Prima di parlare dell’originale, e invero a mio avviso più fondata di ogni altra interpretazione della Butler della tragedia dell’Antigone di Sofocle, vorrei accennare alla corrispondenza esistente nella cultura greca tra logos e polis, corrispondenza inaugurata dalla Repubblica platonica. Qui Platone teorizza una perfetta analogia fra l’ordine della psyche e quello della polis, nonché del soma. Il corpo è l’immagine in cui l’impianto psicologico e politico si riflette, ma è soprattutto l’alogon, l’elemento perturbante con cui s’identifica il femminile in contrapposizione al logocentrismo proprio del pensiero maschile. E l’antipoliticità del corpo e quindi della donna, esclusa tanto dal logos quanto dalla polis è cosa nota. Due corpi sono al centro della tragedia di Sofocle: un corpo morto che rimane insepolto e un corpo vivo che viene sepolto.
La Butler ci fa notare che Creonte esprime esplicitamente il timore di essere privato della sua mascolinità, ossia la sua paura di una femminilizzazione ad opera di Antigone: <<Costei sapeva bene, allora, di commettere una colpa, violando le leggi stabilite; e, dopo averlo fatto, la seconda colpa è di vantarsi e deridere tali leggi. Davvero io non sono più un uomo, ma l’uomo è costei, se quest’audacia le rimarrà impunita (Sofocle, Antigone, vv. 484-485.) […] a me, finché vivo non comanderà una donna (v. 525.)>>.
Allo stesso tempo la Butler sostiene che la rivendicazione verbale di Antigone sta a significare il compimento di un altro atto, l’atto di rendere pubblica la propria azione: <<Confermo di averlo fatto e non lo nego (v. 443. ) […] Tutti costoro direbbero di approvare il mio atto, se la paura non chiudesse loro la lingua. Ma la tirannide, fra molti altri vantaggi, ha anche questo, che le è lecito fare e dire quel che vuole. (v. 504-507) >>, così Antigone. Tale rivendicazione pronunciata pubblicamente rappresenta un’ulteriore azione criminosa che duplica la precedente.
Il discorso interpretativo della Butler rovescia completamente la logica dei più famosi tra gli interpreti di questa tragedia: Hegel e Lacan non vedono in Antigone una figura politica il cui discorso abbia implicazioni politiche, ma colei che articola un’opposizione prepolitica alla politica, rappresentando ella la parentela vale a dire <<quella sfera che condiziona la possibilità della politica senza neppure entrarvi (p. 13) >>. Con essi dunque Antigone rimane fuori dal logocentrismo politico. Nella Fenomenologia dello Spirito Antigone è l’emblema della parentela e Creonte quello dell’ordine etico e dell’autorità dello Stato fondata su principi universali. E sappiamo che la parentela è hegelianamente marginale rispetto all’ “ordine etico”, alla Sittlichkeit legittimante; questa concerne le norme articolate che regolano la sfera dell’intelligibilità culturale.
In Il seminario. Libro VII Lacan pone Antigone sui confini dell’immaginario e del simbolico, laddove viene a figurare come colei che dà inizio all’ordine simbolico quindi alla sfera delle leggi che governano l’accesso al linguaggio. Appunto perché simboliche, ci avverte la Butler, queste norme non sono ancora sociali. Lacan si discosta sì da Hegel trasformando la nozione idealizzata di parentela in presupposto d’intellegibilità culturale, ma si pone pur sempre sulla scia hegeliana separando la sfera idealizzata della parentela, ossia l’ordine simbolico da quella del sociale.
Pure la Irigaray identifica Antigone con il principio della sfida femminile allo statalismo. Il potere insurrezionale e non eversivo di Antigone è il potere di colei che rimane fuori dalla politica e che quindi non propone un rovesciamento dell’ordine costituito. Antigone continua a rappresentare la parentela e la forza dei rapporti di sangue (sebbene intesi come raffiguranti la specificità e la visibilità del corpo, che i principi di uguaglianza politica annullano non potendoli cogliere). Secondo la Irigaray, Antigone rappresenta ancora il passaggio dal principio di legalità basato sulla maternità, ordine che è fondato sulla parentela, al principio di legalità fondato sulla paternità. La sua interpretazione è ancora tutta dentro la logica hegeliana della Fenomenologia dello spirito, che colloca Antigone fuori dai rapporti della polis.
A differenza degli altri interpreti la Butler richiama la nostra attenzione sul fatto che Antigone parli in pubblico; e ciò sebbene la donna sia nella polis greca esclusa dalla sfera pubblica e relegata in quella privata. Allora Antigone non può, come vuole Hegel, esemplificare il punto di passaggio tra la parentela e lo Stato, passaggio che nella Fenomenologia non viene realizzato attraverso una Aufhebung, perché Antigone viene superata senza essere affatto conservata nell’ordine etico che emergerà. Antigone, sostiene la Butler, <<campeggia con il suo crimine per parlare in nome della politica e della legge: essa assorbe il linguaggio stesso dello Stato contro cui si ribella, e la sua non diventa la politica della purezza dell’opposizione, ma quella di chi è scandalosamente impuro. (p.17)>> L’atto della sepoltura compiuto da Antigone e l’atto linguistico di rendere pubblica la propria azione sono propriamente le occasioni che inducono il coro, Creonte e i nunzi a definire la fanciulla aner (uomo).
L’interpretazione hegeliana basata sulle dicotomie focolare domestico e polis, parentela e stato, natura e cultura, donna e uomo, pathos e logos, desiderio e ragione, legge divina e legge umana non può più spiegare la contrapposizione tra Antigone e Creonte. Inoltre Hegel sembra voler ignorare che Antigone sia per giunta già fuori dalle strutture della parentela: ella non solo è figlia di un legame incestuoso, ma consacra se stessa a un impossibile amore incestuoso per il fratello e ad un legame di morte con lui.
Le azioni di Antigone costringono gli altri a considerarla aner (lo stesso Edipo in Edipo a Colono la appella aner per la sua fedeltà e perché è ella a guidarlo per le vie dell’esilio). Ismene accetta passivamente il potere maschile e afferma: <<Ma bisogna riflettere su questo, che siamo nate donne, sì da non poter lottare contro uomini; e poi che, essendo sottoposte a chi è più forte, dobbiamo obbedire a questi ordini e ad altri ancora più dolorosi. Io quindi, supplicando i morti sotterra di perdonarmi perché sono costretta così, obbedirò a chi comanda (vv. 61-67) […] Ma almeno non rivelare ad alcuno questa tua azione: occultala in segreto, e così anch’io. (vv. 84-85.)>>; mentre Antigone ribatte: <<Ahimè, gridalo forte; sarai molto più odiosa se, tacendo, non la proclamerai a tutti. (vv. 86-87) >>.
Sebbene la rivendicazione di Antigone non possa essere completamente assimilata dallo Stato stesso, è certo che Antigone non possa esprimere la sua rivendicazione al di fuori del linguaggio dello Stato. Detto altrimenti le azioni di Antigone non possono sopravvivere politicamente, perché Antigone morirà, ma esse restano non meno problematiche all’interno della sfera della parentela. Antigone al pari di Creonte <<vuole che il suo atto linguistico sia radicalmente e intellegibilmente pubblico quanto l’editto stesso (p. 44) >>, questo è l’assunto intorno a cui ruota l’interpretazione della Butler.
La lettura di quella che è, a mio avviso, la maggiore teorica del femminismo sembra trovare eco in una vicenda odierna: l’iraniana Pegah Emambakhsh condannata già per aver avuto rapporti omosessuali ad una pena che prevede frustate e/o carcere per tale reato, viene condannata a morte per lapidazione (nel 2007) solo allorché afferma pubblicamente di essere omosessuale. Quindi la pena più severa viene a lei comminata non per avere compiuto l’atto ma per non averlo negato; solo quando una donna afferma la propria parola pubblicamente ella sfida il potere maschile.
Judith Butler, La rivendicazione di Antigone, Bollati Boringhieri, Torino, 2003, pp. 116, Euro 13,00, ISBN 9 788833 914817
Barbara Marte è insegnante e dottoranda presso l’Università di Basilea