Svezia, oggi.
Disposto a sfidare la sorte pur di procurarsi una briciola di fama, il sub Erik Hall si tuffa nell’inferno delle miniere di Falun, un intrico di gallerie allagate e abbandonate ormai da decenni.
Ma il destino gli riserva ben altro che un banale record di profondità: riemerso in una misteriosa camera asciutta, l’uomo si trova faccia a faccia con un cadavere in perfetto stato di conservazione.
Pronto a informare le autorità, ma attratto da una forza quasi magnetica, il sub trafuga dalla camera mortuaria un oggetto sepolto da decenni: un manufatto che il precedente proprietario si è trascinato fin nella tomba, al solo scopo di sottrarlo alle avide mani delle “persone sbagliate”.
Ma, ora che Hall ha riportato l’oggetto in superficie, quelle persone sono già sulle sue tracce…
Ingiustamente paragonato a Il codice Da Vinci di Dan Brown, La stella di Strindberg, primo romanzo dello svedese Jan Wallentin, ha, in realtà, il non trascurabile pregio di non tentare la presa sugli amanti del genere new age e sulle altre specie di creduloni assortiti, propinando “incredibili”, annacquati segreti, agli occhi del bramoso pubblico: è vero, nel romanzo la componente “esoterica” non è certo trascurabile, ma se Brown pescava a piene mani dalla più bieca tradizione del complottismo occidentale -dando così, volente o nolente, un discreto impulso ai vari “studi” sull’Opus Dei segreta ecc., e contribuendo al diffondersi di una certa auto-compiaciuta ignoranza storica-, qui i riferimenti al lato occulto del nazismo, i rimandi alle mitologie nordiche ecc. ecc., sono del tutto strumentali all’intreccio, e, data l’assoluta incredibilità della tesi (sulla quale, ovviamente, è bene tacere…), il ricorso a questi sembra non solo lecito, ma pienamente giustificato.
Se proprio si dovesse azzardare un paragone, si potrebbe avvicinare La stella di Strindberg a quei film d’azione inseriti in cornici vagamente (e spesso grossolanamente) storiche e arricchiti da una patina di fantastico tanto in voga negli anni ’80: sulle prime, pare di trovarsi di fronte a I predatori dell’arca perduta rimesso al passo coi tempi, e l’effetto è decisamente gradevole.
La formula non sarà nuova, certo, ma la realizzazione di Wallentin, che, con tutti i suoi elementi volutamente incredibili (ai quali, però, il lettore concede volentieri un momentaneo e condizionato assenso), con il suo voluto disimpegno e con il ricorso quasi ossessivo ai cliché non di uno, ma di un paio di generi, riesce a tenere incollati i fruitori dalla prima all’ultima pagina, merita di essere segnalata, almeno per la leggerezza, per la godibilità del risultato.
Sul versante stilistico niente da dichiarare: le frasi sono secche, lineari, prive di sbavature (fatto salvo per qualche fantasioso brano finale che richiede qualche piccola -e fortunatamente breve- impennata); la narrazione è -secondo i canoni del genere- affidata a un narratore onnisciente che salta di personaggio in personaggio senza mutare registro, timbro o ritmo, e che si permette, qua e là, qualche piccola reticenza (segnalata dalle usuali, misteriose allusioni), a beneficio dell’effetto sorpresa finale (forse non troppo sorprendente per i lettori più smaliziati).
Insomma, questo La stella di Strindberg non è certo un romanzo destinato a cambiare la storia della letteratura, forse neppure la micro-storia del suo stretto e sotto-rappresentato genere, ma, se lo si considera secondo la luce giusta -ovvero come un’opera di puro intrattenimento, che proprio allo scopo di intrattenere attinge a piene mani all’immaginario avventuroso-fantastico televisivo, cinematografico e persino fumettistico-, non si può che lodarne la buona fattura.
La stella di Strindberg, di Jan Wallentin è edito in Italia da Marsilio.