Nel caos delle cose che sto studiando ora (che è davvero davvero un caos) avanzo poco più di una mezzoretta a sera per leggiucchiare qualcosa prima di dormire. Il “qualcosa” prescelto è Jacques il fatalista e il suo padrone, romanzo di Denis Diderot del 1773-1775.
Qui il link di una scheda un po’ più seria della mia, se vi volete fare un’idea del valore storico e filosofico del testo. Cose interessanti e noiosette che è sempre bene sapere quando si legge un autore di quel calibro, ma che il testo non ti nasconde dietro a chissà quali castelli metaforici… per dirla in breve: anche se salti l’introduzione e la nota del critico, te lo spiega Diderot e ti ci fai pure una risata.
Jacques è il buon servo di un padrone qualsiasi, senza qualità e anche senza nome. Tanto non importa, continua a dirci Diderot, né come si chiami, né dove stia andando portandosi appresso il nostro Jacques, né quale sia la locanda in cui si fermano, neppure se si tratta di una locanda o di una bettola malmessa o chissà che altro. Sono dettagli di poco conto, quindi, avuto l’elenco del possibile scegli un po’ te, caro lettore; immaginalo come ti pare. Jacques è un fatalista, qualcuno gli detto che tutto quel che deve accadere a lui e a tutto il mondo sta scritto nel Grande Libro, quindi sia che corra o che vada piano a quel che sta scritto ci arriverà di sicuro. Chi sia l’autore del Gran Libro non importa, ma c’è scritta la verità e tanto basta. Così anche tu – anche io- lettore, devi capire che chi scrive non può star lì a tirarla alla fine con particolari da romanzo, ma si deve attenere a raccontarti la verità, quel che è successo così com’è stato. Così Diderot si diverte a fare il verso all’autore del Gran Libro, e te lo fa notare per benino, sottolineando le tante cose che avrebbe potuto dire, cambiare, specificare, ma che non fa perchè così non è andata. Ecco qua un bel giro in tondo, dove si prende in giro un po’ tutto: il determinismo, il libero arbitrio, lo scrivere romanzi, il narratore omniscente e i suoi personaggi… Ci si burla di Jacques e anche del suo padrone, del loro viaggio e della moda di viaggiare, dell’intenzione che li muove e anche di quella che li fa parlare. Quel che vorrebbero è andare da un posto ad un altro raccontandosi nel frattempo degli amori di Jacques. Il risultato invece è una serie di dialoghi che da una cosa vanno ad un’altra, brevi narrazioni di ricordi della vita del servo o del suo capitano, o quello che una volta gli raccontò qualcuno, incastrate dentro il loro percorso continuamente interrotto da eventi eccezionali, fortune o sfighe. Il risultato per te- e me- insomma noi lettori- è una narrazione sconnessa, frastagliata, con frequenti comparse dell’autore stesso che ci spiega i suoi problemi o che vuol risolvere i nostri, tutto nel segno della burla che la fatalità sta giocando a Jacques, al suo padrone, a chi lo scrive e chi lo legge.
La cosa funziona, almeno per me; è anche divertente per un po’… carino questo saltare qua e là… un po’ irritante dopo le 80 pagine, ma io non ho mai le forze di leggere oltre la terza interruzione dalla sera prima. Chissà se Jacques riuscirà a raccontare i suoi amori… e se è scritto nel Gran Libro che io sarò ancora sveglia…