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Ivo Pogorelich e gli Stuttgarter Philharmoniker

Creato il 29 novembre 2013 da Gianguido Mussomeli @mozart200657

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Il secondo appuntamento col ciclo “Die Große Reihe” degli Stuttgarter Philharmoniker aveva il suo principale motivi di interesse nella presenza di Ivo Pogorelich, che negli ultimi anni ha suonato spesso con l’ orchestra. I melomani della mia generazione ricordano molto bene la vera e propria esplosione mediatica del pianista croato agli inizi degli anni Ottanta in seguito allo scandalo provocato dalla protesta di Martha Argerich, dimessasi dalla giuria del Premio Chopin di Varsavia a causa della mancata ammissione alla serata finale del giovane virtuoso nativo di Belgrado. In seguito a questo succès de scandale, la carriera di Pogorelich esplose letteralmente nel giro di pochissimo tempo, grazie anche alla sapiente costruzione mediatica di un immagine pubblica di taglio dandystico e vagamente metrosexuell, molto efficacemente riassunta da Joachim Kronsbein in un articolo di una decina di anni fa apparso su Der Spiegel, con la definizione “Ein Beckham des Pianos”. Dietro tutto questo c’ era comunque sostanza: i mezzi tecnici di Pogorelich erano davvero di prim’ ordine e il suo stile audace e innovativo, nei primi anni bollato da molti critici con l’ accusa di manierismo e superflua eccentricità, si era affinato nel corso degli anni fino ai risultati interessantissimi di incisioni come quella della sonata di Liszt, dei Quadri di un’ esposizione e dell’ antologia brahmsiana, uno dei suoi ultimi CD pubblicati per la DG. La carriera di Pogorelich si interruppe bruscamente nel 1996 in seguito alla morte della moglie, Aliza Kezeradze, che era stata la sua insegnante e guida artistica. Seguirono anni di depressione e crisi psicologica, e la ripresa fu lenta e tormentata, con ulteriori pause e diverse esibizioni dai cui resoconti sembrava che la favolosa tecnica se ne fosse andata per sempre. Negli ultimi anni, Pogorelich sembra avere ritrovato una relativa stabilità di livello esecutivo e anche per questo ero molto curioso di riascoltarlo dal vivo dopo quasi 25 anni dall’ ultima volta che avevo assistito a un suo concerto, ad Asolo. Nella serata alla Liederhalle, il pianista belgradese ha proposto un classico del suo repertorio, il concerto N° 2 in fa minore di Chopin. Il dandy affascinante e glamourous degli anni Ottanta è oggi un signore ultracinquantenne, dal fisico appesantito e dal volto segnato, con i capelli rasati stile Full Metal Jacket e che suona con lo spartito, in seguito a problemi di memoria. Il comportamento sulla scena è sempre improntato a regale distacco; sedutosi alla tastiera, Pogorelich ha sempre il tono assorto del musicista impegnato in un dialogo personale con le note, quasi il pubblico non esistesse. Da quello che ho ascoltato nell’ esecuzione del Concerto chopiniano, il pianista croato sembra aver ritrovato il controllo tecnico, a parte qualche minimo impaccio nei passi di agilità brillante e sgranata. Il suono è ancora pastoso e brillante, con una bella capacità di creare piani sonori vari e ricercati. Il fraseggio si è interiorizzato, è divenuto scabro, essenziale, senza certe eccentricità gratuite di un tempo. I bellissimi blocchi di sonorità della sezione centrale del primo tempo, l’ atmosfera trasognata del Larghetto, basato su timbri di eterea trasparenza, e l’ eleganza del Finale erano i tratti salienti di un’ interpretazione davvero di alta classe. Se le cose stanno così, Ivo Pogorelich è ancora un artista che ha qualcosa da dire in campo concertistico, e mi ha fatto davvero piacere poterlo constatare di persona.

Sul podio degli Stuttgarter Philharmoniker in questa occasione avrebbe dovuto esserci Vladimir Fedoseyev, ma l’ ottantenne direttore russo ha dovuto disdire il concerto per motivi di salute. A sostituirlo è stato chiamato il giovane francese Olivier Tardy, musicista nativo di Clermont Ferrand che alla sua posizione di primo flauto della Bayerisches Staatsorchester, posto che ricopre dal 1996. ha affiancato negli ultimi anni una consistente attività direttoriale. Una sostituzione impegnativa, visto che il brano in programma nella seconda parte era la Grande Sinfonia in do maggiore di Schubert, uno dei lavori più ostici di tutta la letteratura sinfonica per i problemi che pone all’ orchestra e alla bacchetta riguardo alla definizione dei piani sonori e agli equilibri di fraseggio. Per quanto mi riguarda posso dire di averne ascoltato, in concerto e su disco, almeno una trentina di versioni, senza mai averne trovato una che mi soddisfacesse sotto tutti i punti di vista. Una partitura enigmatica e sfuggente, terribilmente ostica dal punto di vista tecnico e difficilissima da inquadrare a livello interpretativo. Olivier Tardy ha diretto in maniera molto pulita ed equilibrata e gli Stuttgarter Philharmoniker hanno suonato con precisione e lodevole equilibrio di sonorità, soprattutto nel primo tempo e nel vorticoso Finale, assai impegnativo soprattutto per gli archi. Tenendo conto delle difficoltà obiettive poste da una partitura così scabrosa, si trattava di un’ esecuzione di buon livello e, credetemi, non è merito da poco in un brano come questo.



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