Chi è Jezabel? È la madre crudele che appare in sogno ad Athalie, protagonista dell’omonima tragedia di Racine, canto del cigno del drammaturgo francese. Cosa c’entra Jezabel con Gladys Eysenac, bella donna dell’alta società seduta sul banco degli imputati perché accusata del delitto di un ventenne squattrinato? E, soprattutto, perché Gladys ha tanta fretta di riconoscersi autrice dell’omicidio? Questi i quesiti che mi ponevo cominciata la lettura di Jezabel.
Quando viene comunicata la lieve pena che la facoltosa Gladys dovrà scontare per l’assassinio di quello che la società borghese degli anni Trenta inquadra come suo amante, sembra non esserci alcun tassello fuori posto: dalle parole dei testimoni date in pasto a una Parigi affamata di dettagli sulla sordida vicenda emerge la figura di una persona viziata, capricciosa, traditrice all’unico scopo di ingelosire a sua volta il fedifrago compagno. È solo con il racconto della vita di Gladys che si scopre l’altra faccia della medaglia. Gladys Eysenac è una donna sola, ossessionata dal potere che il suo fascino esercita sugli uomini e spaventata a morte dall’idea di poter invecchiare. Quest’ultimo pensiero la tormenta continuamente; non c’è sguardo, parola, gesto di Gladys che sia libero dall’assillo costante della vecchiaia, intesa come l’età della vergogna, della solitudine e della fine dell’ascendente esercitato sugli altri, unico vero scopo della sua vita. Basta questa piccola premessa per immaginarne le catastrofiche conseguenze di una tale ossessione per bellezza e giovinezza.
Ho divorato Jezabel. Al di là della trama, probabilmente prevedibile, è sulle doti di grandissima narratrice di Irène Némirovsky, la cui fama morì con lei nel campo di concentramento di Birkenau – fino alla recente riscoperta –, che è d’uopo soffermarsi. Con una prosa essenziale e piacevolissima, l’autrice costruisce una protagonista dalla psiche cristallina; la meccanica dei suoi ragionamenti è talmente lineare da indurre a chiedersi come la scrittrice abbia potuto rappresentare un personaggio dotato di una tale carica realistica senza avere un modello preciso cui attingere (difatti molti sostengono si sia ispirata a sua madre, il cui fantasma è presente anche in altri romanzi). Sostanzialmente, Gladys è uno dei personaggi più moderni che mi sia capitato di incontrare: eserciterà la sua allucinata coerenza fino alla follia finale.
Jezabel racconta l’egoismo sfrenato di una donna e tutta la miseria della sua persona, e allo stesso tempo pone all’attenzione del lettore temi di assoluta attualità: mi viene di pensare che, proprio come l’ottusa Gladys, neanche leggendo Jezabel quelle donne che oggi sfoggiano lineamenti di plastica nei salotti tv possano comprendere fin dove l’ossessione per la giovinezza possa spingersi.
Angela Liuzzi
Irène Némirovsky, Jezabel, Adelphi, 194 pp., 10 euro