Il nuovo album di John Maus ci porta in un universo di sentimenti senza tempo, sospesi fra passato e futuro.
Sabato scorso al Rough Trade ad un certo punto é partito questo disco. Piano piano, uno dopo l’altro, quasi tutti i presenti nel negozio hanno alzato la testa si sono guardati un po’ in giro e si sono diretti al bancone. Lí un signore puntava con il dito, ad ognuno di loro, un disco appeso dietro di lui, con in copertina un faro che taglia il fitto blu di una notte marina. Mi aggiungo anch’io al gruppo dei curiosi finché una ragazza si presenta con una pila di questi dischi che vengono venduti in un secondo.
We Must Become the Pitiless Censors of Ourselves é un album che non puó lasciare indifferenti. Quest’ultima opera di John Maus, due lauree in tasca e un PhD in corso, é infatti di una bellezza senza tempo. Non é synth pop, non é cold wave…non é nemmeno il disco perduto degli anni ’80 perché non suona vecchio e polveroso. Certo non si puó non pensare a Andrew Eldritch, Bauhaus, Robert Smith o a La Storia Infinita ma in questo album ci sono gli anni 80 che avevano ancora qualcosa da dire, ma finora nessuno se n’era accorto.
In soli 32 minuti e pochi colori nella sua tavolozza John Maus riesce a dipingere i paesaggi piú vari, dall’oscuro pop di Quantum Leap, alla germania di Kraftwerkiana memoria di Matter of Fact, dal 8-bit riverberato di Streetlight allo spaventoso lento sci-fi di Cop Killer.
E allora, se anche in camera vostra l’arpeggio di Hey Moon fa abbassare la temperatura di un paio di gradi, tirate su le coperte, abbassate le luci e lasciatevi andare al duetto fra Molly Nilsson e il baritono vibrante di John Maus.