Magazine Cinema

John dies at the end

Creato il 11 febbraio 2013 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

 Anno 2012

Durata 99′

Nazionalità Stati Uniti

Genere Surreale-Grottesco

Regia Don Coscarelli

john-dies-at-the-end-2012

Se l’Italia fosse realmente un paese di cinema si farebbe il conto alla rovescia per John Dies at the End (2012) e non per l’uscita in sala di Warm Bodies (2012). Se quello in cui viviamo fosse una pianeta giusto, Don Coscarelli vorrebbe trattato alla stregua di una divinità, magari pagana ma comunque idolatrato come tale. 

False entrambe le realtà parallele prospettate, non resta che godersi l’ultima fatica di un regista geniale e visionario, incapace di sbagliare (mai) un film e addirittura di migliorarsi con il trascorrere del tempo, invecchiando talmente bene da far sembrare i suoi primi lavori come semplici step, pietre che possono apparire si come miliari, ma al tempo stesso passi necessari per raggiungere l’attuale livello di maestria registica.

Icona indiscussa del fanta-horror statunitense, con John Dies at the End Coscarelli conferma quanto il prodigioso Bubba Ho-tep (2002) lasciava già ampiamente presagire: oltre la celebre trilogia di Phantasm iniziata nel 1979 c’è di più, molto di più; un talento capace di attraversare i generi, rendendoli concentrici subito dopo averne stravolto confini e parametri, uno sguardo talmente cinematografico da soffrire, inevitabilmente, se circoscritto alla sola produzione orrorifica.

John Dies at the End è un frullatore e al tempo stesso un lucernario sulla fantasia tutta, pellicola inafferrabile e contemporaneamente imperdibile, la più grottesca delle rivisitazioni de L’invasione degli ultracorpi (1966) e insieme parto folle, coraggioso e spensierato di una scrittura (quella di David Wong) che, minuto dopo minuto, assume sempre più le sembianze di un racconto scritto da Jonathan Carroll subito dopo un’overdose televisiva di Breaking Bad.

Alternato su diversi piani di racconto, l’ultimo Coscarelli riesce nell’impresa di superare i suoi palesi difetti (le non proprio eccelse capacità recitative dei due protagonisti maschili: Chase Williamson e Rob Mayes), fortificandosi attraverso di essi e, non pago di ciò, lancia continuamente il guanto di sfida allo spettatore: confuso, disorientato ma infine soddisfatto perché accomodato dinanzi ad un mulinello di linee narrative frammentate solo in superficie, di fatto sorrette da una sapiente sceneggiatura; pronte insomma, a ricongiungersi secondo copione al momento dovuto.

 Al resto provvedono i movimenti di una macchina da presa avvicinabile, per estro, a quella del primo Tarsem Singh e un gusto per il make up artigianale che è diretta conseguenza della mai nascosta passione di Coscarelli per La Casa (1981) di Sam Raimi, regista che John Dies at the End omaggia tra le righe spesso e volentieri, senza maniera o stucchevolezza alcuna; bensì soltanto con il divertito gusto di chi, nei meccanismi della settimana arte, ormai ci sguazza.

 Luca Lombardini


Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :