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Primo lungometraggio da regista del genio della comicità francese, Jacques Tati volle girarlo a colori effettuando anche riprese in bianco e nero per sicurezza e il dubbio fu fondato. Difficoltà tecniche impedirono lo sviluppo della versione a colori e il film, con ulteriori difficoltà, uscì nel 1949 appunto in bianco e nero. Poi fu un grande successo e segnò l'inizio di una serie di opere da Olimpo, seppure in una carriera travagliata da grandi difficoltà finanziarie. Tati era morto già da 12 anni quando nel 1994 venne realizzata la splendida versione a colori di cui oggi possiamo disporre, originale come lui l'aveva voluta, da un centro di restauro.
Tati è un postino in un paesino della campagna francese, talmente tranquillo e perfetto che pare nemmeno esser stato toccato dalla seconda grande guerra. Le quasi rituali abitudini dei suoi abitanti protagonisti ci vengono illustrate da una simpatica vecchina con capretta al guinzaglio che fa da voce narrante in campo. E' appunto il giorno della festa (patronale forse), una delle rare occasioni in cui qualche abitudine può venire stravolta, anche per l'arrivo di giostrai ambulanti. In un tendone allestito a cinema verrà proiettato un documentario su dei postini americani a dir poco prodigiosi per mezzi e preparazione atletica, e il povero postino, zelante a bordo della sua bicicletta ma costantemente deriso dai paesani, verrà investito da una frenetica voglia di emulazione. La parola d'ordine diventerà Velocità, in nome della quale s'ingegnerà in ogni sorta di tecnica possibile volta ad ottimizzare i tempi di consegna e raccolta della posta.
Saranno "numeri da circo", e non è solo un modo di dire. La comicità fisica e clownesca del longilineo e atletico Tati è senza tempo. Quella faccia frutto di un sangue che contiene dna russo-francese-italiano-olandese da sola è già irresistibile. Il suo slapstick "europeizzato" è meno iperbolico di quello americano: Tati non cade dagli aerei restando indenne, ma riesce a superare dei ciclisti in gara con la borsa delle lettere (tra i momenti di massima maestria nelle riprese); da ubriaco giocherà con una bicicletta dal manubrio storto impossibile da mettere in asse; efficienza vorrà dire timbrare le lettere sulla ribalta di un camion da quale farsi trainare sulla strada. Tranne pochi casi in cui i dialoghi sono definiti, le parole in presa diretta sono soprattutto suoni, fanno parte di una colonna sonora per un film che resta legato al muto dei vari Charlie Chaplin, Buster Keaton, Stanlio e Olio, e senza gareggiare con essi percorre una nuova strada parallela in contesti sociali ed ambientali a noi più vicini.
Il tanto ridere fa dimenticare che pure, questo gioioso "Giorno di festa", è portatore sano di messaggi diretti, oserei dire che è anche una grande opera di satira. In modo esplicito, quando fa dire alla citata vecchina che la velocità degli americani a loro, in quel luogo, non serve perché è una velocità asincrona con la loro vita, inutile e insostenibile. Non c'è sciovinismo né anti-americanismo, solo si irride a chi vedeva in oltreoceano dei miti da emulare, e penso che in Francia, come in Italia, ai tempi fosse una tendenza normale. La scena più emblematica, e sottile in questo senso, non è la proiezione nel tendone del documentario coi "super-postmen" americani, ma quando Tati in sella alla sua bicicletta viene inseguito da una jeep con la polizia militare americana che ancora si occupava di servizio d'ordine nel paese. Perché lo vogliono fermare? Per quanto andasse veloce, era pur sempre a bordo di una bicicletta. Lui gli sfreccia davanti quasi ignorandoli, parlando al telefono con New York!!, e dubito ci fossero norme che vietassero l'uso dei "cellulari" alla guida. Forse i due militari si sono sentiti derisi?
Olimpo immortale.
Robydick
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