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Ius soli. La cittadinanza è una cosa seria, non va strumentalizzata.

Creato il 07 maggio 2013 da Laperonza

 

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Lo ius soli di cui tanto parliamo in questi giorni, vuoi perché si sta strumentalizzando, da una parte e dall’altra, la presenza di una persona di colore al governo, vuoi perché l’argomento in sé si presta a facili giochi politici, in realtà non pare proprio sia una priorità tanto pressante da far passare in secondo piano problemi ben più seri e legati alla qualità della vita e alla vita stessa degli Italiani. Ma visto che l’argomento è in discussione una piccola e modesta riflessione ce la faccio anch’io.

In linea di principio potrei essere d’accordo con il Ministro Kyenge: in un paese perfetto che faccia parte di un mondo perfetto, una persona che nasce sul suolo italiano dovrebbe essere cittadino italiano. Ma poiché non viviamo in un paese perfetto, tutt’altro, né tantomeno in un mondo perfetto, assumere come universale questo principio, senza fare opportuni distinguo, appare pericolosamente semplicistico.

Essere cittadini di una Nazione non equivale a risiederci. Questo probabilmente è l’errore di fondo che si commette quando, per ortodossia verso il politicamente corretto, ci si erge sul pulpito del buonismo assoluto. Essere cittadini di una Nazione significa esserne parte attiva, essere molecola di un organismo complesso, averne assimilato il dna che è fatto di cultura, usi, costumi, storia, tradizione. Essere cittadini di una Nazione significa essere perfettamente integrati in una comunità. Per questo non credo si possa diventare cittadini solo perché accidentalmente nati sul suolo di un Paese o, anche, perché vi si è risieduto per un certo periodo di tempo.

L’immigrato che viene in Italia con spirito costruttivo, lavora, dà il proprio contributo alla vita e alla crescita della Nazione, oltre ad dover avere gli stessi medesimi diritti dei cittadini italiani (e certamente non maggiori diritti come, purtroppo, accade) deve avere la possibilità, qualora lo desideri, di diventare cittadino italiano. Ma non è accettabile che questo avvenga per un semplice automatismo temporale per cui, dopo un certo numero di anni, basti presentare una domanda in carta bollata per diventare Italiani. Per essere Italiani bisogna sentirsi Italiani, conoscere e condividere la cultura, la storia, la tradizione dell’Italia senza, per questo, dover rinunciare a quella del popolo e del Paese di origine. Un immigrato potrebbe diventare Italiano anche dopo poco tempo che risieda in Italia a patto che egli si senta davvero Italiano e lo dimostri in maniera pratica, incontestabile e inconfutabile.

Il bambino che nasce in Italia è agevolato rispetto ai propri genitori perché imparerà con estrema facilità la lingua e avrà un accesso privilegiato alla nostra cultura tramite la frequentazione di scuola e società. Questo, però, non vuole necessariamente significare che si sentirà Italiano perché dipenderà dal tipo di educazione e dai valori che la famiglia trasmetterà negli anni. Il bambino sarà cittadino italiano nel momento in cui deciderà e dimostrerà di esserlo, fermo restando che, fino a quel momento, dovrà godere di pari diritti e uguali opportunità con i propri coetanei italiani.

La cittadinanza è un valore importante che non va svenduto, non va regalato, non va elargito come un’elemosina. Entrare a far parte di una comunità come quella di una Nazione deve essere un atto cosciente, fortemente voluto, per il quale ci si è preparati seguendo un percorso. Condividiamo cultura ed esperienza, manteniamoci aperti, diamo accoglienza a chi viene per costruire, ma automatizzare l’ingresso di nuovi membri in una comunità rischia di svalutarne il significato e questo è potenzialmente distruttivo. Stiamo attenti.

Luca Craia


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