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Jouf di Scluse, un set su Flickr.
Il sentiero inizia a fianco di Casa Zanier, leggo il cartello con le varie destinazioni, distanze importanti, percorsi lunghi a volte impegnativi, ne seguiremo il corso fino al bivio con il successivo 426, per poi risalire la stretta valle di S.Antonio, sotto le propaggini dello Jouf di Chiusaforte che sarà la nostra meta. Abbiamo preso spunto da un libretto “Trois” e subito siamo rimasti affascinati dalla solitaria e selvaggia bellezza di queste montagne sopra Chiusaforte decisi ad andare a vedere.
Tutta la zona che va da Roveredo a Costamolino è ricca di vecchi sentieri e collegamenti tra antichi stavoli ai piedi di aspre montagne come il Pisimoni, lo Zuc del Bor, il Plananizza, il Cozzarel e lo Jof di Scluse. Spesso le tracce sono quasi o del tutto scomparse ed è un peccato. In effetti non sono montagne famose, perché faticose, scomode, i sentieri sono roba da camosci o cacciatori, selvatiche e severe, ma sarebbe un peccato perdere queste testimonianze storiche ancora una volta esempio del duro ma dignitoso rapporto tra l’uomo e la montagna. La maggior parte di questi percorsi richiedono una certa dimestichezza con il terreno, piede sicuro e una certa esperienza con l’orientamento, in gran parte delle stagioni infestate da zecche, ma tra questi esiste anche qualche eccezione, meno impegnativa dal punto di vista della difficoltà, basta un po di abitudine con l’ambiente solitario e un po’ di allenamento. Il periodo è ideale per cui cerchiamo di arrivare sulla vetta dello Jouf di Scluse, con il nostro consueto modo di andare in montagna, senza disturbare, in silenzio, con la speranza di contribuire, nel nostro piccolo affinchè questi posti non vadano perduti. Dal bivio risaliamo a strette e ripide svolte il For verso la piccola cappella votiva di S.Antoni, una traccia consente di scendere al piccolo Riù dell’Argilar. Mi piace ascoltare il suono dell’acqua che scende giocherellando con i sassi, copre il rumore della Pontebbana.
Si prosegue in discreta salita, che poi si attenua, consentendo un po’ di respiro presso gli stavoli di Zeresarie di là. Il percorso è uno dei più facili, ideale per cominciare a conoscere la zona, anche perché in se racchiude un po’ tutte le caratteristiche dei luoghi, ma comunuque richiede un po’ di impegno per il discreto dislivello da superare. Degli antichi stavoli ormai ne è rimasto uno solo , la Stali dal Miscjo, ci fermiamo qui, per un attimo. Il silenzio domina. La salita prosegue lungo il Rio Zeresarie, e poi con qualche svolta in un luminoso bosco di pino nero e sottobosco fiorito di erica, si inizia a traversare verso Patoc. Percorrendo il sentiero, nella mente scorrono i toponimi dei luoghi : Cueste Falèt, Riù Gjaline, Cueste Scjefin, Sorgint di Patòc che precede gli stavoli omonimi di cui unica testimonianza è il fabbricato ristrutturato de Gli Stali da le Grope. Alle spalle un sentierino porta verso Pineit. Un cartello indica l’imbocco, ma poi l’individuazione non è sempre facile, bisogna infatti fare un po’ di attenzione a non perdere la traccia coperta dalle erbe, aggirando verso est le pendici dello Jouf di Scluse. Anche qui un unico stavolo in una piccola radura, dove tra la vegetazione lo sguardo può comunque spaziare verso la cime del Sart e del Canin, oggi velata da foschie. Ritornati a Patoc proseguiamo verso la Forcje, il pino nero lascia il posto agli splendidi faggi del Bosc dal Taic percorsi da un sentierino che ci accompagna alla sella.Compare la neve. Ne ero sicuro. La cima dello Jouf di Scluse lassù sopra i pendii innevati del versante nord si allontana, la parte finale sembra ripida. Sappiamo che non c’è un sentiero, ma solo qualche sbiadito segno sugli alberi e qualche traccia di animali e la neve potrebbe precludere la salita. E di conseguenza anche la discesa lungo la Pala del Fuoco verso gli stavoli seguendo il canale dal Riù de Cjamoce. Il sentiero sembra finire qui, con un po’ di delusione stiamo valutando di tornare indietro. Da scartare anche l’ipotesi di discesa verso Costamolino causa sentiero impercorribile per grosse frane che costringerebbe a una lunga deviazione, un cartello Plananizza unica indicazione, il resto solo rami piegati e neve, nessuna altra traccia. Già ci stiamo preparando alla ritirata quando poco più avanti vedo delle impronte nella neve. Proviamo a seguirle, poco più avanti ci dovrebbe essere un altro stavolo. La traccia procede, sembra andare a intuito, in realtà segue degli scarsi bollini, quasi completamente scomparsi. Fin che ci sono bollini e traccia vado avanti, la neve è molle e nel ripido si sprofonda. Ma manca poco alla cima e ormai siamo decisi ad arrivare su. Tra scivolamenti e mugugni, alla fine non è stato difficile e il pianoro sommitale è raggiunto. La quota è modesta, ma il panorama di cui si gode dalla cima è vasto e appagante, direi inaspettato. Ci fermiamo un po’, con i piedi bagnati ad ammirar panorami. Un barattolo contiene dei fogli, qualche firma di chi ci ha preceduto, non molte, anzi direi poche, peccato. Una firma è di due giorni fa, le nostre tracce amiche… Abbandonata la scelta della discesa meridionale/occidentale, per la presenza di salti rocciosi e mancanza di certezze a causa della neve ritorniamo alla sella Patoc scendendo lungo le tracce note ripercorrendo tutto il tragitto fatto all’andata. Ritorniamo a Chiusaforte contenti, ancora una volta in assoluta e profonda solitudine, con la voglia e la consapevolezza di tornare, affascinati ed attratti dalla selvaggia bellezza di questi boschi e di queste piccole valli nascoste.