Scrivere di Genet mi risulta difficile ma è un atto dovuto a questo scrittore e drammaturgo che, lo confesso, è la mia passione da sempre, da quando ero un ragazzo e lessi per la prima volta “Nostra Signora dei Fiori” o quando vidi il superbo film di Fassbinder nel 1982, “Querelle de Brest“, tratto dal omonimo libro, con strepitosi attori come Franco Nero, Jeanne Moreau e Brad Davids. Un film che per me rimane ancora inarrivabile, ambiguo, violento, pessimista e narciso all’estremo delle forze, un valzer di anime perse, alla deriva, con una scenografia unica e impagabile per quel periodo. Nacque da Gabrielle Genet e da padre sconosciuto e venne subito affidato alle cure della pubblica assistenza. La famiglia adottiva viveva nel Morvan, una regione che era un autentica “nursery” della Francia del XX secolo, famosa per ospitare e adottare i bastardi della Terza Repubblica. La sua infanzia fu protetta e serena; scuole comunali, giochi e il bambino divenne presto chierichetto, essendo oltremodo educato, riservato e taciturno. Il suo primo furto risale all’età di dieci anni ed è da considerare come l’atto fondamentale che seguirà tutta la vita e le sue opere. Lo scrittore, fustigato per la sua cattiva azione, cercò di trasformarla santificando quel gesto erigendolo a simulacro del suo vizio e della sua profonda antisocialità. Fù in quel periodo che risalgono i suoi primi turbamenti maschili impersonati poi da Cullafroy, l’eroe di “Nostra Signora dei Fiori“, specialmente nei confronti di uomini adulti, guappi dei bassifondi, marinai e emarginati. Lasciò poi il Morvan per seguire una formazione da tipografo ma fu subito licenziato per un furto; divenne un bambino senza fissa dimora, fu recluso nella colonia penitenziaria di Mettray dove tutte le sue fantasie e le sue inclinazioni omosessuali si cristallizzarono, così come tutti i suoi feticci liturgici delle dominazioni/sottomissioni, la virilità brutale e la gerarchia machista. A 18 anni si arruolò nella Legione Straniera, siamo nel 1928. Scoprì per la prima volta l’Africa del nord, il Maghreb profondo e il vicino Oriente che lo impressionarono molto a causa delle passioni violente e intestine che imperavano, il carisma maschio e virile degli uomini arabi, e le sofferenze dei popoli oppressi dalla Francia colonizzatrice. Ritornò a Parigi vivendo di piccoli furti a librai e antiquari e frequentò molte prigioni. Nell’isolamento esistenziale del carcere scrisse le prime bozze di romanzi, di poesie che continuamente rivedeva e correggeva. Genet era un perfezionista assoluto, eternamente insoddisfatto, ossessionato dalla bellezza della parola. Pubblicò i primi testi a sue spese e divenne il pupillo di Jean Cocteau e di Sartre. I due scrittori in seguito lo difesero dall’accusa che gli fece rischiare il carcere a vita, firmando petizioni e aiutandolo nei momenti peggiori. Sartre scrisse anche un libro su di lui ( S.Genet, commediante e martire) fissando l’exemplum della sua filosofia esistenzialista. Libro questo che deprimerà profondamente Genet e gli impedirà di scrivere, a suo dire, “per lunghi 10 anni in quanto la mia meccanica cerebrale era stata decorticata“. Quando furono pubblicati i suoi primi romanzi vennero immediatamente censurati perchè pornografici e furono distribuiti sotto banco. “Il diario del ladro“ racconta la sua storia, di ladro, omosessuale e emarginato, mentre vagabonda in lungo e in largo per l’Europa vivendo di espedienti. “Il miracolo della rosa” analizza i suoi anni di prigione e il suo innamoramento per un assassino, assemblandoli con la sua permanenza alla colonia penitenziaria di Mettray. “Notre Dame des fleurs” evoca la sua infanzia e le creature ambigue che circolavano nelle notti parigine prima della II° Guerra Mondiale. Con “Pompe funebri” del 1947 Jean Genet propose una visione omoerotica di Hitler con uno sguardo poetico sui rapporti che trattavano la violenza nazista e l’attrazione sessuale. Il mito omoerotico venne fissato poi indelebilmente con Querelle de Brest, pubblicato nel 1947. I propositi di Genet si fecero più impegnati quando si interessò alla politica attiva, contro la dominazione occidentale e lo stato deplorevole nel quale la Francia lasciava le sue antiche colonie sparse nel mondo. Nel 1970 si unì alla lotta delle Pantere Nere recandosi con enormi difficoltà negli Stati Uniti. Seguirono le battaglie con i Palestinesi dell’OLP (incontrò Yasser Arafat e Leila Shaidid nel 1982) e fu il primo occidentale ad entrare e documentare a Chatila, i massacri perpetrati dalle milizie cristiane, alleate con l’esercito israeliano di Ariel Sharon. Scrisse in seguito “Quattro ore a Chatila” che divenne un successo mondiale. La morte del suo compagno Abdallah ( che ispirò il poema “I Funamboli“) e la sua tossicodipendenza ai barbiturici misero in serio pericolo la sua esistenza. Jean Genet sbarcò a Tangeri nel 1968 attirato forse dall’aura mitica della città, descritta da generazioni di scrittori e cineasti. “Ho voluto imbarcarmi per Tangeri. I films e i romanzi hanno fatto di questa città un luogo terribile, una sorta di bisca dove i giocatori mercanteggiano i piani segreti di tutte le armate del mondo. Dalla costa spagnola, Tangeri mi appare come una città favolosa. E’ stata anche il simbolo del tradimento (…) scriverà nel “Diario di un ladro“. Si accompagnerà a Paul Bowles, Mohammed El Katrani, suo ultimo amante e al futuro scrittore Mohammed Choukri. Passeggerà, con il suo mal di vivere, dal Negresco al Madame Porte, passando per la mitica libreria “Les Colonnes“. All’Hotel d’Orsay, nella camera 103 che gli ispirò ”Un captif amoreux” e dove vi soggiornò per lungo tempo, Abdallah, addetto alla reception,si ricorda del vecchio e stanco scrittore: “Tutte le mattine portavo la colazione in camera e i giornali. Lo trovavo sul letto, che scriveva, riempiva pagine e pagine. Era un uomo umano, sensibile. Il suo sguardo era potente, esprimeva delle cose restando in silenzio (..). A proposito di silenzio Jean Genet amava ripetere un poema di Dom de Laveyne che l’ho fatto mio:” Amate il silenzio..prendetevi una grande cura nel trattenere la vostra lingua e di osservare. Che la carità e la discrezione vi aprano la bocca. Il silenzio è uno dei segni più certi della presenza di Dio in un anima“. A Larache, passo probabilmente i momenti più belli della sua vita. Mohammed Abid, un insegnante del luogo, non si è dimenticato di quest’uomo che vedeva passare in quelle strade polverose, da bambino:”Aveva un aspetto umile e l’aria di un artista spagnolo sconosciuto. Quando è morto ho capito perché se ne parlava, solo allora ho compreso che quel uomo era un grande scrittore, amico dei Palestinesi, che aveva testimoniato il massacro di Sabra e di Chatila (…) portava dei sandali in pelle di capra, per evitare di farsi lucidare le scarpe“. Mohammed El Katrani, il vero amore della sua vita, era per Genet “il male e il rimedio” e El Katrani dirà allo scrittore Mohammed Choukri:” E’ un uomo folle, ma è incredibilmente buono, seducente, non ho mai incontrato un essere umano come lui“. Dal 1974 vivrà a Larache nella casa che acquistò per Mohammed.Lo incoraggiò a sposarsi. Più tardi El Katrani avrà un figlio, Azzedine, che Genet adotterà. Lo iscrisse in un importante collegio di Rabat e seguì la sua educazione sino alla morte, il 15 aprile 1986. Azzedine continuò gli studi e si laureò. Jean Genet morì di cancro alla gola al Jack’s Hotel di Parigi; partì da Larache per morire solo, lontano dagli affetti più cari, per non deluderli. Venne interrato a Larache su decisione di Jaky, un altro amico che Genet aveva adottato e aiutato nel suo percorso di vita. Alla sua morte giornalisti, professori, televisioni e altro cercarono di ottenere ogni sorta di documenti e fotografie su Genet. El Katrani dichiarò con nervosismo:”Nessuna persona avrà nulla di Jean finché sarò in vita. Ogni oggetto che mi ha lasciato mi è più prezioso di tutti i soldi del mondo”. Jacky si recò per molto tempo a rendere visita a El Katrani. Esecutore testamentario di Genet, divise i diritti dei libri dello scrittore con lui. Quando Mohammed Choukri visitò la tomba di Genet in compagnia di El Katrani, l’amico disse:”Vengo sulla sua tomba tre, quattro volte alla settimana. Mi siedo qui, solo o a volte con Azzedine, quando è in vacanza, contemplo il mare e rivivo i miei ricordi con Jean, in Marocco o all’estero. Ha riempito la mia vita di tutto cio’ che è bello e che amo. Oggi mi ha lasciato solo. Non avrò più un amico come lui. La realtà è che lui non c’é più, è sparito per sempre. Anche Jacky prova lo stesso vuoto. Non dipinge più. Ha perduto la vitalità che gli trasmetteva Jean. Io e Jacky conoscevamo veramente poco della vita, poi è arrivato Jean che sapeva molto e ci ha insegnato“. Racconta Mohammed Choukri che dopo la morte di Genet, El Katrani non si mosse più da Larache e divenne la sua ombra. La morte di Genet aveva distrutto il suo spirito. Si sentiva come un morto vivente. El Katrani morì nel 1987 in un incidente di auto, un anno dopo la morte di Jean Genet. Lo scrittore riposa nel cimitero spagnolo di Larache, sotto un cedro, un umile tomba bianca, senza croce. Una tomba bianca che si riempie di erbe. Un poco’ più lontana, davanti a lui, la sua ultima e vera casa, la sua camera aperta su un grande albero di caucciù. Una scala di legno..l’anima di Jean Genet fluttua, impalpabile, inafferabile. Souad Guennoun, fratello di El Katrani ha dichiarato:”Quest’uomo che a tanto sofferto amava aiutare i bisognosi, ritrovava nella gente umile e i nei delinquenti la sua ribellione…“. Se passate da Larache fate una visita a paladino dei vinti, degli umili, delle prostitute e degli emarginati; portategli una rosa, una sola, rossa…Jean Genet amava le rose rosse.
“Sono nato a Parigi il 19 dicembre 1010. Pupillo della assistenza pubblica, mi fu impossibile di conoscere altre cose del mio stato civile. Quando ebbi 21 anni ottenni un atto di nascita. Mia madre si chiamava Gabreille Genet. Mio padre rimane sconosciuto. Sono venuto al mondo al 22 della rue d’Assas.
Ho saputo quindi alcune cose sulle mie origini e mi recai in rue d’Assas. Il 22 era occupato dalla Maternità. Si sono rifiutati di informarmi“.
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