Davide Siri
Sono venuto a contatto con la musica di Joseph Arthur guardando Scrubs, infatti in svariati telefilm era allora (all'inizio del nuovo millennio) inserita la sua “In The Sun”, facente parte dell'album “Come To Where I'm From” (2000), che probabilmente resta ad oggi il suo capolavoro.
Subito mi colpì l'intensità che traspariva dalla voce del ragazzo, allora rampollo di Peter Gabriel, e dall' unione che questa riusciva a realizzare con la musica, formando melodie piacevoli e jingles semplici ma tutt'altro che banali.
Joseph Arthur è un cantautore pop/rock moderno in termini di sensibilità artistica e di sonorità, che in questa decade ha scritto tanto e continuamente, e sempre con grande spontaneità. La nota caratterizzante della sua produzione è un romanticismo che sa essere a tratti puro e diretto, ma anche cupo e simbolico, con rimandi a significati più ampi di una ricerca di redenzione e purificazione da parte di un animo in pena.
Nel recente passato i lavori di Joseph erano caratterizzati da una forma espressiva più complessa (il che non vuole essere una nota di merito nè di demerito, scegliete voi quale “Joseph Arthur” preferite), e vedevano l'artista nativo dell'Ohio come parte di una band, cosa non usuale per un autore che è sempre stato abituato a fare musica come one-man-band o comunque da solista.
Invece, con questo disco, egli torna ad un'espressione più personale ed introspettiva, che coincide con lo stop alle collaborazioni, fatta eccezione per il batterista Jim Keltner (altro ritorno al passato, al celebre disco del 2000 che ho menzionato prima) e per l'ospite Liz Phair.
In “The Graduation Ceremony” più che mai Arthur predilige e sceglie schemi semplici, con brani a forte preminenza acustica, talvolta con ricami fatti di tastiere e archi, e un uso molto più moderato del digitale: tutto ciò nell'intento di dare forma alle sue sensazioni più sincere.
Tra rimpianti, rivendicazioni, confessioni, vagheggiamenti malinconici, ombre evanescenti allo spuntare del sole, ricordi passati, verità e menzogne, l'autore esplora la fenomenologia dei propri sentimenti. La sua cerimonia di laurea diventa dunque la testimonianza di un processo catartico, che egli ci fornisce con la chiusura di un percorso che abbraccia una relazione (riferita magari solo ad una fase della vita, ma valida probabilmente per le relazioni di una vita intera) e le riflessioni che essa ha portato.
Inoltre, per chi non lo sapesse, Joseph è un appassionato di un'altra forma d'arte, cioè la pittura, che riesce anche a legare alla sua produzione musicale: lui stesso dipinge la cover art delle sue produzioni, curandone ed avvalorandone così anche il packaging. (Siccome mi piace molto la cover art in generale, un aspetto dei dischi di cui spesso ci si scorda, mi sembra doveroso aggiungere questa piccola nota di merito).
Mi sembra di poter affermare che Joseph Arthur abbia dato nuovamente dimostrazione (se mai ce ne fosse bisogno, basta guardarne la discografia e la biografia) di essere un grande artista, punto.