di. Renzo Zambello
Non so se la critica lo promuoverà come un capolavoro, so di certo che Clint Eastwood, noto per essere stato l’attore senza la capacità di cambiare espressione, se non mettendosi o togliendosi il cappello, qui cerca una analisi su più piani: storica, sociale e personale di J. Edgar Hoover che è stato l’uomo più potente di tutti gli
Stati Uniti d’America dal 1924 a Nixon. Hoover, capo dell’ FBI per circa 50 anni non si è fermato davanti a nulla pur di proteggere il suo paese. In carica durante i mandati di ben 8 Presidenti e tre guerre, ha dichiarato guerra a minacce sia vere che immaginarie mostrando una grandissima capacità organizzativa ed intuitiva ma anche una struttura paranoide. Il regista, non si ferma alla lettura della storia ma entra dentro il personaggio. Ne fa una analisi psicologica mirabile che si muove, con passo lieve e parallelo alla storia di una America che nasconde sotto il proibizionismo la sua debolezza. Ne emerge che i suoi metodi spietati ed eroici erano sostenuti da un’unica ambizione, quasi delirante: quella di essere ammirato. Ma tutto ciò, forse, nascondeva una persona, dilaniata dalla incapacità di amare, di accettarsi per farsi amare. Io che faccio lo psicoanalista e per professione tendo “a pensar male”, ho l’impressione che Eastwood racconti se stesso, C’è coraggio nel descriversi così, anche se ancora non riesce a raccontare fino in fondo qualcosa che non era possibile dire, che “la mamma non voleva” e che forse, come il dossier segreti di Edgar, non si conoscerà mai.
Leonardo DiCaprio, protagonista è bravo. Mi e sembrato credibile nella sua trasformazione fisica e psicologica nel tempo. Per la verità mi è parso un po’ eccessivo il trucco per alcuni coprotagonisti, in particolare di Armie Hammer , l’amico, ma l’ho detto, non sono un critico.
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