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Comunque venga giudicato, Fanfare di Jonathan Wilson è riuscito a non passare inosservato, alzando un bel polverone fra fan (professionisti ben educati) e critici (rockettari in giacca di pelle).
Già prima di Fanfare la mia posizione sul Wilson in oggetto era ambivalente. Dopo aver con un po' di generosità giudicato il precedente lavoro del 2011, Gentle Spirit, fra i migliori dell'anno, ero rimasto deluso dalla scarsità di personalità, vocale e strumentale dimostrata da Wison in apertura del concerto di Lucca degli Heartbreakers, quando la maggior parte dei presenti non si era neppure reso conto che un supporter stava tenendo un concerto.
Fanfare è, come suggerisce onestamente il titolo, un disco suonato con la fanfara, sopra le righe, con una lunga apertura sinfonica da far invidia a un Rick Wakeman dei tempi belli o ad un quasi omonimo Steven Wilson dei tempi nostri.
I 13 lunghissimi brani del disco sono l'equivalente di una di quelle C90 che registravamo agli amici per fargli ascoltare i nostri brani preferiti.
13 pomposi pezzi ispirati a modelli del passato fino a sfiorare l'imitazione, senza nessun tentativo di mischiare gli ingredienti in uno stile almeno omogeneo, se non personale.
Avete presente quando si scrivevano sull'etichetta, accanto ai titoli, i nomi degli autori? Facciamo un esperimento: dopo l'introduzione "fanfarona", accanto al secondo brano Dear Friend scriveremmo senz'altro Pink Floyd, Dark Side Of The Moon. Love To Love è Bob Dylan con la Band in Planet Waves, ma anche Tom Petty a Los Angeles (Wilson dimora effettivamente a Laurel Canyon).
Future Vision è un inedito di Dylan. Cecil Taylor un inedito dei CSN&Y. Illumination è Neil Young con i Crazy Horse. Desert Trip suggeritemelo voi. Fazon potrebbe essere la Steve Miller Band. New Mexico è West Coast del 1970. Lovestrong sono di nuovo i Pink Floyd di Echoes.
Un disco da bocciare, dunque? Niente affatto, un disco dove melodie molto orecchiabili da radio FM si susseguono senza soluzione di continuo come in un ottimo canale della filodiffusione (di una volta). Un disco utile, anche, che potrete mettere in sottofondo la prossima volta che inviterete a cena il vostro dentista o il vostro amico avvocato: 14 greatest hits of 2013.
P.S.: visto che sono tanto furbo, come giustifico tutte le lodi a Wilson che si sono alzate tanto dalla rete quanto dalla stampa? Sono i dieci milioni di orfani degli Eagles, non certo i duecento di Velvet Underground.
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