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Ivanhoe (Scott)

Creato il 11 gennaio 2016 da Athenae Noctua @AthenaeNoctua
Generalmente citato come una delle prime manifestazioni del romanzo storico, Ivanhoe, pubblicato da Walter Scott nel 1819, ne rappresenta anche un esempio completo da ogni punto di vista. Esso narra una storia di cavalleria, congiure e nobili sentimenti collocata negli ultimi anni del XII secolo, nell'Inghilterra lacerata dal conflitto fra i Sassoni e i Normanni impostisi come regnanti a partire dalla battaglia di Hastings (1066). Il titolo del romanzo è costituito dal nome di uno dei personaggi principali, non del tutto etichettabile, secondo le categorie canoniche, come protagonista: Vilfredo di Ivanhoe, un giovane sassone crociato ripudiato dal padre per la sua lealtà a Riccardo Cuor di Leone Plantageneto. In realtà il romanzo ha una dimensione corale, in cui l'unico personaggio che si distingue è semmai quello della fanciulla ebrea Rebecca, rapita da un cavaliere Templare e bersaglio di accuse durissime di stregoneria a causa della sua fede.  Ivanhoe (Scott)Il romanzo si apre con l'apparizione del Templare Brian de Bois-Guilbert e del priore Aymer, che, nel loro viaggio verso Ashby per partecipare al torneo cavalleresco alla presenza del sovrano reggente Giovanni (il celebre Senza Terra che nel 1216 avrebbe concesso la Magna Charta Libertatum e che governò l'Inghilterra mentre Riccardo era impegnato nella terza Crociata prigioniero dei Francesi), fanno sosta nella casa del nobile sassone Cedric di Rotherwood, padre di Ivanhoe e sostenitore dei diritti al trono di Athelstane di Coningsburgh, nonché tutore della bella Rowena a costui promessa in sposa; qui Brian de Bois-Guilbert, memore di una bruciante sconfitta subita in Terrasanta dallo stesso Ivanhoe, si dichiara pronto a sfidarlo in un nuovo cimento. L'occasione della rivincita si presenta ad Ashby, dove Ivanhoe conquista la vittoria con l'aiuto di un compagno di lizza denominato prima 'Cavaliere Fannullone' e poi 'Cavaliere del Lucchetto' e viene insignito degli onori da Rowena prima di cadere ferito. Il Templare Brian si accorda così con gli antichi nemici di Cedric per far rapire Rowena (oggetto delle mire del cavaliere Reginaldo Front-de-Boeuf), Cerdic stesso e Athelstane, ma, nella confusione dell'agguato, finiscono nella sua rete anche l'ebreo Isacco e sua figlia Rebecca, che suscita i desideri di Brian stesso, oltre ad Ivanhoe, che la ragazza ha preso in custodia per curarlo con le proprie arti mediche. Di qui la progettazione di un piano per liberare i nobili sassoni cui partecipano gli schiavi di Cedric, il misterioso Cavaliere del Lucchetto e addirittura un arciere che si fa chiamare Locksley ed è attorniato da una banda di briganti che lottano contro usurpatori e prepotenti.
Ivanhoe è forse il romanzo più noto di Walter Scott, il padre del romanzo storico. Tipico prodotto della sensibilità romantica, con il suo interesse per l'epoca medievale, le avventure dei cavalieri, il sentimento e la religiosità, la narrativa storica si presenta, per dirla alla maniera di Alessandro Manzoni (che iniziò la prima stesura de i Promessi Sposi proprio dopo aver letto Ivanhoe, nel 1821), come un intreccio fra vero e verisimile o fra vero storico (la realtà dei fatti documentati) e vero poetico (la finzione narrativa ma coerente con la cornice storico-sociale). In Ivanhoe questa sintesi non manca: Walter Scott utilizza e cita fonti storiche, cronache e studi sul medioevo inglese, talvolta infarcendo la narrazione fino all'eccesso; questa abbondanza di particolari dona alla storia un peso notevole, fornendo al lettore una serie di informazioni di grande interesse e curiosità (come la digressione iniziale sulla diglossia sassone/normanno), anche se non manca una certa patina epica data al passato e ai suoi protagonisti, primo fra tutti Riccardo Cuor di Leone.
 

Ivanhoe (Scott)

E. Delacroix, Rapimento di Rebecca (1846)

Ivanhoe è una lettura che progettavo da tempo, ma che, per qualche motivo, ho sempre posposto a quella di altri testi. L'esperienza è stata positiva, anche se alcune divagazioni appesantiscono qualche pagina di troppo e la marginalità per oltre la metà del libro del personaggio che dà il titolo al libro mi ha lasciata perplessa. Il romanzo è ben costruito, sorprendente per alcune soluzioni, come il sistema dei personaggi e alcune scelte non scontate, nonostante in alcuni passaggi ricada nelle semplificazioni tipiche della letteratura volta all'intrattenimento borghese, come riconoscimenti scontati o improvvise apparizioni di personaggi. E poi ci sono le figure femminili: sono soltanto due, ma per aspetti diversi mi hanno colpita sia l'eterea Rowena, che ho immaginato fin dall'inizio come una delle fanciulle di Waterhouse, sia la forte e risoluta Rebecca, che surclassa tutti gli altri personaggi con il suo ruolo e la sua definizione caratteriale.
Nel complesso, tuttavia, il mio giudizio è positivo, soprattutto per l'abilità di Scott di ricostruire le atmosfere medievali, i fronzoli del galateo cavalleresco e alcuni dialoghi che, seppur con qualche punta retorica di troppo (ma perfettamente commisurata al XIX secolo), restituiscono, per scomodare Ariosto, la «gran bontà de' cavalieri antiqui». Anche se la lettura non si fosse rivelata così piacevole, avrei comunque la certezza di aver assaporato una delle opere-cardine della storia letteraria, fondamentale per comprendere l'origine e le caratteristiche del romanzo storico ai suoi albori e per approfondire uno dei generi narrativi più strettamente connaturati allo spirito romantico.
  «L’amore della battaglia è il nostro pane, la polvere della mischia è il nostro respiro! Noi non viviamo, non vogliamo vivere se non finché si può essere vittoriosi e celebrati. Sono queste, fanciulla, le leggi della cavalleria che noi abbiamo giurato e alle quali offriamo tutto ciò che ci è caro.»
  «Ahimè» disse la bella ebrea, «che cosa è tutto questo, prode cavaliere, se non un sacrificio offerto a un demone di vanagloria, e un gettarsi nel fuoco di Molock? Che cosa vi rimane come premio di tutto il sangue che avete versato, di tutte le fatiche e le pene che avete sofferto, di tutte le lacrime causate dalle vostre gesta, quando la morte ha spezzato la lancia del forte e superato la velocità del suo destriero?»
  «Che cosa rimane?» esclamò Ivanhoe. «La gloria, fanciulla, la gloria che indora il nostro sepolcro e rende imperituro il nostro nome.»
  «La gloria?» continuò Rebecca. «Ahimè, l’armatura arrugginita appesa come trofeo sulla oscura e polverosa tomba di un campione, l’epigrafe scolpita e cancellata che l’ignorante monaco riesce appena a leggere richiesto dal pellegrino, sono forse sufficienti ricompense per il sacrificio di ogni amoroso affetto, per una vita infelicemente dedicata a rendere gli altri infelici? O vi è tanta virtù nelle rozze rime di un bardo vagante, da farvi abbandonare follemente l’amore domestico, gli affetti gentili, la pace e la felicità, per divenire gli eroi di una di quelle ballate cantate da un menestrello girovago a dei villani ubriacati dalla loro birra serale?
 «Per l’anima di Hereward!» rispose il cavaliere con impazienza. «Tu parli di quello che non conosci, fanciulla. Vorresti soffocare la pura luce della cavalleria che sola distingue il nobile dal vile, il cortese cavaliere dal villano e dal bruto, che ci fa considerare la vita molto meno del nostro onore; che ci rende vittoriosi del dolore, della fatica e delle sofferenze, e che c’insegna a non temere altro male che la vergogna. Tu non sei cristiana, Rebecca; e ti sono ignoti gli alti sentimenti che riempiono il petto di una nobile fanciulla quando il suo amato ha compiuto qualche impresa che conferma la sua passione. La cavalleria! Essa nutre gli affetti più alti e più puri, fanciulla, è il sostegno degli oppressi, la riparatrice dei torti, il freno del potere dei tiranni. Senza di essa la nobiltà sarebbe solo una vuota parola, e nella sua lancia e nella sua spada la libertà trova la sua migliore protezione.»

Ivanhoe (Scott)

La lizza di Ashby in una stampa di The Graphic

 C.M.Articolo originale di Athenae Noctua. Non è consentito ripubblicare, anche solo in parte, questo articolo senza il consenso del suo autore e senza citare la fonte.

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