Fra quando ho deciso che avrei letto Shogun di James Clavell e quando l’ho fatto davvero sono trascorsi diversi anni. Si tratta di un romanzo storico piuttosto corposo, 900 pagine scritte fitte, anche se ho letto libri più lunghi di questo. L’ambientazione è quella del Giappone del 1600, un mondo a me quasi del tutto estraneo. Pure in passato ho letto romanzi storici ambientati in epoche o luoghi di cui ignoravo praticamente tutto, ma stavolta la cosa l’ho sentita.
L’inizio è stato faticoso. Non avevo punti di riferimento, non capivo neppure le motivazioni dietro alle azioni dei personaggi, immagino che solo John Blackthorne, il protagonista, fosse più confuso di me. I punti di vista sono parecchi, e a volte non sono separati neppure da una riga bianca, il che contribuiva a spiazzarmi.
Blackthorne non capiva, io non capivo, lui veniva continuamente sballottato da una parte all’altra come un pacco senza importanza e io ero sballottata con lui. Per fortuna per me si trattava solo di parole scritte e non di esperienze reali…
Il titolo è fuorviante, all’inizio della storia non c’è nessuno shugun, solo l’ipotesi che qualcuno lo possa diventare se fa le mosse giuste e se non viene ammazzato nel frattempo. In compenso la quarta di copertina contiene un paio di spoiler e un’affermazione non proprio corretta, dovrei saperlo che non dovrei leggere quei testi eppure ogni tanto ci ricasco. Però ho giudiziosamente fatto la brava e non ho letto le quarte di copertina degli altri romanzi della saga asiatica, Tai-Pan e Gai-Jin per paura di avere spoiler sul destino dei personaggi. In realtà Clavell ha pubblicato altri tre romanzi ambientati in Oriente: Il re, La nobil casa e Tempesta, ma visto che sono fuori catalogo chi li vuole leggere può solo andare in bibliotca o sperare nel mercatino dell’usato. Preoccupazioni inutili, Tai-Pan è ambientato a Hong Kong nel 1841, Gai-Jin in Giappone ma nel 1862, e Blackthorne viene semplicemente nominato di sfuggiata in Gai-Jin – e non potrebbe essere altrimenti vista la distanza di tempo fra le epoche dei due romanzi. Comunque non intendo leggere né Tai-Pan né Gai-Jin, nonostante il fatto che Shogun alla fine mi sia piaciuto. Troppa fatica iniziale e un mondo, quello del Giappone feudale, che ho trovato a tratti asfissiante con il loro rigidissimo codice d’onore. Anche se sto pensando di leggere Musashi di Eiji Yoshikawa, incentrato sul famoso samurai realmente vissuto e autore del Libro dei cinque anelli che ho letto tempo fa. Musashi inizia praticamente dove finisce Shogun, quindi almeno ora ho un’idea di quale fosse la situazione in Giappone in quel momento storico, ma certo non è una lettura che inizierò a breve.
Alla fine, come detto, mi è piaciuto. Fondamentale è stata Mariko, come interprete per Blackthorne e come tramite della sua cultura per noi. C’è la rigida divisione in caste in questo libro, la differenza fra culture, c’è violenza anche se non si vedono particolari duelli (ma morti ammazzati sì), ci sono bushido e seppuku (più noto da noi come harakiri), intrighi politici e manovre di guerra, la consapevolezza che il mondo sta cambiando con spinte in direzione del cambiamento e forti restistenze, scontri di religione, una tortura che per qualcuno su ibs è stato motivo per abbandonare la lettura anche se la descrizione è molto scarna e in altri libri ho letto descrizioni molto più pesanti (e venivano praticate realmente), amore e tradimento. Un grande romanzo corale, una bella visione su un’epoca e un mondo che non conoscevo con personaggi che alla fine mi hanno appassionata e che mi hanno anche fatta fare qualche domanda sul conformismo e sull’abitudine. Bello, ma sono contenta di averlo finito e di essere passata ad altro.