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Kaos, ovvero, perso in un deittico

Creato il 09 marzo 2021 da Indian

Lezioni condivise 107 – Sintassi e pragmatica

 31 dicembre 2015 @  20,06

Oggi ho rivisto Rosa alla Conferenza interdisciplinare che c’è stata in luogo della lezione di Linguistica sarda.  Non la vedevo dalla primavera scorsa; dopo la nostra ricerca sul campo ci eravamo persi di vista, seguito strade diverse, evidentemente anche lei ha avuto il suo da fare, ma oggi c’era, speravo fosse serena, lo era.

Ci siamo incontrati fin dal mattino, sembrava nulla fosse cambiato dall’ultima volta, evidentemente entrambi condividevamo di nuovo lo stesso spirito, quello che ti prende allo stomaco in modo morboso, quasi di malessere, ti toglie fiato e ti rende farfugliante; per fortuna esiste un linguaggio del corpo rivelatore, l’effetto calamita, quello che ti guida come barca alla deriva e ti porta immancabilmente nell’aula 11.

E’ sempre difficile descrivere uno stato del genere, lo hanno fatto diversi scrittori anche in capolavori della letteratura mondiale con più o meno efficacia, rispetto al nostro spirito, intendo. Tuttavia a me è capitato spesso, un blocco che causa una miriade di situazioni e sensazioni psico-fisiche che ti sorprendono e riesci a razionalizzare solo dopo che tutto è finito e puoi criticare lucidamente il tuo comportamento, quasi sempre si tratta di una severa autocritica. Quanto sopra è difficile da descrivere, ho tentato perché se non si ha la pazienza di farsi comprendere si può essere pericolosamente fraintesi. Si tratta qui di sensazioni più che di atti, questi non esistono proprio o sono goffi…

Ma cosa accade quando si è dentro l’aula 11, vuota, e si è accostata la porta, e quel senso di “paura” comincia a passare? perché tu sai che lei sa, lei sa che tu sai – anche se non è mai detto, so per certo che se trovi quella giusta poi ti dice che voleva solo visitare l’aula, perché non era mai stata nell’aula 11, è un gran rischio, mai portare nell’aula 11 una sconosciuta.

Sebbene sia passato del tempo, Rosa la conosco, abbiamo già dato, e là non ci servono né sedie né cattedre, ci serve una parete libera. Sì, quando lei si è appoggiata e io di fronte, ha fatto una decina di secondi di resistenza, proferendo sonorità inesplicabili, poi è stata fusione impetuosa per diversi minuti, per poi gradualmente placarsi, fino al completo ristabilirsi dell’intelletto.

Risulta misterioso come ci si possa perdere se si è entrambi animati da tale furore, ma accade, accade anche spesso per innumerevoli motivi, dal carattere, all’insicurezza, fino all’indolenza.

Il bello è che la cura dell’aula 11 è efficacissima, quasi del tutto risolte le turbolenze di stomaco, sostituite da una sensazione più positiva di appetito, così ci concediamo un aperitivo in mensa. Abbiamo parlato per tre ore di tutto quanto fosse possibile parlare, di studi, politica, vita quotidiana, letture, perfino di Justine ou les malheurs de la vertu e di berretti frigi, oltre alle sue allusioni a noi. Lasciata la mensa attendiamo, per il tempo che rimane in sala lettura.

La Conferenza si tiene nell’aula 7, il Laboratorio di cinema, vecchia conoscenza – non unica – di attività politiche svolte nel tempo della scuola superiore.

L’aula è piena, il tema che si affronterà è “Il testo teatrale tra sintassi e pragmatica” e prevede la proiezione del film “Kaos” dei Fratelli Taviani, che avevo già visto ai tempi romani ed è un film sicuramente d’art et d’essai, cioè di qualità e di ricerca artistica.

Dopo la proiezione ha inizio la conferenza e il dibattito. L’attenzione generale nella sala non dà luogo ad alcuna deroga. Posso riportare i contenuti con fedeltà e condivisione.

Occorre definire il mezzo sociolinguistico che discrimina la comunicazione (diamesia), ovvero la differenziazione linguistica in base al mezzo con cui si svolge l’atto comunicativo.

La distinzione più elementare è quella tra espressione scritta e parlata. Dal dialogo (tra due o più persone) (oralità/ascolto), alla diffusione di un testo fonologico, destinato a un pubblico ampio, anche sconosciuto, senza possibilità immediata di replica (trasmissione/ascolto), fino alla comunicazione scritta tout court (scrittura/lettura). Il mezzo comunicativo presuppone l’uso di un differente codice espressivo, di un altro tipo linguaggio.

Nell’oralità, l’espressione “Un sacco di…” esprime una quantità indefinita, ma non lo troveremo in un testo scritto nella lingua standard, sufficientemente corretto; tuttavia l’espressione può legittimamente trovare posto in un testo teatrale in quanto media tra i due mezzi, ovvero, il testo teatrale è scritto perché venga oralizzato.

L’avvento di nuove forme comunicative scritte modifica il discrimine classico facendo emergere nuove definizioni, come “parlato trasmesso” (radio, tv, cinema, telefono) e “scritto trasmesso” (internet, mail, sms), che operano una sorta di incrocio, un parlato che si avvicina al testo e un testo tipico dell’oralità.

I parametri principali che determinano la variazione linguistica sono: la diacronia, in rapporto al tempo; la diatopia, in rapporto allo spazio; la diastratia, in rapporto alla condizione sociale dei parlanti; la diafasia, in rapporto alla situazione.

Nel testo teatrale vi è una mediazione tra scritto e parlato, caratterizzato dalle deissi, forme espressive tipiche del parlato, “abusate” sul palcoscenico perché efficaci nella interazione con il pubblico, e che volendo possono anche caratterizzare i personaggi.

E’ evidente che nel teatro si verificano in parte alcune delle situazioni che caratterizzano il dialogo, avendo di fronte un interlocutore che partecipa e reagisce (risa, applausi ecc.), si creano insomma quelle condizioni per l’uso di un registro espressivo diverso da quello del testo scritto. Più esattamente avviene il passaggio dal testo scritto al parlato, il testo scenico, che completa il testo teatrale.

Riguardo alla dicotomia tra storia linguistica, storia della grammatica e semiotica, il testo teatrale riveste per la sua ambivalenza tra scritto e parlato (con le categorie parlato-parlato, parlato-scritto, parlato-recitato) un particolare termine di paragone e discrimine tra sintassi e pragmatica.

Tra parlato teatrale (o drammatico) e parlato reale, la differenza ovvia è che il primo è appunto più drammatico, teatrale, irreale, tendente a provocare attenzione mentre accade. Per questo il testo teatrale contiene tensione, inquietudine, esasperazione, equivoci, allusioni, sottintesi e altre ambiguità semantiche: queste necessità si riflettono sul testo.

Il testo teatrale in un certo senso azzera la variabile diamesica, ovvero la differenza tra lingua parlata e lingua scritta, in quanto un testo teatrale è scritto perché venga recitato.

La lingua parlata ha delle caratteristiche che la contraddistinguono, la pragmaticità, – ovvero deitticità, quindi lo stretto legame con la situazione reale -, la frammentarietà, l’uso di segni.

La deissi, dunque lo stretto rapporto tra discorso e situazione, è preponderante nel testo teatrale rispetto a qualsiasi altro genere letterario, la ragione è evidente: a teatro si cerca di far apparire un testo come reale, benché il primo manchi della spontaneità dell’altro, dunque deve essere assolutamente comprensibile a chi ascolta.

Secondo Cesare Segre, che ha elaborato le tesi di Alessandro Serpieri, i deittici sono i mezzi linguistici più forti di ancoraggio del testo alla situazione e sono presenti nel testo teatrale più che in ogni altro testo scritto, essi rappresentano “l’immanenza dello spettacolo in seno al testo”. In parole povere, un’esclamazione, ad esempio, da sola rende chiaro il concetto che si vuole esprimere. “I deittici sono infatti il preciso supporto alla gestualità e alla messinscena, costituiscono insomma l’immanenza dello spettacolo in seno al testo”. Allo stesso tempo la pragmaticità è solo fittizia perché i dialoghi sono prestabiliti.

Per altri studiosi il testo teatrale è incompleto finché non è espresso nella scena, giacché solo lì si traducono in gesto alcuni deittici.

Io me n’andrei là (La mandragola – Machiavelli); Ecco il padrone (Il marescalco – Aretino); Quest’é un fiorino, te’ (La Lena – Ariosto): Osservate questi orecchini. Vi piacciono? (La locandiera – Goldoni), scambio mimico-gestuale. Le deissi hanno una loro tipologia, quelle mimico/gestuali e quelle enfatiche.

Un’altra forma che ha preso piede specie nei testi teatrali dal Settecento in poi, sono le pause e le interruzioni, espresse in genere con i puntini di sospensione alla ricerca di una soluzione dialogica naturale.

Ad esse si accompagnano vari segnali discorsivi, come le interiezioni, congiunzioni, avverbi, verbi, locuzioni, formule e frasi che possono svolgere molteplici ruoli comunicativi. Anche in questo caso dal Settecento i testi risultano più curati e variegati.

Pertanto il teatro è il luogo privilegiato di applicazione delle teorie semiotiche per: la sua natura e comunicazione segnica, la pluricodicità, il rapporto spazio-temporale della rappresentazione e quello dello spettatore. Elementi segnici sono: l’attore/personaggio, la scena/finzione, il tempo scenico, ed è come un accordo tra attori sul palco e spettatori, un gioco complesso di immedesimazione e ricezione.

Nel teatro si verifica un livello di finzione doppio, quello della scrittura/invenzione (che corrisponde a quello letterario) e quello della rappresentazione.

Aristotele ha distinto tra mimesi (teatro): un io che finge su un presente, dove si sa solo di chi parla in scena – ed è lo spettatore a giudicare diventando di fatto un attore della finzione -, e diegesi (narrazione): si racconta di un egli, che può essere collocato in qualsiasi temporalità e il narratore può anche essere onnisciente su esso.

I codici comunicativi presenti nel teatro sono stati così individuati da Kowzan: testo/parlato, espressione corporea, apparenza scenica (mimica), scenografia, rumori di scena; testo scritto, ovvero solo testo.

Per Segre un altro elemento della rappresentazione teatrale è la densità, dover concentrare gli avvenimenti in un tempo più o meno prestabilito: “La «densità» è dunque nello stesso tempo concentrazione e accelerazione”.

In un articolo di questa pesantezza la redazione mise accanto il fumetto di un improbabile cameriere con una pizza fumante, ma alla fine della conferenza mi aspetta una serata con Rosa, non un banale deittico.

(Linguistica sarda – 30.4.1997) MP

Minimum monologue:
However, that fucking year was 2015! Just start, beginning, chimeras, mirages, suspensions … then cheat you…
Look, there’s someone worse off than you” and you remain fucked with your guilt…
(Però, che cazzo di anno è stato il 2015! Solo avvii, inizi, chimere, miraggi, sospensioni… che poi ti frega… “Guarda che c’è chi sta peggio di te” e tu rimani fottuto con i tuoi sensi di colpa…).

Kaos, ovvero, perso deittico

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