I fatti. La Timoshenko, ex leader della Rivoluzione Arancione del 2004, è stata condannata nello scorso ottobre a sette anni di carcere per l’accordo di fornitura di gas da lei concluso con la Russia nel gennaio 2009, che imponeva all’Ucraina di pagare un prezzo pari a quello pagato dai membri Ue. Secondo la la Procura Generale ucraina, il valore del contratto sarebbe stato volutamente gonfiato dalla stessa Timoshenko, che non avrebbe neanche avuto l’autorità di contrattare con Gazprom le condizioni d’acquisto: un comportamento, si legge nella sentenza di condanna, che ha provocato un ammanco di circa 200 milioni di dollari nelle casse della compagnia energetica nazionale Neftogaz. Ma per Mosca, stavolta eccezionalmente dalla parte della Timoshenko, quei soldi rappresentavano il valore reale dell’accordo, come del resto ha sempre dichiarato l’ex premier ucraino, che accusa il presidente Janukovic, suo rivale politico, di aver ordito un complotto contro di lei.
L’accusa verso la Timoshenko potrebbe anche essere fondata, se si pensa che la pasionaria arancione, prima di scendere in politica, era una potentissima e discussa donna d’affari, che aveva accumulato una fortuna con la sua società d’importazione di gas, anche grazie agli appoggi di figuri legati alla malavita russa, tanto che fino al 2005 aleggiava su di lei un mandato d’arresto emesso dalla magistratura di Mosca. Ma, paradossalmente, se l’accusa è reale, è reale anche la possibilità di trovarci in presenza di un complotto.
Le materie prime energetiche, gas e petrolio in primis, sono state fonte di ricchezza per tanti oscuri faccendieri ex sovietici nei tumultuosi anni Novanta: chi all’epoca accumulò così grandiose fortune, potè farlo indiscutibilmente grazie all’appoggio del Potere politico. Come per gli oligarchi russi, così è accaduto con la Timoshenko: è risaputo che la bella Julija divenne la più ricca imprenditrice di Ucraina non tanto per le sue doti manageriali quanto per gli ottimi rapporti che aveva con i politici locali, che delle sue fortune poterono beneficiare grazie a bustarelle e tangenti. Ma nello spazio ex sovietico, dove i servizi segreti hanno ancora la struttura e il modus operandi del vecchio Kgb, queste relazioni pericolose creano scheletri, che vengono tirati fuori al momento opportuno dagli armadi più nascosti e dimenticati, per essere usati per distruggere un avversario politico o industriale. Ed è molto probabile i capi di imputazione contro l’ex primo ministro siano stati costruiti proprio su questi scheletri: nell’emettere la condanna, la Corte ha ritenuto che l’aggravio dei costi imposto dal contratto con i russi dovesse necessariamente servire agli interessi personali della Timoshenko, a causa appunto del suo passato imprenditoriale, fonte di un conflitto d’interessi.
E’ fuori discussione che, in tutta questa vicenda, Julija Timoshenko sia vittima di un gioco più grande di lei. Un gioco in cui ci sono in ballo le tensioni tra Russia e Ucraina sul gasdotto South Stream, l’ambiguità di Janukovic nei confronti di Mosca e dell’Ue, ed il grande giro di denaro che ruota intorno alla compravendita dell’oro blu. La comunità internazionale è tenuta a vigilare sul rispetto dei diritti della Timoshenko, sia per ciò che riguarda il processo d’appello che la sua permanenza in carcere, ma deve evitare è di attribuirle un ruolo che – per ragioni storiche e individuali – non può essere il suo: se Julija Timoshenko è vittima di una persecuzione politica, non significa automaticamente che sia diventata la Aung San Suu Kyi d’Europa.