Joseph Mitchell: Il segreto di Joe Gould

Creato il 11 luglio 2014 da Fabriziofb

Chi è Joe Gould? È il, “professore”, il “professor Gabbiano”, il “professor Mangusta”, “il Gabbiano”, la “Mangusta”, l’ultimo bohémien del Greenwich Village, un “noce americano”, secondo le parole di Ezra Pound, un poeta, uno storico, un laureato ad Harvard “magna cum difficultate”(parole sue, non mie), un “frenetico danzatore chippewa”, il “massimo esperto mondiale del linguaggio dei gabbiani”, è “l’eccentrico Autore di un Grande, Misterioso Libro Inedito”(1), la Storia Orale del nostro tempo, destinata ad offuscare la fama del Declino e caduta dell’impero romano di Gibbon, o solo un “nottambulo solitario”, un “piccolo ficcanaso”, un impostore e un incallito bugiardo?

Nei due testi raccolti sotto il titolo di Il segreto di Joe Gould, originariamente apparsi sul New Yorker nel 1942 e nel 1964, Joseph Mitchell (1908-1996), autore noto principalmente per i suoi Profiles(2), ritratti di curiose celebrità locali, si interroga proprio su questo: chi è in realtà questo Gould, vecchio abitatore del Village e parresiante habitué di ogni club, diner e bettola tra il Greenwich e la Bowery? Quanto c’è di vero nella sua ormai mitica Storia Orale, “l’inedito più lungo della storia”, già esteso come “undici bibbie” eppure ancora incompiuto? E quanto c’è di buono in quest’opera, per patrocinare la quale artisti e commercianti del Village, amici e semplici conoscenti, si impegnano a versare, di quando in quando, generose offerte al “Fondo Joe Gould”(3)?

“Piccolo capolavoro”, come puntualizzano Fruttero & Lucentini dal dorso del volume, di quell’arte così americana che “consiste nel trattare la non-fiction, biografia, storia, cronaca, con tale sensibilità e intensità narrativa da renderla indistinguibile dalla fiction, pur restando i fatti scrupolosamente documentati e privi di qualsiasi orrenda romanzatura”(4), romanzo-verità, insomma, Il segreto di Joe Gould è in realtà un romanzo-verità sui generis, per via del curioso svuotamento del contenuto(5), che fa sì che la storia di Gould si trasformi lentamente nella storia del rapporto tra l’autore e il suo soggetto (fenomeno che, d’altra parte, non manca di manifestarsi in Capote) e nel contempo nella cronaca “intima” di uno svelamento, di una scoperta. Così, la “banale” ricerca preliminare per la stesura di un’opera di non-fiction diventa per l’autore un esercizio di auto-osservazione più che di osservazione, e l’opera stessa slitta, per così dire, dal singolare verso l’universale, imponendo al lettore una doverosa, se non inedita, riflessione sui rapporti tra io e persona (in senso junghiano), verità, narrazione e auto-narrazione(6).

C’è poi la curiosità destata dal titolo, che di per sé vale l’appagante e facile impresa della lettura: quale sarà questo segreto di Joe Gould che l’autore si appresta a svelare? Le pagine corrono, e avanza il dubbio che non esista alcun segreto. Eppure, alla fin fine, un segreto c’è, o almeno c’è stato, fino al 1964, quando, trascorsi sette anni dalla morte del “professore”, Mitchell ha deciso di potersi finalmente azzardare a pubblicare Il segreto di Joe Gould

Il segreto di Joe Gould, di Joseph Mitchell, è proposto ai lettori italiani da Adelphi, nella traduzione di Gaspare Bona.

(1)Joseph Mitchell, Il segreto di Joe Gould, Adelphi, Milano 2013, p. 125.
(2)Apparsi sul New York tra il 1934 e il 1964, i Profiles sono oggi leggibili in Jospeh Mitchell, Up in the Old Hotel and Other Stories, Vintage Books, New York 1993.
(3)Ovvero i quattro spiccioli che Gould si porta in tasca, appena bastanti per qualche pasto frugale, l’alloggio presso qualche pulciosa pensione o dormitorio della Bowery, e il necessario per la scrittura.
(4)Sempre Fruttero & Lucentini citano come esempi (e la loro lista è tutt’altro che esaustiva) Hemingway, Capote, Shirer.
(5)Cosa si sa, infine, della vita di Gould e della sua opera? E quanto si evince davvero dal reportage di Mitchell?
(6)Per tacere degli interrogativi collaterali sulla responsabilità del narratore; questione, questa, che in un mondo in cui curiosamente esistono ancora degli angoli di “modernità” inspiegabilmente sopravvissuti all’avvento del postmoderno, angoli in cui si avanza tuttora la pretesa di poter raccontare la Verità (quella con la maiuscola), risulta quantomai interessante.


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