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John le Carré e il tramonto delle spie

Creato il 11 settembre 2013 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali

401px-John_le_Carredi Michele Marsonet. Arriva nelle nostre librerie “Una verità delicata”, l’ultimo libro di John le Carré, e mi vien subito da dire che siamo alle solite. Mi spiego. Anche in questo caso il grande scrittore inglese prosegue sulla linea che ha scelto da tempo, con opere assai lontane da quelle che considero “classiche” e nelle cui pagine figuravano personaggi come George Smiley, Jim Prideaux, Bill Haydon e Alec Neamas. Cambiamento dovuto certamente a un’epoca ben diversa dal periodo della Guerra Fredda. Ma questo non basta a spiegare i motivi per cui – almeno a mio avviso – il secondo le Carré, pur restando un romanziere di grande qualità, non riesce a eguagliare il primo.

Nel volume appena uscito siamo a Gibilterra, tradizionale crocevia dello spionaggio internazionale, e anche qui, come accade da parecchio nei suoi libri, alcuni scoprono uno iato irrimediabile tra la loro etica personale e quella dello Stato che servono, mettendo infine in dubbio che i segreti di stato siano necessari. In precedenti occasioni era toccato al sarto di Panama Harry Pendel, al diplomatico in crisi Justin Quayle e a tanti altri affondare nelle sabbie mobili del dubbio senza avere il benché minimo appiglio da afferrare.

Variano paesaggi e contesti geografici, ma il tema di fondo è sempre lo stesso: la lotta contro lo strapotere delle multinazionali e delle banche d’affari. In altre parole la denuncia degli enormi profitti illeciti spesso ottenuti nascondendosi dietro il paravento degli aiuti umanitari. E al contempo la connivenza dei governi con questo stato di cose. Il le Carré del secondo periodo è un fiume in piena e non risparmia nessuno, convinto che i servizi segreti siano soltanto strumenti che i corrotti d’alto bordo usano a loro piacimento.

Di questo passo è diventato un autore di thriller politici e di libri di denuncia, con lo spionaggio – il vero terreno in cui eccelle – relegato a un ruolo marginale e a volte addirittura inesistente. Continuo a leggerlo con il segreto desiderio di vederlo tornare all’antico splendore, ma non c’è verso. I personaggi non restano impressi nella mia mente, sono entità opache e indecifrabili. Permane la sua magnifica prosa – questa sì immutata – e il dono dell’approfondimento psicologico che ora sembra, però, sempre più fine a se stesso.

Forse era destino che accadesse. In uno scenario internazionale così confuso e difficilmente comprensibile anche il nostro David Cornwell alias John le Carré stenta a trovare spunti davvero interessanti, e stenta pure a costruire storie che, una volta lette, non si scordano più. Non era così prima, ai tempi dell’Unione Sovietica e del blocco comunista, quando il conflitto ideologico e la contrapposizione tra due sistemi alternativi di organizzare la società fornivano spunti in abbondanza. Un mondo in bianco e nero, è stato detto, nel quale si stava da una parte o dall’altra, e i dubbi venivano sedati in nome di un interesse superiore.

Dubbi che nutriva anche George Smiley, agente segreto eccelso sul piano intellettuale ma con un fisico paffuto da impiegato. Eppure alcuni passi che lo riguardano, soprattutto ne “La talpa”, restano memorabili. Sposato con Ann, donna bellissima e affascinante che lo tradisce a più non posso, troviamo questo passo che la descrive: “La vide smontare, lasciando la freccia accesa, ed entrare nella stazione a informarsi: alta e l’aria sventata, straordinariamente bella, decisamente la donna di un altro uomo”.

E che dire di Bill Haydon, il grande traditore nonché amante a tempo perso della stessa Ann? Quando sta per essere smascherato a Londra in compagnia del suo controllore sovietico, le Carré scrive: “Ci sono momenti che sono troppo pieni di cose perché li si possa vivere nell’istante stesso in cui capitano. Per Guillam e tutti gli altri presenti, quello fu uno di questi momenti”.

Ecco, per trovare passi simili è inutile leggere i nuovi libri David Cornwell, non li contengono e non fanno venir voglia di rileggerli una seconda volta. Voglia che invece si manifesta prepotente con “La talpa”, “Tutti gli uomini di Smiley”, “La spia che venne dal freddo”, “L’onorevole scolaro”. Forse, come ho già detto, non è colpa di le Carré: è cambiato il mondo. E può anche darsi che molti siano di parere diverso trovando gli ultimi libri più belli dei primi. A mio parere l’ispirazione dello scrittore si va esaurendo, e per fortuna posso ritrovare negli scaffali i vecchi capolavori ogni volta che voglio.

Featured image, John le Carré, fonte Wikipedia.

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