Jemaa el Fna, il nome della mitica piazza di Marrakech non è facile da ricordare, bisogna ammetterlo, ma io che a momenti dimentico pure come mi chiamo, questo nome non l'ho mai scordato. Il trucco, me lo diede tanti anni fa una guida locale- pensa in francese j'ai mal au foie, ho male al fegato, ha funzionato. Nei nostri quattro giorni marocchini ci siamo passate per forza più volte, è il perno da cui si dipana la città, ma non abbiamo mai sostato, non ci siamo fermate, non ce la sentivamo, era appena stata teatro di una tragedia. Come si fa a partecipare alla kermesse collettiva a pochi passi da quella terrazza sventrata? Non ho volutamente parlato della piazza e delle mille cose che ogni giorno vi succedono per tutti, turisti e gente del luogo. Qui si mangia, si discute, si compra, si vende, si contratta, si passeggia, si ascolta, si osserva, i cantastorie come quelli della commedia dell'arte inventano ogni volta, cambiano in base all'umore della gente, all'atmosfera della serata, un eterno happening dall'alba a notte fonda. Le terrazze dei caffè sono i luoghi privilegiati per assistere davanti a un tè alla menta a questo spettacolo spontaneo sotto il sole e le stelle, purtroppo c'è anche chi fa festa .....bombardando.
Come sempre mi riporto a casa e nel cuore dei flash, l'emozione di uno sguardo, di un incontro, di un angolo magico, di una minuscola scoperta che la fotografia trattiene ed aiuta a rinnovare nel tempo e nel ricordo: per esempio la fila dei calessi sempre pronti a portarti in giro, il giovane Kehmal dagli occhi carbone che ci serve sorridendo il tè dell'ultima sera nel riad e chissà come fa a servirlo così, col getto lungo lungo, un gatto randagio con l'aria dell' habitué che aspetta paziente davanti al banco del macellaio un pezzo di polmone, una strepitosa fioritura di hibiscus intorno allo stipite di un androne, quell'ocra calda che unisce tutte le case, un'agenzia immobiliare con tutte le chiavi dipinte, la place des épices, dove un tempo avveniva la tratta degli schiavi, per lo più della profonda Africa nera. Purtroppo il commercio era florido, ce n'erano di tanti tipi, quelli domestici chiamati affettuosamente "dada", le donne che lavoravano nell'harem, i soldati, un re di Meknès nel XVII° secolo pare avesse un esercito di 150.000 uomini, tutti neri e tutti schiavi.
Prima della partenza ero un poco preoccupata per questa gita di gruppo, dodici donne insieme non sono uno scherzo, ma è andata benissimo, sono pronta a ricominciare. Grazie alle amiche e grazie alla stupenda Marrakech!
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