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Jet lag mentale

Da Eucuri

Ricordo il mio volo di tanti anni fa. Quella strana sicurezza di partire mescolata alla totale assenza di cognizione di quello che stava per succedere. Appena ritornavo, la prima domanda che mi facevi era quando sarei ripartito. “Ho avuto la sensazione che passiamo più tempo a dire -arrivederci- che a vederci”*. Soffrivo di una sorta di jet lag mentale, nonostante l’orario invariato. E sembrava che anche tu ne soffrissi, pur restando ferma. Non c’era mai tempo sufficiente per riabituarsi all’altro. Tutta l’assenza che si provava nella distanza si trasformava in un osservarsi paralizzante. Per notare cambiamenti, per notificare i cambiamenti, ed eventualmente incolpare l’altro per quei cambiamenti. La paura del non riconoscersi, il non volerlo ammettere a volte. Perché se uno cambia e l’altro no, è un male. Ma nonostante tutto, sorrido ancora pensando a quei singoli istanti in cui ci ritrovavamo negli occhi dell’altro e sembrava che non ci fossimo mai separati.

Citazioni tra virgolette tratta da “L’appartamento spagnolo”

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