sigonella Swing!
Il ritmo del brano è adesso al suo apice, con il ballo dei tre cerchi nel girotondo calibro nove Parabellum.
I nervi son corde di violino. Inizia il duello tra il generale Steiner e l’ammiraglio Martini, nella crisi condottieri sul campo dei due fronti opposti.
Nel mezzo del ring, il colonnello Annicchiarico riceve istruzioni da Martini e riporta le ringhiate di Steiner, che ha dalla sua, oltre ad una forza d’assalto senza pari al mondo, un tecnologia che per noi è fantascienza. Riceve in cuffia notizie in tempo reale dagli altissimi comandi USA, riesce a parlare via satellite con lo studio ovale della Casa Bianca, gli ordini degli Stati Uniti sono eseguti all’istante. Martini invece, si affida alla telefonia di casa. “Io usavo la rete telefonica della SIP" ha ricordato l’ammiraglio.
Braccio di ferro sulla pista, braccio di ferro tra Craxi e Reagan. Nel cuore della notte le voci e le volontà dei due statisti s’incontrano al telefono.
L’americano è infuriato, l’italiano è irremovibile perchè quello è territorio nostro, l’Achille Lauro è una nave italiana quindi noi e solo noi abbiamo la responsabilità decisionale ed operativa.
La chiacchierata è tesa, dai toni accesi. S’intrufola, come interprete, Micheal Ledeen. Craxi difatti non parla inglese.
Micheal Arthur Ledeen, uomo dei misteri. Americano, conservatore, storico, giornalista, collaboratore nella P2 di Licio Gelli, consulente in questioni strategiche per la Casa Bianca, intrallazzone internazionale, recentemente è vicino all’entourage di Matteo Renzi. È una figura di potente “suggeritore”.
Quando gli chiedono perché abbia scelto di vivere in Italia, Ledeen risponde: “Per il vostro clima perfetto, la vostra favolosa cucina e le tradizioni culturali che la Sicilia può offrire.”
CIA, o roba simile, io suppongo senza troppi sforzi di meningi. Per l’ammiraglio Fulvio Martini è persona non gradita all’Italia e vorrebbe cacciarlo a calci nel sedere dal Paese.
Ad ogni modo, questo Mister, s’inserisce prepotente nella telefonata incandescente, anche lui fa parte quella notte della The Italian Turbolence Big Band, anch’egli vuol suonare Sigonella Swing.
È lecito domandarsi se la sua traduzione sia davvero onesta e sincera e che non svolga invece un ruolo più subdolo, da plagiatore quale vorrebbe essere.
Bettino Craxi la spunta, vince lui, mantiene il sangue freddo e non cede ad alcuna pressione del potente alleato a cui piacerebbe forse considerarci come docile colonia. A Reagan, non resta che gettare la spugna.
Frattanto alla base son giunti, su ordine del comandante generale dei carabinieri Riccardo Bisogniero, alcuni blindati con mitragliatrici pesanti. Steiner e i suoi rambo, se ora si sparasse, avrebbero la peggio.
Gli americani mollano l’osso. Rimane a Sigonella solo il generale delle forze speciali con un pugno di uomini, il resto delle truppa riparte con la coda fra le gambe.
Le autorità italiane prendono in consegna i quattro dell’Achille Lauro (verranno tutti processati a Genova, e condannati), mentre gli altri del gruppo rimangono sul Boeing, compreso Abus Abbas, per gli americani il vero ispiratore dell’atto di pirateria, e ora il principale soggetto-oggetto di una disputa non ancora finita.
Gli yankee sono stizziti, offesi nell’essere stati fermati da un’inaspettata e orgogliosa presa di posizione e tentano di fare ancora i furbi.
Alla sera l’aereo egiziano riparte per Ciampino, e l’ammiraglio Martini chiede che venga scortato da jet dell’arenautica militare. È un ordine saggio.
Dopo poco che i veivoli si sono alzati in volo diretti a Roma, da una pista secondaria decolla a luci spente un F-14 della sesta flotta USA. Molesto come una vespa affamata, il caccia ronza attorno alla formazione italo-egiziana, punzecchia dispettoso, è un bullo che non è riuscito a rubare la merendina al suo compagno più piccolo.
I dialoghi via radio tra i piloti italiani e l’americano sono da film d’azione e meritano esser riportati.
"Hai sempre quello zombie in coda che fa finta di non sentire. È un pazzo."
"Brutto stronzo! Brutto stronzo che non sei altro: levati di mezzo prima di andare a sbattere... Sei pericoloso per noi e per te..."
"Figli di puttana, maledetti figli di puttana... Quell' aereo è mio, avete capito? È mio. E siete voi che dovete levarvi di mezzo."
Lo zombie, in gergo, è un veivolo che non si fa identificare.
Lo zombie che insulta i piloti italiani è il generale Steiner, viola di rabbia.
Top Gun rimane a bocca asciutta.
Il generale di Reagan è però più cocciuto di un mulo, non si arrende ancora. Il Boeing atterra a Ciampino e dopo poco un altro piccolo aereo passeggeri cala sulla pista mettendosi di traverso per bloccare gli egiziani e i palestinesi.
Steiner, sempre lui, è lì dentro con un team di Navy Seals.
Martini ora perde davvero la pazienza, dice secco al pilota imbucato che se entro cinque minuti non si leva di mezzo, ci penserà a farlo un bulldozer.
Passano tre minuti e Steiner (foto), ora sconfitto definitivamente, alza i tacchi.
I musicisti della The Italian Turbolence Big Band finiscono di eseguire Sigonella Swing.
Inchini, gli applausi sono tutti per gli italiani.
Domenica, 21 dicembre 2014, riflessioni trent’anni dopo.
Abu Abbas, il 12 ottobre 1985 fu imbarcato su un volo diretto a Belgrado; riuscì dunque a svignarsela. Nel ’86 fu giudicato colpevole di essere mandante e organizzatore dell’attentato dell’Achille Lauro e condannato all’ergastolo in contumacia.
Gli americani non si scordarono di lui, per certi fatti la memoria è d’elefante. Fu catturato da truppe USA durante la seconda guerra del Golfo nel 2003.
Morì da prigioniero nel 2004.
La crisi di Sigonella non è stata solo un vivace episodio storico della Prima Repubblica. Fu un sussulto d’amor proprio. Dal 1945 ad oggi, la nostra politica estera fu allineata con l’occidente e strettamente alleata con la potenza-guida dell’ovest capitalista: gli Stati Uniti d’America.
Un rapporto di alleanza che per forze di cose non era alla pari, ma da certi punti di vista di sudditanza. Roma era ed è ovviamente meno potente miltarmente ed economicamente di Washington, e questo, in scenari strategici e geopolitici di primo piano, si traduce in ingerenza o addirittura, come nell’ottobre 1985, in prepotenza.
Emerge la visione politica degli anni socialisti e la ricerca in una certa forma di grandeur nostrana, l’avvicinamento al mondo arabo, il piano di rendere la nazione come primo faro del Mediterraneo e il progetto di render l’Italia ricca, rispettata, ascoltata.
Ci eravamo quasi illusi che con Craxi e il craxismo potessimo esser davvero una delle maggiori potenze del Mondo. E invece, guardandoci ora ... Facendo un parallelismo con i giorni nostri, chissà come si sarebbe conclusa la vicenda dei due marò se fosse capitata trent’anni or sono.
Con tutti i difetti che poteva avere quel governo ambizioso, poi “auto-cannibalizzatosi” dalla sua stessa avidità, non si può non riconoscergli capacità e forza nella politica estera.
Sì, quello che io ho qua scherzosamente definito come Sigonella Swing, fu un episodio, raro e bello, di orgoglio nazionale, una dimostrazione di sovranità.
Noi, italiani, padroni a casa nostra.
Federico Mosso
@twitTagli
Per approfondire:
- “Il dirottamento dell’Achille Lauro” tratto dalla pagina web “Cinquantamila giorni – la storia raccontata da Giorgio Dell’Altri” del Corriere della Sera
- Le vicende dell’Achille Lauro sul diario di Giulio Andreotti. “Cinquantamila giorni – la storia raccontata da Giorgio Dell’Altri” del Corriere della Sera
- Discorso alla Camera dei Deputati del 6 novembre 1985 di Bettino Craxi a favore della questione palestinese con interessanti osservazioni storiche sull’agire dell’OLP.
- “Lo storico Ledeen si tenga lontano dall’Italia” articolo di Repubblica del 31 luglio 1984.
- “Tra sei ore attacchiamo” articolo di Repubblica del 22 ottobre 1985 sui retroscena militari e di diritto internazionale.