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Je ne suis pas Charlie

Creato il 11 settembre 2015 da Serenagobbo @SerenaGobbo
Fonti bibliografiche del post

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… O meglio, sono Charlie perché sono contraria agli assassinii in nome di Dio, alle donne, sfigurate, rinchiuse, picchiate, allo stato e all’estremismo religioso ecc… ma non sono Charlie per quanto riguarda lo strumento di questa opposizione: la satira.

Nella raccolta di articoli “Noi e l’Islam” tutti si dichiarano a favore della libertà di espressione, anche se supera i limiti, anche se offende.

(…) sarebbe un errore grave dividersi oggi sulla libertà d’espressione, che va difesa sempre, anche quando diventa libertà di dissacrazione.

Questo lo dice Aldo Cazzullo, e altri (non a caso quasi tutti giornalisti) lo seguono sullo stesso tono. Ma chi ha deciso che in nome della libertà di espressione si può scrivere qualunque cosa?

Poi, un giornalista francese, Bernard Henry Lévy, chiama le vittime di Charlie “martiri dell’umorismo”. Beh, martiri sì, e chi li ha resi tali deve essere punito in modo esemplare; ma non dell’umorismo. Ripeto: qui siamo nel campo della satira. Guareschi era un umorista, Charlie Hebdo no.

Non si tratta neanche di ironia. L’ironia getta dei ponti di comprensione con il “bersaglio”: crea una specie di unione tra chi la fa e chi la riceve perché presume l’intelligenza del destinatario, dunque una specie di parità. Chi fa satira, al contrario, non unisce nulla. Anzi: pianta paletti di confine, separa.

L’ironia interroga, critica, autocritica; ed è spesso portata avanti da chi è esso stesso parte di ciò su cui ironizza. La satira, invece, giudica, difende una morale comune, o la morale dell’autore. Socrate era ironico non perché voleva che la gente amasse Socrate, ma perché voleva che la gente amasse la Verità, o almeno la ricercasse.

Il riso ha sempre uno scopo correttivo, stiamo attenti a ciò di cui ridiamo: una risata è un castigo sociale, e un castigo lo impartisce sempre qualcuno che si ponte su un gradino più alto: sia il bullo che ride del bambino che inciampa su un sasso, sia il giornalista che prende in giro un’altra religione.

C’è una guerra culturale ed ideologica in atto: non si calmeranno gli animi prendendosi il gioco dell’altra parte. La satira nel caso dell’estremismo religioso non è libertà di espressione: rende impossibile il dialogo e l’integrazione, e per di più offende anche i musulmani moderati, che potrebbero essere i portavoce più autorevoli per parlare con gli estremisti.

Edgar Morin dice che per facilitare la vera integrazione, servono più matrimoni misti. Può essere una delle strade: sono le emozioni che fanno muovere le persone, e la famiglia è una fucina di emozioni. Anche la satira, certo, smuove emozioni; ma verso cosa? Verso l’integrazione o verso una maggiore divisione?



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