Johnny Herbert, oggi commissario FIA. Ecco il suo profilo e la sua carriera in F1.
John Paul “Johnny” Herbert è nato a Brentwood, il 25 giugno del 1964.
Il suo esordio in Formula 1 avviene nel 1989, alla guida di una Benetton. Purtroppo, le premesse al suo esordio non sono delle migliori. Herbert si rompe entrambe le gambe in un brutto incidente in Formula 3000 a Brands Hatch nel 1988 in una collisione con Gregor Foytek. Herbert rischia anche l’amputazione di una gamba.
Per lui era pronto un contratto in Williams e lo stesso Frank era presente il giorno dell’incidente a Brands Hatch. Johnny non si dà per vinto e Peter Collins lo ingaggia in Benetton. L’inglese fa miracoli e nonostante il grave infortunio riesce lo stesso ad essere al via all’inizio della stagione ad Interlagos, dove debutta con un ottimo quarto posto. Ma la riabilitazione era stata affrettata: il pilota si aggirava per il paddock con le stampelle ed i suoi guai fisici si manifestano in maniera più evidente sui circuiti fisicamente più impegnativi; vi furono discussioni nel team, con Herbert e Collins da una parte ed un Flavio Briatore dall’altra che stava riorganizzando il team; prima di metà stagione Collins se ne va e Herbert viene appiedato. L’inglese prende parte ad altre due gare nel 1989 con la Tyrrell, e poi torna in Formula 1 alla fine del 1990 con la Lotus (passata nel frattempo sotto il controllo dello stesso Peter Collins) dove rimane con qualche interruzione per tre anni, ottenendo alcuni piazzamenti, tra cui gli ultimi punti della scuderia inglese in Belgio nel 1993; nel 1991 e 1992 è compagno di squadra del futuro campione del mondo Mika Hakkinen.
Verso la fine del 1994 lascia la Lotus per la Ligier, quindi di nuovo per la Benetton, con la quale non ottiene punti quell’anno, ma nel 1995 vive la sua migliore stagione in F1 a fianco di Michael Schumacher. L’inglese conquista due vittorie tra le quali quella del Gp di Gran Bretagna, particolarmente prestigiosa per i piloti inglesi, e contribuisce al titolo costruttori della squadra. La coppia Schumacher- Herbert porta l’unico titolo costruttori nella storia della scuderia anglo italiana. Quando Schumy passa alla Ferrari, Briatore saluta anche Herbert, puntando sulla coppia Alesi – Berger, in arrivo direttamente da Maranello.
Seguono tre anni alla Sauber, in cui ottiene due piazzamenti sul podio, il più prestigioso dei quali il terzo posto a Montecarlo nel 1996, prima di passare per la stagione 1999 alla Stewart Grand Prix di Jackie Stewart, a fianco di Rubens Barrichello; ottiene meno punti del suo compagno brasiliano, ma si toglie la soddisfazione di regalare la prima e unica vittoria alla Stewart nel 1999, al Nurburgring, in una corsa caratterizzata dalla pioggia. Il team viene poi ceduto alla Ford che la ribattezza Jaguar, con la quale rimane anche l’anno seguente senza però ottenere punti. E’ la sua ultima stagione in F1. L’ultima gara di Herbert è stato il Gran Premio in Malesia del 2000.
Il pilota e l’uomo
Johnny Herbert si è ritirato, con questa frase: “Mi sono reso conto che non potrò più diventare campione del mondo. Era questo il mio obiettivo”. Pilota dalla grande forza di volontà, intelligente, capace di interpretare anche ruoli difficili, come quello di compagno di squadra di Michael Schumacher.
In carriera ha corso 198 Gran Premi, ottenuto 3 vittorie, 7 podi e 98 punti in totale. Tre vittorie di prestigio per Johnny: Monza, Silverstone e il ‘Ring.
Va ricordato poi, nel suo palmares, la vittoria nella 24 Ore di Le Mans nel 1991 a bordo di una Mazda 787B.
Oggi è commissario FIA-
Per concludere questo profilo di Herbert, è bello riportare questo suo pensiero su Ayrton Senna: “Ha cambiato profondamente le corse; ha innalzato la preparazione fisica necessaria per la F1 su un’altro livello. Prima di Senna, il problema riguardava lo sfruttamento delle gomme, tenendo d’occhio le gomme potevi sederti e fare una passeggiata giro dopo giro. Ma il suo stile era attaccare, attaccare, attaccare, come uno sprinter per tutto il tempo, così il livello di preparazione fisica è dovuto diventare molto più elevato. La sua determinazione a diventare campione del mondo era completamente diversa da quella chiunque altro. Io ammiravo il modo in cui era il miglior pilota nelle qualifiche e altrettanto nei gran premi. Era uno dei piloti più completi che io abbia mai conosciuto. Quando è morto è stato come se qualcuno ti venisse portato via, via dalla propria famiglia. Fu uno shock totale per il sistema. Io penso ancora a lui, mi manca ancora. Era un ragazzo davvero grande”.