L’Italia in un giorno: il 26 ottobre 2013. Sorta di spin-off nazionale del gigantista Life in a day di Kevin Macdonald, il social film montato da Gabriele Salvatores restituisce un’interessante spaccato sugli italiani, più che sull’Italia, di oggi. Il primo tratto distintivo di Italy in a day è proprio questo, ovvero il fatto che siamo di fronte ad un film e non un documentario “a spizzichi e bocconi” come si temeva, ma un film, che nel montaggio, come insegnava Eisenstein (padre del cinema russo), trova la sua essenza e il suo essenziale.
Ovviamente Italy in a day è un film parziale, ma non potrebbe essere diversamente. Si aspira alla totalità, ma si ottiene inevitabilmente una parte per il tutto, che riesce però a proporci uno sguardo variegato, generale ma non generalista sul nostro tempo presente.
Meno coinvolgente ed inebriante del “padre” americano, che in pieno stile hollywodiano aspirava a raccontare la Vita con contributi da tutto il mondo, Italy in a day è però più fitto nel montaggio, più frastagliato, atto a rendere la quantità e la varietas sia dei 44mila video ricevuti sia della vita nel Belpaese. Italy in a day vola basso, e fa bene. Per questo, pur discontinuo e privo di un approdo finale, non si smarrisce. Alterna parti molto ispirate ad altre banalotte, sequenze veramente commoventi (su tutte quella dell’anziana che crede che il figlio sia un angelo) ad altre scanzonate. La realtà che ne emerge è meno edulcorata di quella del pretenzioso Life in a day, nel quale, nella pretesa di abbracciare il mondo, la guerra pareva non esistere. In Italy in a day c’è la disoccupazione, gli scioperi, i problemi dei genitori separati e dei non-genitori. C’è la realtà, senza picchi di ottimismo. Ci dipingiamo come un’umanità buona, riflessiva, non così disperata come spesso ci fanno vedere i telegiornali, che crede ancora nella speranza e nel futuro, nella gioia delle piccole cose e nel futuro senza dover lasciare il Paese. Quella di Italy in a day è un’Italia semplice, sincera, che si sbottona ma non si straccia le vesti, di chi è salito sul tetto del mondo e di chi vive nella polvere.
Interessante poi notare come, volente o nolente, il filo rosso di questa Italia del Duemila che ama raccontarsi sia ancora (inaspettatamente) la famiglia, quella dei neonati in arrivo e dei vecchi che non ricordano i nomi dei figli, quella di chi giura amore eterno e di chi trova la forza di (soprav)vivere nell’incontro settimanale con figlioletto affidato alla madre.
Ma in conclusione è lecito chiedersi: Italy in a day è il neorealismo di oggi? Personalmente non starei a scomodare termini dal valore sacro, ma certamente mette a fuoco il tempo odierno con efficacia, senza filtri protettivi, senza paroloni. Sottolinea inoltre come ormai la tecnologia, tra smartphone, tablet e maneggevoli videocamere, iper-connessi come siamo a Facebook e agli altri social network, sia parte intrinseca, integrante e imprescindibile del vivere comune.
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