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Jane Austen e gli epigoni
Alzi la mano chi non conosce Jane Austen, scrittrice inglese (1775-1817) vissuta sotto re Giorgio III e durante la Reggenza (1810-1821), quando la pazzia del sovrano ne rese necessaria l’interdizione con la nomina a Reggente del figlio, poi re Giorgio IV.Generazioni di lettori e lettrici, grazie ai libri della Austen (i romanzi “Orgoglio e Pregiudizio”, “Senno e sensibilità”, “Mansfield Park”, “Emma”, “L’Abbazia di Northanger” e “Persuasione”, oltre ad alcune opere minori o incompiute) hanno imparato a conoscere come vivevano gli inglesi – soprattutto nobili e possibilmente benestanti – al tempo della Reggenza, nelle case sparse per la campagna, fra visite di cortesia, tè pomeridiani e feste da ballo, senza dimenticare passeggiate a cavallo e trasferte a Londra o a Bath per le stagioni mondane.
Jane Austen è senza dubbio una grande scrittrice, ma ciò che sorprende molto, e resta difficile da spiegare, è lo straordinario successo che continua ad avere ancora oggi.La condizione femminile è oggi così diversa rispetto a duecento anni fa, almeno nel mondo occidentale, da rendere poco comprensibile che una donna del ventunesimo secolo possa ancora immedesimarsi in eroine come l’Elizabeth Bennet di “Orgoglio e Pregiudizio”, afflitta da una madre istericamente preoccupata di far sposare a tutti i costi le sue cinque figlie, o come la Emma del romanzo omonimo, sempre impegnata a combinare matrimoni fra i conoscenti.
Eppure esiste una vera “Jane Austen mania”, attiva soprattutto nei paesi anglosassoni, che ha portato alla pubblicazione di moltissimi libri ispirati in qualche modo all’autrice ottocentesca, con risultati non sempre felici.Un primo filone comprende “continuazioni” dei romanzi della Austen, che terminano sempre con un classico lieto fine, consistente nel matrimonio fra i protagonisti al termine di una serie di difficoltà e/o incomprensioni. Per rispondere a ogni curiosità riguardante possibili seguiti, esiste un numero imponente di resoconti della vita coniugale di Elisabeth e William Darcy a Pemberley, o di Marianne con il Colonnello Brandon, mentre alcuni scrittori hanno addirittura “riscritto” le trame originali dal punto di vista dei protagonisti maschili.Non manca chi abbia provato a portare a termine le due tracce rimaste incompiute alla morte della Austen, “Sanditon” e “I Watson”: tra questi spicca Anne Austen Lefroy, nipote della scrittrice, autrice già nell’Ottocento di un completamento di “Sanditon”.
Un secondo filone riguarda invece chi ha scelto personaggi secondari dei romanzi per farne i protagonisti di nuove vicende: ad esempio Colleen Mc Cullogh, la celebre scrittrice australiana, che con “L’indipendenza della signorina Bennet” (Rizzoli, 2007) ha creato un seguito di “Orgoglio e Pregiudizio” che ruota attorno a Mary, la più insignificante delle cinque sorelle Bennet. La storia è curiosa e ricca di colpi di scena, ma i personaggi appaiono un po’ troppo “moderni” rispetto a quelli ottocenteschi. Syrie James ha finto di ritrovare “Il diario perduto di Jane Austen” (Piemme, 2008), in cui fonde con discreta abilità elementi biografici autentici e invenzioni personali, mentre Arielle Eckstut in “Orgasmo e pregiudizio” (Newton Compton, 2006) offre una spassosa interpretazione in chiave erotica delle più celebri e caste scene d’amore dei romanzi austeniani.
Ma chi è riuscita a mostrare il contrasto fra il mondo oggi idealizzato di Jane Austen e la mentalità di una lettrice contemporanea è l’americana Laurie Viera Rigler, che in “Shopping con Jane Austen” (Sperling & Kupfer, 2010), catapulta brutalmente in piena Reggenza una banale trentenne afflitta dai problemi di tutti noi, mostrando la sua difficoltà di adattamento a convenienze sociali antiquate e alla mancanza delle più elementari comodità: romantico immedesimarsi in un personaggio di Jane Austen, ci dice in sostanza la Viera Rigler, ma solo fino a un certo punto.
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