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Janis, Tara e Gianni Sapia

Creato il 03 ottobre 2013 da Athos Enrile @AthosEnrile1
Janis, Tara e Gianni Sapia
Il 4 ottobre del1970 prendeva il volo Janis Joplin. Sono passati 43 anni. L’articolo di Gianni Sapia, comparso nel numero di maggio di MAT2020 abbina l’immagine di Janis a quella di Tara degl’Innocenti. Quadretto di rara efficacia! Sarebbe facile prendersi gioco dei texani, se non si sapesse che […] essi cercano di serbare un legame con la forza e con la semplicità della terra. Istintivamente sentono che essa è fonte non solo di ricchezza, ma anche di energia. E l’energia dei texani è sconfinata ed esplosiva”, così scrive John Steinbeck in Viaggio con Charley parlando del Texas e dei texani e così era l’energia di Janis Joplin, che texana lo era: sconfinata ed esplosiva! E così era la sua voce. Quella voce che, malgrado il colore della sua pelle, era incazzata come quella dei neri, perché i neri hanno la voce incazzata, modificata geneticamente e fortificata da anni di schiavismo e repressione, che li hanno portati a gridare per generazioni il dolore che avevano dentro, arrivando a cantare come nessun bianco poteva fare. Fino a quando non è apparsa Janis, che sembrava anche lei cantare per dar sfogo al fuoco che le bruciava lo stomaco. Come un vulcano, dove le sue viscere erano la camera magmatica, la gola il camino vulcanico e la bocca il cratere principale. La voce-lava usciva da lei dolce e potente, come un lento fiume che ribolle al suo interno e che esplode all’improvviso, lanciandosi in mille lapilli verso il cielo. Non c’è più traccia della ragazzina sovrappeso e piena di complessi che a poco meno di vent’anni lascia Porth Arthur, la sua città natale, per rifugiarsi nella musica, quando nel 1967 sale, insieme alla Big Brother and the Holding Company, sul palco del pop festival di Monterey. L’emozione traspare dal suo viso, certo, ma traspare altrettanta felicità, perché sa che sta per fare quello che meglio le riesce fare, incantare il pubblico. Janis non è ancora nessuno, ma appena attacca Ball and Chain, appare chiaro a tutti i presenti di essere di fronte all’inizio di una favola meravigliosa. La sua voce parte e sembra non arrivare mai, è in continua partenza. Chi ascolta resta emozionato, col mento caduto, attonito ad ascoltare la voce della Perla. Solo quando smette di cantare ti accorgi che è arrivata, perché aprendo il tuo cuore la trovi lì, che canta ancora al ritmo del TUM TUM del tuo muscolo cardiaco. Poi se ne va, quasi schernendosi, quasi imbarazzata dal successo che il pubblico le tributa. Due anni dopo è a Woodstock, stavolta senza la BBHC. Ma non ne ha più bisogno, perché nel frattempo è diventata Janis Joplin, icona del rock, che fa a gara di popolarità con gente come Jim Morrison e Mick Jagger. È un simbolo del movimento hippie, di pace e amore, libertà, sentimenti; feeling era la parola che usava più spesso nelle interviste. Non era bella per quelli che erano i comuni canoni di bellezza, ma non ne aveva bisogno. La sua personalità, la sua unicità, la sua variopinta interiorità, non ti lasciavano scampo. La sua meraviglia come essere umano faceva di lei anche un sex-symbol, malgrado lei non lo sapesse. Naturalmente il popolo di Woodstock la accoglie come merita. Lei e il multirazziale Hendrix sono le vere star del festival, perché meglio di chiunque altro rappresentano e incarnano quello spirito fatto di peace, love & freedom che in quegli anni fanno sperare che l’umanità abbia una possibilità. Janis è famosa. Il suo primo album, omonimo della Big Brother and the Holding Company, con cui lo registra, già fa intravedere le potenzialità del gruppo e di Janis in particolare. Penso a Call on Me, dolcissima ed amorevole ballata, al galoppo di Coo-Coo o al cantare in equilibrio sull’orlo del precipizio, che solo Janis poteva inventarsi, di Last Time. Col secondo album, Cheap Thrills, la visione diventa più chiara. La sensibilità artistica di Janis scoppia in faccia al mondo, evidente come la forza di un mare in burrasca. La rabbiosa dolcezza di Piece of my Heart, il calore del blues di Turtle Blues, la reverenziale Ball and Chain che Janis rende fantastica, così come fa con la sua versione psichedelica di Summertime. Apperò! Proprio così, tutto attaccato e con due pi, mi viene da dire. Ma il meglio deve ancora venire. Così come velocemente ti dava tutto, altrettanto velocemente Janis prendeva tutto e i suoi rapporti erano destinati ad essere di breve durata, così, subito dopo l’uscita di Cheap Thrills, è il 1968, Janis lascia la BBHC è intraprende la sua vera carriera da solista. Un anno dopo esce I Got Dem Ol' Kozmic Blues Again Mama, che registra con la sua nuova band, la Kozmic Blues Band. È un’ascesa continua. In quest’album anche il suono è più curato, la parte strumentale è più sofisticata, ma sono sempre la voce e lo spirito di Janis protagonisti assoluti. Da Try a Maybe, da Kozmic Blues, omaggio alla band, a Work me Lord, Janis non smette un attimo di sorprenderci e di trapuntarci la pelle di brividi. Vorrei non parlare del quarto album. Dell’ultimo album. Ma non si può non farlo. Lo registra con una nuova band la Full-Tilt Boogie Band. Si intitolerà Pearl, così come gli amici più intimi chiamavano Janis e sarà un capolavoro assoluto. Dieci canzoni che consacrano definitivamente Janis Joplin nell’olimpo dei grandi. Dalla rockettara Move Over a Get it While You Can, passando per il grido di Cry Baby, la malinconia di  A Woman Left Lonely, il ritmo di Half Moon, il ritorno a sonorità country con Me and Bobby McGee e l‘ironica Mercedes Benz, dove fa tutto da sola, senza l’aiuto di nessuno, così come aveva fatto quando lasciò Porth Arthur. È il 1971 e l’album viene pubblicato postumo perché lei, la Perla, non c’è più. Viene trovata morta il 4 ottobre del 1970 al Landmark Motor Hotel di Hollywood, California, uccisa dall’eroina. Voleva cambiare pelle. Voleva lasciarsi alle spalle amori di plastica, alcool e droga, voleva riappropriarsi della sua vita. Basta guardare le sue foto per capirlo. Sorride Janis, dietro i suoi grossi occhiali rotondi, avvolta nei suoi boa colorati, agghindata di collane e bracciali, piena di colori e dei loro profumi, perché lei era capace di farti sentire l’odore del colore. Forse quello sarebbe stato l’ultimo buco, e comunque lo fu. Il suo spirito ora vaga, irrequieto com’era irrequieto quando ancora aveva un corpo. Ma lo spirito, l’anima dei grandi non muore mai. Anzi, a volte si reincarna. Lo spirito di Janis vaga per poco più di dieci anni prima di trovare “casa”. Attraversa l’Atlantico, arriva fino alla vecchia Europa. Arriva in una delle città più belle del mondo, una delle città più ricche d’arte del pianeta: Firenze. È l’ 8 dicembre 1980 e in casa Degl’Innocenti si festeggia la nascita di Tara. Letteralmente, in sanscrito, Tara vuol dire stella e rappresenta un Bodhisattva trascendente femminile del Buddhismo tibetano. Sarebbe, per semplificare, un’aspirante dea. Insomma, già dal nome si capisce che non siamo davanti a niente di normale, dove normale è l’antitesi di speciale. Tara è irrequieta, com’era irrequieta Janis e inizia a cantare già all’età di quattordici anni. Si accosta alla musica irlandese, prosaicamente l’equivalente di quello che per Janis era stato il country. Ma poco dopo, la spinta dell’anima la porta verso il rock, verso il blues, verso quelle voci “rauco-blues-miagolanti, ricche di estensione e calore”, come ebbe a dire lei in un’intervista (l’intervista è di Athos e si trova sul suo blog, http://athosenrile.blogspot.it/2010/08/tara-degl-innocenti-rose.html). L’anima di Janis si fonde con quella di Tara e Tara non si tira indietro. Fa sue vita, emozioni e sensazioni di Janis, li filtra col suo cuore, cervello, col suo stomaco e alla fine dalla Rosa rinasce una nuova Perla. Si fa conoscere prima in Toscana e in Emilia e nei suoi show, ogni volta che canta un pezzo di Janis, la gente si emoziona. Anche lei ti fa cadere la mascella e ti lascia a bocca aperta. C’è qualcosa di trascendentale, c’è feeling, avrebbe detto Pearl. Quando Tara canta Janis, tutto si confonde: i gesti di una diventano quelli dell’altra e viceversa, le espressioni si confondono, le voci si fondono. Sarebbe come dire che Tara + Janis = Meraviglia, ma anche Janis + Tara = Meraviglia. Sì certo, proprio quella cosa lì, “invertendo l’ordine degli addendi…”. Purtroppo ho potuto soltanto vedere foto e video di entrambe, ma non ho potuto fare a meno di notare che nei momenti più intensi delle loro esibizioni hanno lo stesso modo di arricciare il naso, avvicinando le sopracciglia. È evidente a tutti insomma che, quando Tara degl’Innocenti canta un pezzo di Janis Joplin, succede qualcosa di speciale. E, come dicevo, Tara non si tira indietro. Da sfogo alle sue anime e fonda i The Rose, che in poco tempo diventeranno la Janis Joplin Tribute Band più famosa d’Italia e una delle migliori, se non la migliore, d’Europa. Canta anche con la Big Brother and the Holding Company e si rivivono emozioni viscerali che forse non si erano mai sopite. Monterey sembra dietro l’angolo. Una cosa più d’ogni altra accomuna queste due artiste, oltre le affascinanti e seduttrici capacità vocali: il desiderio e la capacità di emozionare il pubblico, l’istintiva e irrefrenabile voglia di spremere fino all’ultima goccia, l’otre piena d’arte che portano dentro di loro e donarne il succo a chi ascolta. Janis è stata grande e Tara è grande, due grandi artiste, due grandi anime che si sono incontrate e nessuna è la copia o il clone dell’altra. C’è un’unica differenza tra le due, che non è proprio una differenza, ma più una considerazione dovuta a canoni estetici del tutto personali e che forse non dovrei dire, ma che dirò: Tara è più bella di Janis! Ecco, l’ho detto e me ne assumo tutte le responsabilità. Alla fine, in modo del tutto naturale ed istintivo, vista l’affinità d’anime, quello che fa Tara, molto umilmente, è offrire un tributo a Janis e, per dirla con le sue parole: « Un tributo deve rendere vivo un’artista e non divo chi lo fa », quindi grazie Tara, per regalarci ancora Janis.

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