1968: The Scalphunters di Sydney Pollack
“Western scanzonato e malizioso” lo definisce il Morandini.
In effetti l’ironia è la caratteristica più saliente di un film che la critica di tutto il mondo apprezzò a suo tempo e di cui oggi è unanimemente riconosciuta l’importanza.
Sydney Pollack, già al suo terzo film (un anno dopo realizzerà uno dei capolavori indiscussi di Hollywood, il bellissimo e angoscioso Non si uccidono così anche i cavalli?) rivela innate doti di abile cineasta capace di coniugare nel miglior modo possibile senso dello spettacolo e contenuto non banale. Questo Joe Bass non solo è una gioia visiva per la smagliante fotografia e i panorami splendidi che ritrae, non solo è un racconto avvincente e dal ritmo incalzante, ma costituisce soprattutto una novità nell’evolversi di uno dei generi hollywoodiani per eccellenza.
Nel primo trentennio del secolo scorso ciò che aveva caratterizzato il western è la decantazione dell’Ovest leggendario, l’apologia del cow-boy, la legittimazione del genocidio degli Indiani. Nulla di tutto questo in Joe Bass, l’implacabile. La frontiera è un luogo di misfatti, di soprusi, di violenza; il cow-boy vive di espedienti e ruberie; gli Indiani sono vittime predestinate al massacro. Il film è un prodotto degli Anni Sessanta, l’era kennedyana ma anche della violenza razziale, del pantano vietnamita e della contestazione giovanile. Lo scossone politico e ideologico si riflette sulla produzione cinematografica (i critici parlano di “Hollywood Renaissance”). Non sono pochi i registi che ritengono che col western si possano affrontare temi contemporanei sotto forma di metafora.
Ci si interroga sul passato secondo le nuove esigenze (sessantottine), si mettono in discussione i classici presupposti (la nobiltà dell’uomo bianco, la barbarie dell’indiano), la mitica epopea della frontiera americana si trasforma in una disperata avventura di odi, di vendetta, di violenze fini a se stesse… e il tutto nella desolazione di paesaggi desertici e villaggi inospitali. Sydney Pollack sceglie la chiave della parodia e della farsa, ma il messaggio è chiaro.
Un film da vedere, anche per la presenza di un cast particolarmente carismatico e costituito da nomi che hanno onorato l’arte cinematografica: dall’indimenticabile Burt Lancaster alla splendida Shelley Winters, dal sempre efficace Telly Savalas al bravissimo Ossie Davis (giustamente nominato ai Golden Globes).
p.s.
Nel 1972 Sydney Pollack dirigerà Corvo rosso non avrai il mio scalpo che, a detta del Mereghetti (il dizionario di film), risulta essere “uno dei contributi più significativi nella revisione del genere western”.