La Siria, l’Afghanistan, le vecchie repubbliche sovietiche, i BRICS e i legami con la Nato: i campi d’intervento dell’attuale politica straniera di Vladimir Putin non mancano. Per Jean Geronimo, professore universitario all’UPMF di Grenoble, autore de Il pensiero strategico russo, guerra tiepida sullo scacchiere eurasiatico, il presidente russo rieletto punta a far affermare “la Russia come grande potenza eurasiatica, preoccupata di difendere i propri interessi nazionali”.
In seguito all’elezione di Vladimir Putin, al terzo mandato presidenziale, quali saranno le principali mosse e le priorità della Russia sul piano della politica internazionale?
Jean Geronimo. Queste mosse sanciscono il compimento del ritorno russo: l’affermazione della Russia come grande potenza eurasiatica, preoccupata di difendere i suoi “interessi nazionali” – e non più ideologici – amplia lo spazio dell’ex-URSS, alla Comunità degli Stati Indipendenti (CSI). Sotto la guida di Vladimir Putin, la Russia sta realizzando la sua strategia di potenza (derjava) sulla base dell’accelerazione del suo sviluppo economico e militare (soprattutto nucleare) e della sua rilevanza all’interno della CSI, il suo “estero vicino”, diventato la priorità della sua politica esterna. Nell’ambito del prolungamento della Pérestroika di Gorbaciov, Vladimir Putin mira ad instaurare un governo mondiale più equilibrato, che integri le nuove potenze (ri)emerse (quindi la Russia, la Cina e l’India) e che privilegi il ruolo dell’ONU, come vettore di un pluralismo democratico. L’obiettivo è quello di creare un mondo multipolare che contrasti l’egemonia americana.
Che cambiamenti vogliono apportare i russi alle relazioni russo-americane, ora che Barack Obama si è lanciato nella corsa alle presidenziali?
Jean Geronimo. Nella misura in cui la Russia si sente più forte, sembra ineluttabile un irrigidimento della sua politica americana. Vladimir Putin crede che la Russia abbia indietreggiato troppo in seguito alla transizione post-comunista, causata dalla sparizione dell’URSS, il 25 dicembre 1991. Vorrà trattare i tre temi bollenti: lo scudo della NATO, il caos afghano, l’impasse siriano. La Russia spera di essere maggiormente “ascoltata” e, soprattutto, capita nella sua apprensione nei confronti delle minacce alla sua sicurezza nazionale.
Prima di tutto, spera che l’asse NATO-Stati Uniti riveda la sua posizione “anti-russa” sullo scudo anti-missilistico, sospettato di essere un mezzo di “accerchiamento”. Quindi, si augura da parte di quest’asse una politica più coerente in Afghanistan, nella sua lotta contro la droga ed il terrorismo – per bloccare la loro avanzata verso la CSI. Infine, propone un approccio più equilibrato verso il Medio-Oriente, specialmente la Siria, per evitare la destabilizzazione della regione. Riguardo tali questioni, Mosca spera in una reale presa in considerazione dei suoi interessi.
Globalmente, è quindi una Russia che vuole la rivincita e cerca di difendere le sue posizioni contro le velleità espansionistiche della potenza americana, bramosa di soppiantarla nel suo ambiente storico. Per realizzare questo proposito, rafforzerà il suo controllo nell’area periferica più vicina, stabilendo il suo dominio – attraverso le strutture economiche collettive (Comunità Economica Eurasiatica) e politico-militari (Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai e Organizzazione del Trattato per la Sicurezza Collettiva) – e consolidare così la sua sicurezza.
D’ora in poi, per Vladimir Putin si tratta di neutralizzare la strategia di deflusso della potenza russa, strutturalmente guidata dall’amministrazione americana dalla fine della Guerra Fredda. La sua avanzata nel cuore dell’antico Impero sovietico si realizza grazie all’estensione delle rivoluzioni liberali “colorate”, al controllo dei circuiti energetici e all’impianto di basi militari. Questo implica il controllo degli Stati strategici – i “perni geopolitici” di Z. Brzezinski. Ritornando alla Guerra tiepida. Alla fine, la Russia si sforzerà di riconquistare il suo vecchio spazio, contro gli interessi americani e, così facendo, riattiverà le tensioni russo-americane.
Riguardo il vicino oriente, come spiega la posizione russa sulla questione siriana e sulle rivoluzioni arabe?
Jean Geronimo. La posizione di Mosca sulla Siria esprime, in modo globale, la sua diffidenza verso queste “rivoluzioni”, strumentalizzate secondo lei, da potenze esterne. La Siria, che ospita una base russa, è il suo ultimo bastione nella regione, percepito come un chiavistello di sicurezza in grado di stabilizzare le tensioni di confine. Nella visione russa, le instabilità arabe costituiscono una minaccia, declinata in due tempi. In un primo tempo esprimono un arretramento sensibile della Russia sullo scacchiere arabo. In un secondo tempo, Mosca teme un contagio rivoluzionario nel suo spazio politico interno (Caucaso, Urali) ed esterno (Asia centrale), dove la popolazione musulmana è corteggiata dall’ideologia emancipatrice dell’islam radicale. Quest’ondata “democratica” è incoraggiata dalla potenza americana, che porterebbe all’affievolimento e allo smantellamento della Russia.Mosca si oppone a tutte le ingerenze esterne in Siria secondo il “modello libico” di strumentalizzazione dell’ONU, in nome dei princìpi morali ed umanitari a geometria variabile. Tanto più che si ricorda lo “scenario jugoslavo” del 1999, segnato dai mortali bombardamenti della NATO, in violazione delle regole dell’ONU. Da questo punto di vista, la Siria sarà un forte simbolo del ritorno della potenza russa e della sua capacità di opporsi all’unilateralismo occidentale, attraverso la leva della NATO.
Vladimir Putin riprenderà e svilupperà una politica eurasiatica e si riavvicinerà a Pechino?
Jean Geronimo. L’ancoraggio eurasiatico della sua politica straniera è una necessità vitale per la Russia, da una parte per influenzare il governo mondiale e dall’altra per fermare la sua marginalizzazione sulla scena mondiale. Questa inflessione ha avuto inizio dalla fine degli anni ’90 grazie a E. Primakov, il vecchio “sovietico”, contro il mantenimento dell’ostilità americana. Il riavvicinamento con la Cina (e l’India) s’iscrive nell’ambito di una partnership multidimensionale (economica e strategica) che rafforzi l’asse eurasiatico per controbilanciare l’egemonia del governo mondiale neo-liberale, portato avanti dall’asse americano. Oppure, se la Cina si rivelasse un partner affidabile nel breve termine, diventerà una fonte di incertezze a lungo termine per la Russia. Con il suo riarmo accelerato, attraverso la sua forza nucleare, la Cina diverrà una minaccia latente per la Russia, aggravata dalla sua strategia migratoria.
(Traduzione dal francese di Valentina Bonvini)