Due ragazzi si azzuffano in un bosco. Uno uccide a pietrate l’altro.
Proiezione berlinese del 2009, Kaïn è il secondo (o primo: bisogna vedere se va contato il breve documentario A Horse That Dies [1999] con cui il regista si è diplomato) cortometraggio del belga Kristof Hoornaert, giovane regista diviso fra produzioni indipendenti e spot pubblicitari per grandi multinazionali. Kaïn, transitato in molti Festival del globo terracqueo, fa del minimalismo la propria sostanza, lascia ad un altro cinema il compito di spiegare le eziologie preferendo cominciare in media res: una legnata tremenda colpisce la zucca di un malcapitato. Punto. A fare da sfondo c’è la natura imperturbabile, anche se i dettagli da documentario come insettini zampettanti, grossi bruchi pelosi, scorci di verdi fronde e un tappeto acustico costituito dal soave cinguettio degli uccellini trasportano l’elemento naturalistico in una posizione che supera di gran lunga lo status di comparsa.
A questo punto Hoornaert diviene troppo immediato perché la contrapposizione fra un’umanità che si accapiglia dandosele di santa ragione e che arriva ad ammazzarsi vicendevolmente versus un bosco incontaminato teatro giusto per una scampagnata e non per un omicidio, arriva all’istante con la successiva presa di coscienza che nel film non vi è nient’altro che possa dare profondità. I minuti in cui l’assassino si porta appresso il “pesante” carico non aggiungono nulla che non sia comprensibile già dalla prima sequenza, e pure il bagno nel laghetto (rafforzato semanticamente dal fotogramma stampato sulla locandina) in quanto metafora detergente accusa la stessa facilità di accesso della dicotomia uomo/natura. Resta in ogni caso il tatto registico da parte di Hoornaert che offrendo un discreto comparto visivo supplisce all’eccessiva esplicazione degli intenti.