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Just the Wind

Creato il 01 giugno 2013 da Eraserhead
Just the WindAbbandonato il cinema mite di Womb (2010) che poco si confaceva alla sua autorialità, Benedek “Bence” Fliegauf riparte dalla nazione d’appartenenza traendo ispirazione da brutti fatti di cronaca che videro tra il 2008 e il 2009 l’uccisione di intere famiglie zigane nella campagna ungherese. Con Csak a szél (2012) il regista magiaro fornisce l’ennesima conferma riguardante la capacità che ha di attraversare gli stili e le forme, rimodellandosi e rimettendosi in gioco film dopo film; Just the Wind segna un passaggio (più probabile una transizione) in quel cinema del reale proprio di Brillante Mendoza e di molti altri cineasti emergenti che non conosce il concetto di geometria preferendo optare per una via di trasmissione fatta di pedinamenti, irregolarità, PP strettissimi, improvvisi strappi e inaspettate stasi che seguono lievemente il ritmo cardiaco degli attori (molti dei quali, ovviamente, non professionisti), e Fliegauf si adopera efficacemente nell’imbastire tali frequenze che fanno il loro dovere: il territorio che è teatro della storia si avverte davvero come una terra dimenticata anche dalla più inutile entità ultraterrena, di riflesso chi popola questa zona franca è abbandonato a se stesso e alla legge del singolo. Delle varie istantanee di degrado non vi è niente che non sia già stato mostrato altrove, anzi, Fliegauf è perfino pudico nell’illustrare gli intuibili orrori della collettività sotto esame, ciò non intacca ad ogni modo la grevità dell’aria che tira corroborata visivamente da riprese che spesso scivolano nel buio naturale.
È un film ferino, selvatico, che riacciuffa per sommi capi la pluralità narrativa degli esordi concentrandosi su tre singoli soggetti appartenenti alla stessa famiglia. Se le vicende della madre e della figlia scorrono alternativamente evidenziando episodi di degenerazione umana (significativo il passaggio della mamma nei pressi di un bar in cui si suggerisce, a seguito della rissa, di come i nervi siano tesi per motivi di matrice razzista), l’attenzione va focalizzata sul ragazzino e sul suo vagabondaggio tra detriti e rifiuti. Fliegauf segue il figlio e si serve di lui per esplicitare alcune questioni indispensabili alla comprensione del film (si pensi al dialogo origliato tra i due poliziotti e all’incontro con l’altro ragazzo del posto dentro al bunker), lo rende compassionevole, lui assolutamente libero, facendogli seppellire il maiale morto simbolo di una strage, di un’ombra incombente che il sogno del Canada (a quanto pare rimandato da tempo) è incapace di rischiarare, e soprattutto lo rende edotto della condizione in cui vive e del probabile destino che gli toccherà (basta un’immagine per tutto ciò: il furore verso una pianticella innocente).Finale, poi, ammutolente.

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