Credo di essermi imbattuto in tre dei peggiori dieci libri che io abbia mai letto, per capirci.
Di contro, però, ho toccato vette molto alte. Il libro di Donnini è una vetta. Alta. Molto alta.
Fra l'altro partiva ad handicap, l'ho atteso per mesi, l'ho pregustato e ho creato un'aspettativa pronta ad essere tradita.
In primis l'autore. Donnini a scrivere in Italiano è bravo, molto. Emoziona con le parole, con le sue emozioni, senza bisogno di creare racconti ad hoc. Ci riesce quando scrive articoli e ci riesce nei libri. Provo a spiegarmi: riuscire a trasmettere l'emozione per un incontro fortuito con Joey o col fratello o con qualunque altro personaggio è più difficile che trasmettere l'emozione raccontando di un piccolo e dolce cucciolo di cane batuffoloso che è stato maltrattato dai padroni e poi ha trovato l'amore nella casa di un bimbo che se ne è preso cura. Insomma, nel secondo caso la storia emoziona, nel primo devi metterci te stesso per farlo. Donnini ci riesce, ci riesce senza essere eccessivo, si coglie l'ammirazione per Yer Maun lungo tutto il libro senza mai avere la sensazione di essere una groupie. Molte biografie, specialmente quelle di personaggi più mitologici che famosi, sono spesso arricchite di fatti ed eventi e le "star" vengono elevate a livelli assoluti. Il nostro caro autore ha tra le mani la storia semplice di un uomo straordinario. L'equilibrio del libro è nel non esagerare mai gli eventi, non calcare mai i toni per accrescere la grandezza: Dunlop era un grande, se lo cogli dalla sua storia bene, altrimenti non lo coglierai mai abbastanza.
Non sempre le biografie riescono ad evitare la trappola della beatificazione, ingigantendo le imprese, aumentando le difficoltà o altro. Spesso la verità viene romanzata, resa più accattivante per il pubblico, condita magari con un po' di mistero o di destino avverso.
In questo libro c'è equilibrio e credo che questa quasi discrezione e questo rispetto credo siano il miglior tributo a Dunlop.
Prendete l'episodio dell'incidente. La carriera di Dunlop la possiamo dividere in due fasi: pre e post incidente del 1989. Bene, sarebbe stato facile raccontare lo sforzo fatto da Dunlop ingigantendo il dolore, gli sforzi, le sofferenze, trasformandolo in un eroe capace di rialzarsi sostenuto dagli dei da un dolore che noi umani non possiamo immaginare. Però poi non rimarrebbe nulla, molto meglio raccontare quello che è successo, i fatti, la voglia di tornare, il cammino lento ma inesorabile, le vittorie. Dunlop non era un martire o un eroe, correva in moto non salvava vergini. Però era un guerriero e il racconto del recupero dell'infortunio ci trasmette il guerriero senza bisogno di trasformalrlo in eroe classico. Eroe è un termine troppo vero perchè lo stesso Dunlop la accetti per se stesso. Invece in giro, leggendo certe biografie, è pieno fitto di eroi...ma questo è un altro discorso.
Donnini non è mai fuori tema o fuori ritmo (bellissimo il modo in cui gli ultimi tre capitoli rallentano rispetto al resto del libro, si percepisce che il ritmo delle parole varia, il tempo si sospende, la fine è vicina), gestisce il clima del libro dalla prima all'ultima riga aggiungendo piacevolezza. Insomma, per capirci, sono stato meno equilibrato io in queste righe che lui nel libro.
A tratti ha il controllo e il "distacco" del cronista e proprio per questo le emozioni arrivano più genuine e colpiscono.
Venendo invece ai contenuti: vi consiglio di rileggere la premssa al commento del libro precedente ( Commento a TT Muori o vivi davvero ).
La storia è quella di un uomo vero, di quelli che piacciono, che fanno sognare, che più lo scopri e più ti stupisce. Ci sono fatti simpatici, fatti dramamtici, racconti epici, racconti diretti, interviste, risultati. C'è tutto quello che doveva esserci e nella giusta quantità: sarebbe stato facile dedicare 4 capitoli al Dunlop che si occupa di beneficenza, magari ad inizio libro, per ingraziarsi tutti coloro che lo vedono solo come un pazzo che correva corse anacronistiche già ventanni fa. Invece Dunlop era discreto e anche il capitolo dedicato a questo aspetto poco conosciuto lo è. Discreto ma incisivo.
Il libro ha solo due limiti, uno molto grande ed uno meno.
Il primo, quello molto grande, è che finisce: non smetteresti mai di leggerne, non vorresti mai smettere, vorresti che ci fossero i commenti di ogni singolo pilota che l'ha affrontato nel corso dei suoi infiniti anni di carriera.
Il secondo è il paragone con Armstrong e il tour. Credo che fosse stato scritto prima della vicenda doping. Per carità il paragone regge, è centrato, però personalmente mi ha infastidito affiancare un uomo che non voleva essere eroe, che faceva di tutto per non apparire di una virgola oltre a quello che era (un pilota) con uno che si spacciava per eroe mentre i suoi gesti erano, per così dire, supportati. Dettagli, ovviamente.
Arriviamo in fondo. Compratelo, compratelo se vi piace il motociclismo, se volete sentire raccontare molto bene una storia che è storia e attraversa 30 anni di motociclismo in tutte le sue forme, pista, strada, derivate, moto di serie, prototipi. Insomma, un modo per scoprire che parallelamente al mondiale di moto che si affermava e creava campioni che si sfidavano c'era un uomo che superava i decenni, che domava le evoluzioni tecniche, che sfidava se stesso senza mai battersi, che tutti volevano battere ma che batteva tutti lasciando però agli avversari l'orgoglio di aver diviso l'asfalto con Il Re Del TT.
Il tutto raccontato da uno che ha il pregio disaper scrivere (e non è scontato, neppure fra giornalisti e scrittori), che è appassionato, che si è documentato e che ha anche vissuto certi momenti. L'unione di passione, testimonianze e ricerca è impagabile.